Persepolis il prossimo 29 febbraio al cinema

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Persepolis  è il racconto intenso e avvincente della maturazione di una ragazzina in Iran, durante la rivoluzione islamica.  E' attraverso gli occhi di una bambina di nove anni, la precoce ed estroversa Marjane, che vediamo distrutte le speranze di un popolo quando i fondamentalisti prendono il potere imponendo il velo alle donne e imprigionando migliaia di oppositori. Intelligente e impavida, la piccola Marjane  aggira il controllo sociale  dei "tutori dell'ordine" scoprendo il punk, gli ABBA e gli Iron Maiden. Ma dopo l'insensata esecuzione di suo zio e sotto i bombardamenti della guerra Iraq/Iran, la paura diventa una realtà quotidiana con cui fare i conti.

Crescendo, Marjane si fa sempre più temeraria, e i genitori temono per la sua sicurezza. Così, quando compie 14 anni, decidono di mandarla a studiare in Austria. Vulnerabile e sola in un paese lontano, Marjane si trova ad affrontare i problemi dell'adolescenza. Nel frattempo, deve anche combattere i pregiudizi di chi la identifica proprio con quel fondamentalismo religioso e quell'estremismo che l'hanno costretta a fuggire. Col tempo riesce a farsi accettare e incontra perfino l'amore, ma dopo il liceo si ritrova da sola e con una gran nostalgia di casa.

Benché questo significhi mettersi il velo e vivere sotto una dittatura, Marjane decide di tornare in Iran per stare con la sua famiglia. Dopo un difficile periodo di adattamento, entra in un Istituto d'arte e poi si sposa, senza mai smettere di denunciare le ipocrisie di cui è testimone. A 24 anni, però, pur sentendosi profondamente iraniana, capisce di non poter più vivere in Iran. E' così che prende la drammatica decisione di lasciare il proprio paese per la Francia, piena di speranze per il proprio futuro, ma segnata in modo indelebile dal proprio passato.

MARJANE SATRAPI

Marjane Satrapi è nata nel 1969. E' cresciuta a Teheran, dove ha frequentato la Scuola Francese e ha proseguito gli studi a Vienna, prima di stabilirsi in Francia nel 1994.
A Parigi,  alcuni colleghi disegnatori l'hanno introdotta all'Atelier des Vosges, studio d'arte che raccoglieva  i migliori fumettisti contemporanei.
Nel suo primo romanzo a fumetti, Persepolis 1, pubblicato in Francia da L'Association nel novembre 2000, Marjane ha raccontato la storia dei primi dieci anni della sua vita, fino al rovesciamento del regime dello Scià e allo scoppio della guerra Iraq-Iran. In Persepolis 2,  pubblicato nell'ottobre 2001, racconta la guerra Iraq-Iran e gli anni della sua adolescenza fino alla sua partenza per Vienna, all'età di 14 anni. In Persepolis 3 e Persepolis 4  descrive il suo esilio in Austria e il ritorno in Iran.
In seguito, ha pubblicato Taglia e cuci (Broderies) e Pollo alle prugne  (Poulet aux Prunes ).
Persepolis, scritto e diretto con Vincent Paronnaud, è il suo primo lungometraggio.

Intervista a Marjane Satrapi

Ha tratto un film dal suo romanzo a fumetti perché aveva l'impressione che la storia non fosse ancora conclusa?
Credo che sia stata la mia collaborazione con Vincent (Paronnaud) a rendere possibile questo film. Quando i miei romanzi a fumetti sono stati pubblicati hanno avuto subito successo, e ho ricevuto diverse offerte per farne un adattamento, soprattutto dopo l'uscita negli Stati Uniti. Mi hanno addirittura proposto progetti come una serie-tv alla Beverly Hills 90210 e un film con Jennifer Lopez nel ruolo di mia madre e Brad Pitt nel ruolo di mio padre - cose del genere! Assurdo.
Per la verità, erano passati quattro anni da quando avevo scritto e disegnato Persepolis, e consideravo chiuso il discorso. Ma poi, parlando del progetto cinematografico con  Vincent, ho capito che oltre ad avere l'opportunità di lavorare  con lui, avrei potuto cimentarmi in qualcosa di completamente nuovo. Dopo aver scritto romanzi a fumetti, libri per bambini, strisce di fumetti per quotidiani, eccetera, mi sembrava di essere entrata in una fase di transizione. Non volevo fare un film da sola e sentivo che l'unico con cui avrei potuto farlo era Vincent. Lui ha aderito subito, entusiasta quanto me di affrontare questa sfida.  Ho capito che ci saremmo divertiti. A volte sono le piccole cose a portare a una decisione. Siccome già conoscevo Marc-Antoine Robert (produttore), abbiamo cominciato a lavorare insieme. Tutto qui!

Sapeva dall'inizio  che sarebbe stato un film di animazione e non di azione dal vivo?
Sì. Pensavo che l'azione dal vivo non avrebbe avuto lo stesso carattere di universalità. Sarebbe diventata una storia di persone che vivono in un paese lontano, e che non ci somigliano affatto.  Nel migliore dei casi, sarebbe stata una storia esotica e nel peggiore una storia del "terzo mondo". I libri sono stati un successo in tutto il mondo perché i disegni erano astratti, in bianco e nero. Io credo che questo abbia aiutato i lettori ad avvicinarsi a questa storia, che potrebbe essere ambientata in Cina, Israele, Cile o Corea, perché è una storia universale. 
Persepolis  ha anche momenti onirici e i disegni aiutano a dare continuità e coerenza alla storia; ma anche il bianco e nero (ho sempre paura che il colore possa diventare volgare) è servito in questo senso, come pure l'astrazione dell'ambientazione e degli sfondi.  Vincent ed io pensavamo che proprio questo rendesse la sfida ancora più intrigante e avvincente, da un punto di vista artistico, estetico.

Che cosa l'ha spinta a  chiedere a Paronnaud di dividere lo studio con lei,  6 anni fa?
All'epoca, non lo conoscevo ancora di persona. Avevo visto i suoi disegni a casa di un amico e avevo pensato: "Dovresti tagliargli le dita a questo qui, per impedirgli di disegnare!" Il suo lavoro era semplicemente fantastico. C'è qualcosa di totalmente esagerato e eccessivo  nel suo stile e al tempo stesso di nobile e dignitoso.
Avevo anche visto due suoi corti che aveva realizzato con Cizo (Lyonnel Mathieu), O' Boy, What Nice Legs  e  Raging Blues,  che mi erano piaciuti molto.

In che modo vi completate a vicenda?
Quando dividevamo lo stesso studio, disegnavamo insieme. Abbiamo stili diversi, che però si combinano perfettamente.  Veniamo da paesi, culture e ambienti completamente diversi, ma siamo sempre stati sulla stessa lunghezza d'onda. Si potrebbe dire che insieme abbiamo smontato il concetto di "scontro di civiltà". Io sono una persona espansiva, lui è piuttosto introverso, ma quando si tratta di disegnare, di lavorare insieme, la situazione si rovescia. Nei tre anni  in cui abbiamo lavorato insieme senza sosta, non abbiamo avuto un solo litigio, anche se siamo stati sempre molto onesti l'uno con l'altro.

