Michael Cimino, un genio del cinema incompreso e apprezzato troppo tardi: i migliori film

Michael Cimino, un genio del cinema incompreso e apprezzato troppo tardi: i migliori film
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A differenza dei colleghi della New Hollywood suoi contemporanei, come il pluripremiato Francis Ford Coppola o l'acclamato Martin Scorsese, Michael Cimino per tutta la sua carriera ha dovuto lottare contro il sistema e l'industria uscendone nella maggior parte dei casi letteralmente a pezzi.

I suoi film, dai temi tanto complessi quanto complessa fu la loro produzione, a Hollywood hanno sempre avuto vita difficile: anche Il cacciatore con Robert De Niro, per quanto stra-premiato agli Oscar con tanto di miglior regia e miglior film, andò incontro a pesanti accuse di fascismo e razzismo, e nonostante l'acclamazione iniziale avrebbe paradossalmente segnato la fine (sul nascere) della carriera dell'autore: al di là della forte passione della critica europea, soprattutto francese, che avrebbe portato ad una tardiva riscoperta del cinema di Michael Cimino, la stampa americana è stata sempre avversa ai suoi film, tanto che contribuì alla caduta dell'ambizioso I cancelli del cielo già a partire dai lunghi reportage che arrivavano dal set durante le riprese.

Cimino, al terzo film (l'esordio avvenne con Una calibro 20 per lo specialista, con protagonisti Clint Eastwood e Jeff Bridges) venne bollato come regista sgradito a Hollywood, forse più del titanico Coppola: nei suoi film del resto emerge fortissimo l'attacco al sogno americano, criticato attraverso ogni epoca (dal western de I cancelli del cielo al Vietnam de Il cacciatore, passando per la modernità de L'anno del dragone e gli interni della borghesia capitalista di Ore disperate, entrambi con protagonista Mickey Rourke). I suoi film raccontano l'ambivalenza dell'America, le diseguaglianze di una nazione perduta e formatasi attraverso una Storia violenta, messa in scena attraverso lo scontro di due protagonisti che spesso rappresentano l'uno lo specchio dell'altro, ed è incredibile come, nonostante tutto l'ostracismo sopportato, e senza la libertà creativa di cui hanno potuto godere i suoi colleghi, questo autore sia riuscito a completare una filmografia così intensa e completa nella sua brevità (appena sette lungometraggi), così esaustiva e categorica. Oliver Stone, che con lui co-sceneggiò L'anno del dragone, disse di Cimino: "Lui non dorme mai. È una personalità ossessiva. È il più faraonico dei registi con i quali ho mai lavorato, e il suo sguardo è sempre fisso sul futuro."

Non a caso forse Verso il sole, il suo ultimo film - escludendo il cortometraggio No translation needed, episodio del film collettivo Chacun son cinéma - va a chiudersi con un'immagine che riassume alla perfezione l'ipertesto di Michael Cimino: un uomo minuscolo al centro di un paesaggio vastissimo (il suo cinema è un cinema dell'immensità, fatto di alcuni dei migliori campi lunghissimi e totali mai filmati) che, attraverso una dissolvenza passata alla storia, sembra risucchiarlo nel suo verde. L'uomo minuscolo scompare in quell'immensità, come sarebbe scomparso Michael Cimino: del quale però, per fortuna, il cinema non si è dimenticato.