Ha avuto difficoltà a scegliere il materiale dei quattro romanzi che voleva inserire nel film?
Scrivendo i libri, ho dovuto ripercorrere 16 anni della mia vita, comprese le cose che avrei decisamente preferito dimenticare. E' stato un processo molto doloroso. Avevo il terrore di cominciare a scrivere la sceneggiatura e non avrei potuto farlo da sola. La parte più difficile è stato cominciare e prendere le distanze dalla storia in prima persona. Abbiamo dovuto ripartire da zero  per creare qualcosa di diverso, ma con lo stesso materiale. E' un lavoro a sé stante: non aveva senso  filmare una sequenza di strisce. La gente pensa che un romanzo a fumetti sia come lo storyboard di un film, ma non è affatto così. Nel romanzo a fumetti, il rapporto tra lo scrittore e il lettore è partecipativo. Nel  cinema, il pubblico è passivo - perché un film è fatto di movimento, sonoro, musica, quindi la struttura narrativa e il contenuto sono molto diversi.

Vi siete trovati d'accordo fin dall'inizio, su quello che doveva essere lo stile visuale del film?
Sì, credo che potrebbe essere definito "realismo stilizzato", perché volevamo che il disegno fosse assolutamente aderente alla realtà, non come un cartone animato.  Quindi, a differenza di quanto avviene in un cartone, non avevamo  grandi margini in fatto di espressioni facciali e di movimento. E' quello che ho cercato di trasmettere ai disegnatori e agli animatori.
Io sono sempre stata ossessionata dal neorealismo italiano e dall'espressionismo tedesco, e alla fine ho capito perché: sono scuole di cinema post-bellico. Nella Germania del secondo dopoguerra, l'economia era così devastata che i cineasti non potevano permettersi di girare in esterni, e giravano in studio usando atmosfere e  forme geometriche di grande impatto visivo. Nell'Italia del dopoguerra la situazione era la stessa, ma  la soluzione adottata inversa: per mancanza di soldi, si giravano i film per le strade e con attori sconosciuti.  In entrambe queste due scuole, però, trovi quel tipo di speranza di chi ha vissuto una guerra e una grande disperazione. Io stessa vengo da una scuola post-bellica, avendo vissuto gli 8 anni della guerra Iraq/Iran.
Il film è una combinazione di cose diverse: l'espressionismo tedesco e il neo-realismo italiano. Propone scene estremamente crude e realistiche, in un contesto estremamente stilizzato, con immagini che a volte sfiorano l'astratto. Siamo stati anche influenzati da alcuni elementi di film che abbiamo amato entrambi, come il ritmo serrato del film di Scorsese Quei bravi ragazzi .

Quando è arrivato il momento delle riprese, come vi siete divisi il lavoro, con Vincent e il direttore artistico Marc Jousset?
Avevamo bisogno di qualcuno che avesse una visione d'insieme, qualcuno in grado di supervisionare tutte le fasi delle riprese. Vincent ha proposto Marc Jousset, perché aveva lavorato con lui in Raging Blues.  Marc era l'unico che capisse che cosa volevamo fare. Io ho scritto la trama e poi con Vincent abbiamo scritto e discusso la sceneggiatura. Dopodiché,  Vincent si è occupato delle scenografie, delle riprese vere e proprie, dei materiali di scena, dei personaggi e di quello che succedeva all'interno di ogni singola scena. Comunque, ognuno di noi poteva intervenire in tutte le fasi delle riprese. Ora, faccio fatica a distinguere dove comincia il suo lavoro e dove finisce il mio e viceversa. Ci siamo completati, in poche parole.

Si tratta di un film con molti personaggi...
600 diversi personaggi... è una cosa piuttosto insolita! Li ho disegnati tutti io, di fronte e di profilo. Dopodiché,  disegnatori e  animatori li hanno disegnati da tutte le angolazioni, sviluppando espressioni facciali e movimenti. Per aiutarli, mi sono fatta riprendere mentre recitavo le scene. E' stata la chiave per mantenere intatta l'emozione e per trovare il giusto equilibrio  tra sobrietà e fantasia. Ho avuto anche il compito ingrato di coreografare  la scena di "Eye of the Tiger", il brano tratto dal film Rocky...

E' stato difficile, per lei, vedere altri disegnatori interpretare i suoi disegni e disegnare tante volte la sua faccia?
E' una sensazione strana. Un tuo disegno è come un figlio e all'improvviso scopri che è di tutti!  Non hanno reinterpretato solo i miei disegni e i miei personaggi, ma anche la mia faccia e la mia storia. A differenza di Vincent, io avevo sempre lavorato da sola, avevo perfino il mio angolino, nello studio, quindi potete immaginare come mi sono sentita quando ho visto la mia faccia dappertutto - in formato piccolo, medio e grande; bambina, adolescente e adulta; di fronte, di profilo, di spalle; che rido, che vomito, che piango, ecc.... Era una cosa insopportabile! Dovevo ripetermi. "E' solo un personaggio." E' stato lo stesso per gli altri personaggi, perché anche le loro storie sono vere. Mia nonna è esistita veramente  è vissuta ed è morta, come pure mio zio. Ma non potevo farmi prendere dall'emozione, o avrei reso la vita  impossibile a tutti. Se i disegnatori mi avessero vista in lacrime, non avrebbero potuto continuare a fare il loro lavoro.  Dovevano sentirsi liberi per dare il meglio di sé, quindi non ho avuto altra scelta che  parlare di me e dei miei cari come se fossero personaggi di fantasia: "Marjane fa questo, sua nonna è un tipo così..."  - altrimenti sarebbe stato impossibile. Questo non significa che a volte non fossi travolta dall'emozione (soprattutto quando disegnavano i miei genitori). La storia è diventata un'opera di fantasia  solo dopo la stesura della sceneggiatura. Non ero più esattamente io, eppure, paradossalmente, ero ancora io....

Perché ha scelto Chiara Mastroianni per la sua voce? (Chiara Mastroianni, nella versione originale del film, presta la sua voce  a  Marjane - NdT)
Volevamo registrare le voci prima  delle riprese, in modo che  l'animazione, i movimenti e le espressioni facciali potessero corrispondere al dialogo e alla recitazione degli attori. Il primo nome a cui abbiamo pensato è stato quello di Danielle Darrieux, per il ruolo di mia nonna. Era l'unica che potesse renderle giustizia; è spiritosa, intelligente e piena  di carattere. Adora divertirsi e non ha paura di misurarsi con l'assurdo di certe situazioni.
Per la voce di mia madre sognavo Catherine Deneuve. Quando vivevo in Iran, i due attori francesi più famosi erano Carherine Deneuve e Alain Delon. Lei era perfetta per la parte. Per il numero speciale di Vogue  che aveva curato anni fa, aveva scelto una ventina di artisti, e fra quelli c'ero anch'io. Era stato un grande onore.  Quando poi le ho chiesto di prestare la sua voce, ha detto subito di sì. Devo dire che sono rimasta molto colpita quando l'ho diretta e ho recitato con lei. A un certo punto della sceneggiatura io dovevo dire la battuta: "Le donne come te... voglio solo scoparmele contro un muro e poi buttarle nella spazzatura". Per  fortuna,  è stato più facile dopo che ho mandato giù un paio di bicchieri di cognac!  Solo dopo aver scelto Chiara, mi sono resa conto che  stavo per aggiungere un altro capitolo a una grande epopea cinematografica, perché Catherine e Danielle  avevano già interpretato madre e figlia in diverse occasioni.
Per quanto riguarda Chiara, lei aveva sentito parlare del film da sua madre e mi aveva chiamato chiedendomi di farle fare un provino, dopo il quale ci siamo subito trovate in sintonia. Adoro la sua voce, il suo talento, la sua personalità, la sua generosità. Abbiamo lavorato sodo per due mesi... E' una stakanovista e una perfezionista, come Vincent e me. Ha seguito ogni fase della realizzazione del film e spesso passava in studio a trovarci.

Qual è stato il momento più bello di tutta questa esperienza?
La prima proiezione per tutta la troupe, in un cinema degli Champs-Elysées. Alla fine ero in lacrime, come tutti gli altri.

L'Iran è ancora oggi sulle prime pagine dei giornali. Anche se vorrebbe che il film avesse un carattere universale, non può impedire alla gente di vederlo in questa luce...
Vero. Anche se ai miei occhi, la parte più esotica della storia si svolge a Vienna. Il film non dà giudizi, non dice "questo è giusto, questo è sbagliato",  illustra solo i tanti risvolti di una situazione. Non è un film orientato politicamente, che vuole schierarsi. E' prima di tutto e soprattutto un film che racconta il mio amore per la mia famiglia.  Comunque, se il pubblico occidentale  imparerà a considerare gli iraniani esseri umani come tutti gli altri e non nozioni astratte come "fondamentalisti islamici", "terroristi" o "l'Asse del Male", allora sentirò di aver fatto qualcosa di buono. Non dimentichiamo che le prime vittime del fondamentalismo sono gli stessi iraniani.

Le manca l'Iran?
Ma certo. E' il mio paese e lo sarà sempre.  Se fossi un uomo, direi che l'Iran è mia madre, e la Francia mia moglie. Ovviamente, non posso dimenticare tutti gli anni in cui mi sono svegliata guardando una montagna innevata alta più di cinquemila metri, che dominava Teheran e la mia vita. E' difficile pensare che non potrò vederla mai più. Mi manca. D'altronde ho la vita che volevo. Abito a Parigi che è una delle città più belle del mondo, con l'uomo che amo, e sono pagata per fare quello che mi piace fare. Per rispetto verso quelli che sono rimasti lì, che condividono le mie idee ma non possono esprimerle, troverei inappropriato e di cattivo gusto lamentarmi.
Se mi lasciassi andare alla disperazione,  avrei perso tutto. Quindi, fino all'ultimo momento, terrò la testa alta e continuerò a ridere, non riusciranno a  distruggermi. Finché sei vivo, puoi protestare e gridare, ma la risata è l'arma più sovversiva di tutte.

 
VINCENT PARONNAUD

Vincent Paronnaud,  alias Winshluss, è nato nel 1970 a La Rochelle. E' uno dei maggiori fumettisti indipendenti di lingua francese.
Insieme al suo amico e collaboratore Cizo ha inventato il personaggio di "Monsieur Ferraille", figura emblematica della rivista Ferraille Illustré, che ha diretto con Cizo e Felder.
Tra i progetti che ha realizzato da solo ricordiamo i fumetti Super Négra (1999) e Welcome to the Death Club and Pat Boon - Happy End  (2001).
Si è imposto all'attenzione del grande pubblico con due candidature al Festival Internazionale del Fumetto di Angoulême - con   Smart Monkey nel 2004, e  Wizz and Buzz  (con Cizo) nel 2007.
Winshluss e Cizo hanno anche firmato insieme la regia di due corti di animazione:
O' BOY, WHAT NICE LEGS (B/N, 1',  2004)
RAGING BLUES (B/N, 6', 2003)
Con Marjane Satrapi, Paronnaud ha scritto e diretto  Persepolis, che è il suo primo lungometraggio.

Intervista a Vincent Paronnaud

Ricorda il suo primo  incontro con Marjane Satrapi?
Sei anni fa mi ha chiesto di dividere con lei il suo studio. Avevo sentito parlare di Marjane, perché già cominciava ad avere un nome. All'inizio ero un po' diffidente, ma ho accettato la sua proposta, anche se con qualche riserva.

Perché?
Sono diffidente di natura! Per di più, quando mi ha chiamato, anche se non ci eravamo mai parlati né incontrati di persona, mi era sembrata eccessivamente  entusiasta!

Che cosa aveva fatto, a livello professionale, prima di allora?
Dopo aver lasciato la scuola, a 17 anni,  mi sono cimentato in campi diversi - disegno, musica, eccetera. Poi ho cominciato a pubblicare romanzi a fumetti [con lo pseudonimo di Winshluss], a scrivere storyboard seriali, e a lavorare a corti di animazione.

Quando ha letto la serie Persepolis, qual è stata la sua reazione?
Stupefatta. Ero nel nostro studio, quando Marjane stava ultimando il secondo volume. All'inizio, avevo qualche perplessità riguardo allo stile "etnico" e un po' infantile che, secondo la stampa, caratterizzavano il suo lavoro. In realtà, sono rimasto abbagliato! I suoi disegni hanno una grande forza, genuina; e il contenuto è altrettanto valido, unisce umorismo e emozione, cosa piuttosto rara.

Si ricorda la prima volta che Marjane le ha chiesto di realizzare un film di animazione tratto dalla serie  Persepolis?
Quando Marc-Antoine Robert si è offerto di produrre Persepolis, Marjane mi ha chiesto di collaborare con lei.  Si sentiva più tranquilla perché io avevo già diretto corti di animazione in bianco e nero. Non potevo rifiutare - amavo il libro e amavo Marjane.  E' stata una straordinaria opportunità, per me, fare qualcosa  che non avevo mai fatto prima, lavorare a un progetto così ambizioso da un punto di vista artistico. Era allo stesso tempo allettante e rischioso.

Quali sono stati i vostri punti di riferimento quando avete cominciato a pensare al film?
Volevamo che il film avesse la stessa energia dei romanzi. Non potevamo accontentarci di filmare una tavola dopo l'altra. In realtà,  i nostri riferimenti sono stati film  con attori in carne e  ossa: io avevo visto molte commedie italiane, perché mia madre le adorava, mentre Marjane è una grande ammiratrice di Murnau e dell'espressionismo tedesco. Così ci siamo ispirati a questi due filoni e poi abbiamo messo insieme le cose che ci piacevano.
I libri di Marjane raccontano la vita di una famiglia, quindi anche il film doveva ruotare intorno a un tema familiare centrale. I codici tradizionali dei film di animazione non sembravano funzionare, così ho usato un montaggio di tipo cinematografico, con molti stacchi veloci. Anche da un punto di vista estetico, abbiamo attinto a tecniche del cinema dal vivo.

Avete visto insieme alcuni film in particolare, prima di cominciare a lavorare a Persepolis?
Io ho visto film come La morte corre sul fiume  e L'infernale Quinlan, e alcuni film d'azione come Duel, che mi hanno insegnato parecchie cose sul montaggio. Quando un film è ben fatto, di qualunque genere sia, c'è sempre da imparare.

Scendendo nei dettagli, come siete riusciti a scrivere insieme la sceneggiatura?
Per tre mesi ci siamo visti ogni giorno per 3-4 ore. Nessuno dei due sa battere a macchina, quindi abbiamo usato una matita, perché si poteva cancellare. Rileggevamo quello che avevamo scritto, togliendo, aggiungendo, riscrivendo, ecc. Abbiamo dovuto trovare il giusto equilibrio tra i momenti cruciali e i dettagli più insignificanti della vita quotidiana; è stato difficile  scegliere le cose da tenere e quelle da eliminare. Dopo un po'ci siamo dimenticati dei libri e abbiamo lavorato alla sceneggiatura e basta.

A differenza dei libri, il film  è un lungo flashback. Come vi è venuta l'idea di fare la prima scena a colori?
Marjane mi aveva raccontato  che un venerdì (il venerdì è il giorno dei voli per Teheran), si sentiva così triste che era andata all'aeroporto con l'intenzione di partire. Ha passato lì tutto il giorno, a piangere guardando gli aerei decollare. Abbiamo pensato che fosse una prima scena fantastica - dà il senso della lontananza, della nostalgia.  E d'altra parte, il film parla di esilio...

Come mai, secondo lei, Marjane ha sentito il bisogno di ripercorrere la sua storia anche in un film?
A parte la sfida artistica, Marjane sta portando avanti una sua battaglia, quindi è naturale che abbia voluto fare il film. Ma è una persona intransigente e onesta, anche con se stessa: è raro trovare libri autobiografici  come Persepolis  scritti con tanto pudore e così poca autocommiserazione.  Marjane vuole lanciare un messaggio, spera di riuscire a dare un'immagine della realtà iraniana diversa da quella che la gente vede alla tv o legge sui giornali. Inoltre le interessa affrontare il tema dell'esilio, cosa significhi per una bambina ritrovarsi catapultata al centro di eventi storici che non riesce a comprendere...

Dato l'aspetto personale, autobiografico di Persepolis,  le è stato difficile trovare un suo spazio durante la stesura della sceneggiatura?
Non è stato solo difficile, è stato atroce! Già è difficile intervenire sul lavoro di un altro, in questo caso poi era anche la vita di un altro - qualcuno che era seduto di fronte a me, qualcuno che conosco e a cui voglio bene. Vedevo il disagio di Marjane, e ho dovuto muovermi con cautela, ma lei mi ha sempre incoraggiato molto. Lo stesso vale per l'aspetto visuale del film - da un punto di vista artistico mi ha dato carta bianca. Ci siamo completati e c'è sempre stato un momento in cui avevamo bisogno l'uno del punto di vista dell'altro.

Quali sono state le sue principali preoccupazioni quando ha cominciato a lavorare al film?
Poiché i personaggi di Marjane non potevano essere altro che in bianco e nero, ci siamo concentrati sulle scenografie. Non potendo avere uno sfondo tutto nero o tutto bianco, siamo partiti da zero. Ho usato fotografie di Teheran e di Vienna, per attingere alla realtà ma senza dipenderne totalmente, e ho lavorato sulle sfumature di grigio, facendo attenzione a non attenuare l'impatto grafico dell'universo di Marjane. Ci siamo concentrati su linee fluide, abbiamo parlato a lungo con Marc Jousset e alla fine quello che è venuto fuori è uno stile classico.

Andando avanti, qual è stato l'ostacolo più difficile da superare?
Mantenere vivo l'entusiasmo: essere sotto pressione per tre anni, e cercare di conservare la nostra visione globale del progetto, è stato difficile. Marjane e io abbiamo avuto un approccio piuttosto atipico ai codici e perfino ai ritmi di lavoro tradizionali dell'animazione. Marc-Antoine sapeva esattamente quello che volevamo e ha lavorato duramente per sostenerci. Come pure Stéphane Roche, il responsabile del compositing.*
Non c'era mai niente di definitivo. Facevamo continui cambiamenti, sperimentavamo nuove idee, cercando di migliorare sempre quello che già era stato fatto. Andare avanti è stato possibile grazie all'aiuto di molti che capivano l'obiettivo che ci eravamo proposti. Un grosso vantaggio è stato quello di avere ogni cosa a  portata di mano, lavorando tutti  insieme nello stesso studio.  Se volevo cambiare qualcosa, mi bastava andare nella stanza accanto e dirlo alla persona che lavorava a quella scena.  Non dirò niente di originale, ma i rapporti umani sono decisivi quando devi fare un film.

Che cosa l'ha colpita di più, durante la lavorazione del film?
Innanzitutto, Marjane e io non abbiamo mai litigato, nonostante fossimo sotto pressione. Per lei è stata dura, era molto stressata. Le persone non se ne accorgevano perché Marjane è sempre  così piena di entusiasmo e di passione, mentre io sono un un gran rompiscatole! Lei me lo diceva spesso. Non mi va mai bene niente, sono fatto così.
Mi ha anche sorpreso il modo in cui mi sono fatto coinvolgere emotivamente. Una volta pensavo di essere piuttosto distaccato, nel mio lavoro, ma c'è qualcosa di profondamente emotivo in questa storia. E Marjane riesce a trasmettere queste emozioni, ma con un grande senso del pudore, una grande modestia. Mi chiedo come faccia.

E' stato lei a fare il nome di Olivier Bernet, per la colonna sonora. Perché ha scelto lui?
Olivier ha capito subito quello che volevamo, e ha lavorato con noi fin dall'inizio. Ho perfino modificato alcune scene, sulla base dei suoi suggerimenti.
In Persepolis  la musica ha un ruolo fondamentale: collega le sequenze e dà unità al film.

Quale ricordo le  è rimasto più impresso di tutta questa esperienza?
Forse la prima proiezione del rough cut, il montaggio provvisorio: Marjane sudava e alla fine è quasi svenuta. Fino a quel momento, si era sempre sforzata di dimenticare che quella raccontata nel film era la sua vita e c'era riuscita. Per fortuna,  perché altrimenti sarebbe stato  intollerabile, sia per lei che per me.

*(compositing: tecnica digitale che combina immagini prese da diverse fonti, per creare una singola inquadratura. Il compositing ha sostituito la tecnica che consisteva nel sovrapporre su pellicola  diverse immagini per ottenerne una unica finale.)

Intervista a Catherine Deneuve
(nella versione originale la voce della madre di Marjane)


Come ha conosciuto Marjane Satrapi?
Leggevo le sue strisce, tempo fa, su Libération. Poi ho letto tutti e quattro i volumi di Persepolis, che ho adorato. Mi piace il suo bianco e nero, e come lo usa - è surreale e realistico al tempo stesso. Mi piacciono il suo spirito, la sua libertà. Mi piace la sua storia che racconta con intelligenza, umorismo, autoironia e passione. La freschezza, l'ambizione e il successo del suo lavoro, oltre al messaggio forte che vuole trasmettere, mi hanno ricordato il Maus di Art Spiegelman. Persepolis  è uno straordinario romanzo a fumetti. Mi è piaciuto così tanto, che in una intervista a un giornale ho persino detto che Marjane era la mia romanziera preferita. Quando mi è stato chiesto di curare un numero speciale della rivista Vogue, tre anni fa, le ho chiesto di essere dei nostri. Lei ha realizzato una striscia che occupava una intera pagina, e che ho trovato assolutamente originale e esilarante.

Si ricorda la prima volta che vi siete incontrate?
Abbiamo preso un caffè insieme e ho notato che fumava almeno quanto me! E' una persona meravigliosa, piena di vita e molto spiritosa. Adoro il suo fascino orientale e la sua dolcezza venata di autoironia. E' una persona allegra e al tempo stesso profonda, ha una visione della vita molto personale. Quando mi ha chiesto di dare la voce a sua madre nel film, ho risposto subito di sì; l'ho fatto per lei e perché era tanto tempo che volevo doppiare un film di animazione.

Può raccontarmi qualcosa della registrazione?
La sceneggiatura di Marjane era fantastica. Era  molto fedele ai libri, ma aveva anche una forte impronta cinematografica. Ci siamo incontrate nel suo studio, e lei recitava e dirigeva seduta di fronte a me, sempre attenta e disponibile. E' stata molto specifica circa quello che voleva, ma mi ha lasciato anche una grande libertà,  dandomi la possibilità di recitare senza guardare la scena e  senza seguire una scaletta precisa.

Che idea si è fatta del personaggio della madre?
E' una madre come tante, alle prese con una figlia adolescente, con le difficoltà della vita. E' comprensiva, affettuosa e  attenta.

Persepolis aggiunge anche un nuovo capitolo a una lunga epopea cinematografica, perché qui lei torna a interpretare la figlia di Danielle Darrieux.
Era quasi inevitabile...  Danielle che fa mia madre e ora anche Chiara che fa mia figlia!


Quale ricordo di Marjane Satrapi porterà con sé?
Quando parla ti ipnotizza. Con la voce dice una cosa e con gli occhi un'altra...
 
Intervista a Chiara Mastroianni
(nella versione originale la voce di Marjane)


E' stata lei a chiamare Marjane Satrapi per chiederle di poter partecipare al film?
Sì. Avevo letto tutti e quattro i volumi di Persepolis  e mi erano piaciuti moltissimo. Un fumetto che univa umorismo, consapevolezza e autoironia senza la minima traccia di autocommiserazione era irresistibile. Già da un po' pensavo che mi sarebbe piaciuto doppiare un film di animazione, così quando mia madre mi ha parlato del film, ho chiamato Marjane e le ho chiesto di farmi fare un provino.

Com' è stato il vostro primo incontro?
Ci siamo viste a casa mia. Prima del nostro incontro, la voce della sua segreteria telefonica mi era sembrata scostante. Ricordo di aver pensato: "Con tutto quello che ha passato, deve essere una dura!" Ma quando poi ho visto i suoi grandi occhiali  e il suo sorriso, quel look un po' punk, ho subito capito che saremmo andate d'accordo!  Io mi ero proposta per la voce di Marjane adulta, ma lei mi ha detto che voleva che fosse la stessa persona a fare anche Marjane adolescente. Ragione in più per fare i provini! 
Quando ho capito che dovevo registrare la voce fuori campo senza il supporto visivo ho cominciato a preoccuparmi. Abbiamo provato e poi abbiamo fatto una prima registrazione. Per fortuna ha trovato la mia voce abbastanza convincente da decidere di lavorarci su. Durante le prove, abbiamo cercato di affinare il timbro, di renderlo più ricco e sfumato.

E' stato stressante o stimolante, interpretare Marjane?
Tutt'e due! All'inizio, è stato un po' stressante. Immagino che debba esserle sembrato strano, dopo aver scritto i libri da sola, avere a che fare con estranei che interferivano con il suo lavoro. Mi rendevo conto che alcune scene facevano riaffiorare in lei ricordi dolorosi ed emozioni, e questo a volte mi ha messo in difficoltà. Ma credo che Marjane sia riuscita a smussare certi toni, nel film come già nei libri. Quando abbiamo registrato l'ultima scena con sua nonna (quando racconta dei fiori di gelsomino infilati nel reggiseno), l'atmosfera nello studio era completamente diversa di quando doppiavamo la scena ambientata a scuola,  in cui Marjane vuole picchiare un compagno!
Stando con lei, ti rendi conto di quanto sia appassionata, ma anche onesta e esigente. E' stata bravissima ad allentare la tensione e l'imbarazzo che è normale avvertire quando stai interpretando la vita di qualcuno che ti sta seduto davanti.  E' stata una lezione importante. Quando arrivavano momenti delicati, lei li sdrammatizzava con una battutaccia.
Mi è servito molto passare del tempo con Marjane, tra le prime e le seconde sedute di registrazione, per capire meglio che persona fosse.

Che cosa l'ha colpita di più di Marjane?
La sua libertà: non è schiava delle convenzioni. Ne ha passate tante da piccola, ma non si è fatta condizionare, ha sempre una gran voglia di imparare e non sale mai in cattedra. Ha conservato lo spirito di un' adolescente, ma è anche estremamente saggia, una combinazione affascinante. Se le piaci, ti ricopre di affetto e di attenzioni, ma è una che sa sempre quello che vuole e non ha paura di dirlo. Non ha paura di niente e non si arrende mai. E' come una calamita, sia nella vita che nel lavoro.

Qual è stato il momento più divertente durante il doppiaggio?
La registrazione del tema "Eye of the Tiger", quello del film Rocky.  Marjane mi ha chiesto di cantarlo stonato. Io le ho chiesto di cantarlo per prima e siamo scoppiate tutt'e due a ridere. Ci siamo divertite un sacco.

Qual è stato il momento più difficile?
Trovare il tono e il ritmo giusto per la voce fuori campo. Le scene con il dialogo non erano difficili, il problema è stata la voce narrante. Era una cosa totalmente diversa.  E' stata la parte su cui abbiamo lavorato di più,  appena il girato è stato disponibile, perché volevo riuscire a dare alla mia voce un ritmo e un tono  che fossero il più possibile in sintonia con le scene.

Si ricorda la prima volta che ha incontrato Vincent?
Non esattamente, ma deve essere stato in studio. E' un timido, devi conquistarti la sua fiducia. All'inizio, credo che avesse delle perplessità su di me, ma questo ha solo rafforzato la mia determinazione a fare i provini. Alla fine, la sua diffidenza mi ha spronato a impegnarmi di più. Quando poi si è convinto, ho capito che doveva avere avuto un buon motivo per farlo.
Mi piace la personalità un po' ombrosa,  da "duro", di Vincent. Credo che lui e Marjane formino una grande squadra perché sono sulla stessa lunghezza d'onda. Anche Vincent è una persona molto corretta, modesta. Ho cercato dappertutto i romanzi a fumetti di "Vincent Paronnaud", senza trovarli! Mi ci sono volute settimane per scoprire che scriveva con lo pseudonimo di Winshluss...

Fino a che punto sono complementari?
 Non avrebbero potuto farcela, l'uno senza l'altra, a realizzare questo film. Erano assolutamente inseparabili. Hanno preso tutte le decisioni insieme.  Li lega un forte sentimento, fatto di rispetto e ammirazione. Sono entrambi molto esigenti, ma a ragion veduta. Non c'è protagonismo, in loro, al primo posto viene sempre il film.  E' stato stimolante  lavorare in un clima di così grande libertà e rigore insieme.
Marjane e Vincent hanno voluto realizzare Persepolis alla vecchia maniera,  lavorando su disegni veri e non su immagini al computer. Per tutti noi è diventata una sfida impegnativa, sia da un punto di vista artistico che professionale.

Sua madre ha spesso interpretato la figlia di Danielle Darrieux, ma è la prima volta che lei interpreta sua figlia....
Sì, mi piaceva l'idea. La cosa buffa è che  ho recitato di nuovo accanto a Danielle poco dopo, nel film L'Heure zero, di Pascal Thomas. E' così che ci siamo conosciute meglio. E' una donna straordinaria. Capisco perché Marjane abbia voluto lavorare con lei. C'è una grande sintonia, fra loro. Danielle è una persona molto  corretta e autoironica. C'è una luce speciale nei suoi occhi e ha sempre un atteggiamento positivo e curioso verso gli altri.

Quale ricordo le resterà più impresso di Marjane e Vincent?
Senz'alcun dubbio la volta in cui stavamo registrando le voci in studio, con Marc, Stéphane e Denis. Lavoravamo su alcuni spezzoni di dialogo e sugli effetti sonori. Marjane giocherellava con la consolle degli effetti sonori e con gli attrezzi di scena. Poi mi ricordo anche Marjane e Vincent  che si divertivano a realizzare brevi filmati un po' surreali sui cellulari! Sembravano due bambini prodigio al lavoro!
 
Intervista a Olivier Bernet
(Compositore, autore della colonna sonora originale)


Che cosa l'ha attratta di più, in questo progetto? Conosceva i romanzi a fumetti di Marjane Satrapi?
Mi erano piaciuti i libri di Marjane, il suo modo di disegnare, il suo senso dell'umorismo. Era anche la prima volta che mi veniva chiesto di comporre la colonna sonora di un film. Il fatto che fosse un film di animazione rendeva la sfida ancora più impegnativa; sono film che richiedono tempi di lavorazione molto lunghi, e un continuo  lavoro di perfezionamento, di rifinitura... soprattutto se lavori con Vincent, che è uno che non si accontenta mai.  Così ho capito che avrei dovuto  adattarmi anch'io.

Dove e quando ha conosciuto Vincent Paronnaud?
Nei bagni del liceo, a Pau!  Si stava esibendo con un amico in un saggio di beatboxing*. Ci siamo conosciuti grazie alla musica e abbiamo fatto parte insieme di un paio di band, prima di dare vita agli Shunatao, a metà degli anni '90.
(*tecnica di percussione vocale,  che vede tra i suoi esponenti più famosi Bobby McFerrin, ma è  diffusa anche e soprattutto nella cultura hip-hop - NdT)

Come definirebbe la musica degli Shunatao?
Be', non è facile... abbiamo pubblicato sette album, e dall' uno all'altro lo stile cambia drasticamente. Diciamo rock, con un po' di blues, jazz e techno....

Che  tipo di musicista è Vincent? Quale strumento suona?
La chitarra. E' un musicista di talento, con ottime idee. Per il film, io suggerivo una musica allegra per illustrare i sentimenti di Marjane nella scena in cui scopre lo shopping e i supermarket a Vienna. A lui sembrava una buona idea enfatizzare il fatto che quello diventa il suo passatempo principale perché si annoia. Allora,  ha deciso  che la musica doveva ripetersi, come un disco rotto. Ecco come lavora Vincent!  Il problema è stato decidere quando doveva partire lo scratching e stare attenti a fermarci sull'immagine giusta... Insomma, una bella fatica!

Che cosa le hanno detto, Marjane e Vincent, del tipo di musica che volevano per Persepolis?
Vincent e io ne abbiamo parlato molto  all'inizio. Ho incontrato Marjane solo in una fase avanzata del progetto, quando la  colonna sonora era già a buon punto. Le istruzioni di Vincent erano chiare: niente musica etnica, niente di troppo marcatamente orientale. "Non fare finta di essere Peter Gabriel, fai quello che sai fare meglio e basta."


Ha lavorato sui libri? Sulla sceneggiatura? Sulle immagini?
Tutte e tre le cose. Quando Vincent mi ha parlato del film, ho riletto i libri e ho cominciato a fare qualche prova. Poi, ho potuto lavorare sull'animatic*: ogni volta che era pronta una scena,  me la mandavano.  Io allora ci lavoravo sopra. E' stato un po' stressante, all'inizio, ma poi ci ho preso gusto!
(*animatic  - storyboard animato che dà un'idea iniziale della regia e dei movimenti della macchina da presa - NdT)

Il mondo di Persepolis è molto vario, spazia dal dramma al fantastico, dall'ironia all'emozione. Ha cercato di rendere questa varietà nella sua musica, o piuttosto di dare unità al film?
Tutt'e due le cose. Diciamo che il film è fatto di quattro parti distinte, quindi  ho dovuto creare quattro diverse atmosfere musicali. La prima e la seconda sono piuttosto tristi, e realizzate essenzialmente  con strumenti a corda. Le scene dei sogni  (o i dialoghi con Dio) sono essenziali: un pianoforte e qualche strumento a corda. Mi sono divertito, nella prima parte del film, a musicare la scena in cui la gente balla sulla disco music: doveva sembrare disco music iraniana, beh, o almeno l'idea che mi ero fatta della disco iraniana! Per altre scene, ho attinto al CD di un gruppo rock iraniano, che mi aveva prestato Marjane. La terza parte è la più particolare, ed  è quella ambientata a Vienna, con i concerti rock, gli hippie nei boschi con le chitarre, i locali notturni, eccetera. La musica ha un ruolo importante nel film, diventa parte integrante dell'ambientazione e dell'azione. In un locale notturno, uno dei protagonisti dice: "Che musica di merda!". Era una sfida impegnativa, per me, una specie di esercitazione estetica, molto stimolante per un musicista.

In che modo pensa che Vincent e Marjane si completino?
Non saprei esattamente, perché non conosco Marjane così bene. Quello che posso dire è che Vincent è un artista innovativo e esigente e un gran lavoratore. Quando ho visto il film sono riuscito a riconoscere il suo stile, perché ci conosciamo da una vita. Non faccio fatica a immaginare il tipo di complicità e collaborazione che si è creata fra loro.
 
L'ANIMAZIONE

L'animazione di Persepolis  è stata realizzata da due studi specializzati: "Je suis bien content" e "Pumpkin 3D".

Intervista a Marc Jousset
(JE SUIS BIEN CONTENT)


Perché ha deciso di realizzare Persepolis  in modo quasi completamente "tradizionale", senza usare immagini generate al computer?
Il problema di quale tecnica usare è emerso quasi subito quando abbiamo cominciato a parlare del film. Siamo partiti con immagini in 2D su pen tablet, ma non eravamo del tutto soddisfatti del risultato: le linee mancavano di definizione. Ci sembrava  naturale che Marjane dovesse  lavorare con gli animatori utilizzando i suoi strumenti del mestiere, carta e inchiostro. Era chiaro che la tecnica di animazione tradizionale fosse la più adatta per rendere l'idea del film che avevano Marjane e Vincent.

E' un film di animazione con molti personaggi.
Lo sviluppo ha richiesto tempi lunghi, proprio a causa del numero dei personaggi. Il personaggio di Marjane prevedeva cinque fasi: bambina, pre-adolescente, adolescente, ragazza e donna adulta. Dal momento che la storia era basata su eventi reali e si svolgeva a Teheran prima sotto il regime dello Scià, poi durante la rivoluzione di Komeini (per non parlare del periodo austriaco),  abbiamo dovuto tener conto di come era vestita la gente. Poi ci sono scene ambientate all'università,  negli aeroporti, a un concerto punk: era impossibile disegnare solo due o tre personaggi, abbiamo dovuto animare un sacco di comparse. Comunque, siamo stati fortunati: Marjane ha disegnato tutti quanti i personaggi. Io pensavo che avremmo avuto dovuto fare almeno 200  model sheet * -  ogni personaggio visto da diverse angolazioni - mentre alla fine  ne abbiamo fatti più di 600! Credo che sia un record, per un film di animazione.
(*model sheet -  prove grafiche dei personaggi - NdT)

L'uso del bianco e nero ha complicato le cose?
Realizzare un film di animazione solo in bianco e nero richiede una grande disciplina. Da un punto di vista tecnico, non puoi fare errori. Se c'è anche solo un occhio che non è nella posizione giusta, o un personaggio disegnato male, sul grande schermo si vede subito. E' perfino più evidente in un film di animazione come questo, senza effetti speciali di alcun tipo. Ci avvicinavamo all'animazione giapponese per via del realismo della storia, ma non abbiamo  potuto applicare le tecniche utilizzate nei manga - nessun giochetto, nessun trucco.
Con  il direttore dell'animazione,  Christian Desmares, hanno lavorato al film 20 animatori, a ognuno dei quali è stata affidata una sequenza (1.200 inquadrature). Marjane ha insistito per farsi riprendere mentre le interpretava tutte, e col suo talento naturale di attrice è stata una fonte infinita di ispirazione per gli animatori,  indirizzando in modo estremamente preciso il loro lavoro. Vederla così impegnata e appassionata è stato anche un grosso stimolo per tutti -  è raro che il regista di un film di animazione dimostri tanto interesse per le fasi giornaliere della lavorazione.
Dopo gli animatori, gli aiuto-animatori hanno proceduto ai ritocchi finali, confrontando i disegni con gli originali. I disegni di Marjane sono molto semplici e stilizzati, ma difficili da animare, perché hanno pochissimi tratti distintivi. I fumetti realistici richiedono davvero una grandissima precisione.

Quanti disegni sono stati necessari per Persepolis?
Circa 80 mila disegni per circa 130 mila immagini. E' abbastanza normale per un film di animazione realizzato in modo tradizionale.

Quali sono, secondo lei, le qualità migliori di Marjane Satrapi?
E' una combinazione di rigore e generosità. E' stata sempre disponibile con tutti, e non si è mai comportata da diva, come fanno quei registi che si fanno vedere una volta alla settimana  per dare i voti. Senza pensare al dolore che certi ricordi potevano risvegliare, si è dedicata anima e corpo a questo lavoro. Ha perfino animato alcune scene del film. Questo ha creato un clima di collaborazione davvero  straordinario all'interno della nostra squadra.

E di Vincent Paronnaud?
Il  suo rigore, il suo "occhio" e il suo coraggio. Marjane e Vincent hanno privilegiato il contenuto, pur rispettando lo stile grafico del fumetto. La storia ha sempre avuto la precedenza Persepolis non è un film fatto da tecnici, è stato realizzato come se fosse un film dal vivo.
Vincent è bravissimo nella direzione artistica, nella composizione, a giocare col bianco e nero e anche Marjane se la cava benissimo. Lei, però, si concentra di più sulla resa di emozioni e sentimenti. Si stimolavano a vicenda. E' incredibile vederli lavorare insieme. Sono una squadra eccezionale.

Qual è stata la sfida più impegnativa, per lei?
Rispettare le scadenze e stare dentro al budget senza penalizzare la qualità del nostro lavoro. Il budget era di 6 milioni  di euro, che è una cifra ragionevole per un film in 2D fatto in Francia.
Raramente ho visto una squadra così coinvolta in  un progetto, non solo da un punto di vista tecnico, ma anche emotivo. A darci quella spinta in più credo sia stato  proprio il fatto che il film raccontava una storia vera e che la protagonista lavorava con noi. In più, era un film di animazione che si rivolgeva a un pubblico adulto, affrontando un tema di drammatica attualità.  

Intervista a Pascal Chevé
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Qual è stata la difficoltà maggiore, nella lavorazione di  Persepolis?
Forse la cosa più difficile è stata trovare un modo nuovo di far muovere i personaggi.  Per una volta, avevamo di fronte la persona che aveva vissuto davvero quegli eventi, che poteva parlarci dei personaggi che dovevamo disegnare, delle loro reazioni. Il nostro lavoro consisteva nel trovare un modo credibile di farli muovere. Stavamo realizzando un vero film, con personaggi che avevano sentimenti veri e vivevano eventi drammatici reali. Il film trabocca di emozioni, emozioni che ci hanno coinvolti tutti, fin dall'inizio. Forse è per questo che ci siamo impegnati tutti così tanto.
 
Intervista a Marc-Antoine Robert e Xavier Rigault
(2.4.7. FILMS)


Persepolis è la vostra prima produzione. Da quali esperienze venivate?

Marc-Antoine Robert:  Veniamo da contesti professionali diversi che si integrano  a vicenda. Io ho cominciato  lavorando nella distribuzione, poi  ho lavorato  al CNC (Centre National de la Cinématographie), nel settore della produzione, e alla fine sono stato direttore finanziario di France 3 Cinéma per cinque anni.
Xavier Rigault:  Io  sono entrato alla Pathé 14 anni fa, e da allora ho ricoperto incarichi diversi, all'inizio nel settore della programmazione cinematografica, poi  come direttore della prima multisala francese e poi nella direzione del gruppo Pathé-Gaumont.  Oggi dirigo l'ufficio programmazione della Pathé-Gaumont e sono socio di Marc-Antoine alla 2.4.7. Films.

Siete diventati produttori per poter realizzare questo film o stavate aspettando il momento giusto per mettervi a produrre e questo film vi è sembrata l'occasione ideale?

Marc-Antoine Robert:  Denis Château ci ha presentati e abbiamo deciso di fondare insieme la 2.4.7. Films. Volevamo produrre film, ma senza troppa fretta perché già avevano entrambi un lavoro molto gratificante. Cercavamo il progetto giusto. Io conoscevo la nuova generazione di fumettisti francesi abbastanza bene e sono amico di Marjane. Le avevo proposto di scrivere una sceneggiatura originale, perché non avevo nessuna intenzione di lavorare a un film di animazione - ne abbiamo prodotti diversi, con France 3 Cinéma e sapevo quanto fosse complicato. Ma alla fine, ci è venuta questa folle idea di fare un adattamento di Persepolis e trasformarlo in un film di animazione in bianco e nero!
Xavier Rigault:  Ci hanno convinto la forza del soggetto, l'originalità del progetto e il talento di Marjane e Vincent. Io non leggo molti romanzi a fumetti, ma ricordo di aver letto Persepolis e aver pensato che fosse qualcosa di assolutamente nuovo e originale. Al di là del messaggio forte sull'ascesa del fondamentalismo religioso in medio-oriente, Persepolis racconta una storia intensa e universale sul valore dell'integrità. Quanto al bianco e nero, abbiamo smesso di preoccuparci quando Marc-Antoine ha scovato una lettera di Truffaut, scritta ai tempi di Finalmente domenica!,  in cui il regista fa un lungo elenco degli ultimi capolavori in bianco e nero...

Qual'era il budget del film?

Marc-Antoine Robert:   6 milioni di euro. Supera di poco la media di un film francese, ma è un budget normale per un film di animazione.
Xavier Rigault:  Per un film interamente realizzato in Francia, e senza animazione digitale computerizzata, è abbastanza normale.

Kathleen Kennedy, amica e produttrice di Spielberg, compare come produttore associato. Come è entrata nel progetto?

Marc-Antoine Robert: Ha scritto una e-mail a Marjane per acquistare i diritti di Persepolis.
Xavier Rigault: Noi le abbiamo risposto che li avevamo già acquistati e che il film era in pre-produzione, ma eravamo aperti a vagliare eventuali proposte di collaborazione. Kathleen Kennedy è una di quelle rare persone che non puoi ignorare! Le abbiamo inviato la sceneggiatura e lei ne è rimasta entusiasta. Ha detto che avrebbe fatto il possibile per aiutarci e così è stato: ci ha trovato un distributore americano, Sony Classics, che ha acquistato il film ancora prima che fosse finito, cosa estremamente rara. Dopodiché ci ha aiutato a trovare le voci americane, per il doppiaggio.

Avete deciso subito che il film dovesse essere realizzato con tecniche di animazione tradizionali e che per questo avreste dovuto aprire uno studio apposta?

Marc-Antoine Robert: Ce ne siamo resi conto quasi subito. Basta dare un'occhiata al romanzo a fumetti originale, per capire che non può diventare un film Pixar! Con Marjane e Vincent abbiamo deciso che non doveva essere una semplice trasposizione cinematografica della storia, ma un film capace di rendere lo stile grafico del fumetto. Anche se non era possibile avere solo bianchi e neri,  perché sarebbe stata una limitazione troppo forte dal punto di vista artistico.
Xavier Rigault:  Probabilmente, il lavoro più lungo è stato trovare la chiave grafica giusta per portare sullo schermo l'atmosfera del romanzo a fumetti. Per tre mesi, Marjane e Vincent hanno fatto un grosso lavoro di ricerca,  sperimentando idee diverse e valutandone la resa sul grande schermo.
Marc-Antoine Robert: Contemporaneamente, facevamo progressi sul fronte dell'animazione. Marjane e Vincent sono creativi e responsabili. Appena abbiamo ottenuto i primi finanziamenti, abbiamo preso in considerazione l'idea di aprire uno studio. In un certo senso è stato l'aspetto autobiografico della storia a rendere necessaria questa scelta. Pensavamo che fosse importante che tutti gli animatori e  i disegnatori potessero parlare con Marjane e Vincent in qualsiasi momento, ogni giorno... Sia Marjane che Vincent sono stati sempre presenti in studio e a disposizione di tutti.
Xavier Rigault:  Mi ha molto commosso il modo in cui  Marjane è riuscita a riprodurre il suo lavoro in un'altra dimensione. E' stata una seconda avventura artistica e personale, per lei.
Marc-Antoine Robert: Ovviamente, la storia appartiene a Marjane, ma se conosci il lavoro di Vincent, ti accorgi che dentro ci sono anche pezzi del suo mondo.

Quale ricordo conserverete di questa avventura?

Marc-Antoine Robert: Ce ne sono molti, ma io direi la nostra prima riunione di lavoro,  in un ristorante, nel dicembre 2004. Marjane ci ha presentato Vincent e insieme ci hanno raccontato la trama. Hanno parlato a lungo,  spiegandoci  tutto per filo e per segno. C'era un uomo, seduto al tavolo vicino al nostro e quando si è alzato per andarsene ha detto: "Spero che il vostro progetto vada in porto, è straordinario!"  Non  ho mai dimenticato quell'uomo.
Xavier Rigault: Umanamente, è stata una esperienza meravigliosa...
Marc-Antoine Robert:  Da una parte c'era l'enorme carico di lavoro, dall'altra persone totalmente coinvolte e impegnate, che però riuscivano anche a divertirsi un mondo! Ricordo anche la prima proiezione in 35 mm del materiale girato, sul grande schermo. Marjane è quasi svenuta, e credo abbia dovuto bersi parecchi cognac per riprendersi, alla fine!