Marie Cotillard, miglior attrice protagonista agli Oscar 2008

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Marion Cotillard ha trionfato alla notte degli Oscar© aggiudicandosi il premio come migliore attrice protagonista. L'Accademy ha premiato lo straordinario talento della giovane interprete francese che ha portato sullo schermo tutto il dramma e la passione dell'icona Edith Piaff. La Cotillard, aveva da poco ricevuto il Golden Globe Award e il British Academy Film Award. Grande soddisfazione anche per il premio andato ai truccatori, Jan Archibald e Didier Lavergne, che hanno curato la trasformazione della bellissima Cotillard in Piaff. I contenuti speciali dell'edizione dvd de "La vie en rose" conducono lo spettatore dietro le quinte del film mostrando il lavoro attento e meticoloso di Archibald e Lavergne che è valso loro il prestigioso premio.Di seguito è anche disponibile, in italiano, una lunga intervista che la Cotillard ha rilasciato all'uscita del film.

La vie en rose di Marion Cottilard...

Quando avevo poco più di vent'anni, ero molto presa dai cantanti del movimento de "la chanson réaliste" e ascoltavo spesso Fréhel, Yvette Guilbert, Aristide Bruant e, naturalmente, Edith Piaf. Le sue canzoni mi commuovevano più delle altre perché lei cantava di emozioni pure, vere, assolute, con una voce che ti arrivava fin nelle viscere. A quel tempo non sapevo quasi nulla di lei, ma già conoscevo a memoria canzoni come Les amants d'un jour , L'hymne à l'amour e La foule. In seguito, in parecchie occasioni ho ascoltato le sue canzoni prima di interpretare una scena per raggiungere uno stato emotivo, vulnerabile . La Piaf mi aiutato come attrice molto prima che avessi l'opportunità di interpretarla.

Il mio agente mi aveva detto molto prima che Olivier Dahan stava scrivendo un film sulla Piaf e aveva pensato a me per la parte, ma l'esperienza mi aveva insegnato a non far troppo caso alle voci fino a quando non avessi avuto fra le mani il copione. Nei mesi che seguirono, avevo sentito ogni tanto altre voci e m'ero tolta di testa tutta la faccenda, quando un giorno Olivier mi chiese d'incontrarlo. Ci siamo intesi subito, andando molto d'accordo, come se fosse ovvio che un giorno le nostre strade si sarebbero incrociate.

Prima di quell'incontro, avevo dato un'occhiata a qualche foto della Piaf. Non volevo essere presuntuosa e investire troppa energia in una parte che non mi era neanche stata offerta, ma non potei fare a meno di propormi di scoprirla. Quando mi resi conto che Olivier intendeva veramente far il film con me, fui impaziente di cominciare. Mi diede il libro di Jean Noli sugli ultimi tre anni di vita della Piaf. La mia ammirazione per lei non fece che crescere quando scoprii che genere di vita aveva vissuto. Allora la sceneggiatura era più lunga ma già notevole. Olivier aveva costruito un ritratto della Piaf intimo, equilibrato e molto umano. Il testo era pieno di momenti cruciali, incontri destinati a cambiare una vita, rotture, abbandoni, speranze e amori. Un film normale non contiene quasi mai scene a quel livello, mentre questo ne è zeppo. Credo infatti che l'intensità con cui la Piaf affrontasse i buoni e i cattivi momenti spieghi perché ci abbia lasciato a soli quarantasette anni.

La mia era una parte straordinaria, ma mi resi presto conto quanto sarebbe stato impegnativo interpretare la Piaf dai suoi inizi fino alla morte. Non avevo mai avuto un ruolo simile prima. Nessuno mi aveva mai chiesto di interpretare una donna come lei, una vita come la sua. Per me era tutto nuovo. Ero nervosa, ma non mi sfiorò mai il minimo dubbio. Forse ciò era dovuto al fatto che Olivier non ebbe mai dubbi. Aveva fiducia in me, ed era quello di cui avevo bisogno. Quello che mi impedì di finire in preda al panico.

Benché avessi immaginato che sarebbe stato difficile, non ero riuscita a immaginare quanto!

A ottobre del 2005, appena terminate le riprese di A GOOD YEAR di Ridley Scott, cominciai a lavorare ogni giorno. Aprivo il copione, leggevo quelle scene meravigliose e poi lo chiudevo subito, osando a malapena pensare a quel che mi attendeva. Una vocina mi diceva di aprirlo di nuovo e andare avanti con la lettura perché presto sarei stata nella Brasserie Julien a recitare quella scena. O nell'appartamento di Boulevard Lannes a leggere Non, je ne regrette rien per la prima volta, e avrei dovuto interpretare quella scena. O sarei stata distesa sul suo letto di morte, e non avrei potuto più ritirarmi! Così andavo avanti a leggere la sceneggiatura, con il cuore che mi batteva forte.

Altre volte ero stata così apprensiva da sentirmi di telefonare al regista per dirgli di chiamare un'altra attrice. Ma per questo film, anche quando ero ridotta a un groviglio di nervi, non mi sarei mai tirata indietro, nemmeno una volta! Dall'inizio dissi che avrei avuto bisogno di lavorare con un coach, non per problemi fisici o per sentirmi rassicurata: volevo che al mio fianco ci fosse qualcuno pronto a incontrare la Piaf con me. Avevo già lavorato con Pascal Luneau e lui mi indicò qualcosa che per me fu assolutamente vitale. Provavo una tale ammirazione per la Piaf, che alcuni suoi aspetti mi risultavano incomprensibili, specie quello tirannico. Pascal mi aiutò a capire che la mia ammirazione mi impediva di arrivare fino in fondo al suo carattere. Perdere un po' di quell'ammirazione non avrebbe voluto dire che non mi piaceva più, ma che potevo arrivare a un altro livello. Smisi di sminuirmi paragonandomi a lei, e così riuscii a capire quel che non mi piaceva della sua personalità.

Alla fine arrivai a volerle bene comunque perché mi resi conto che l'unica cosa che lei non riusciva a sopportare era restar sola. Per evitarlo, lei non si fermava dinanzi a nulla, anche se ciò significava tiranneggiare chi amava.

Non avevamo mai lavorato sulle caratteristiche fisiche del personaggio - come camminasse, si muovesse, parlasse - ed ecco che, il primo giorno sul set, sentendo "Azione!", mi viene fuori dalla bocca questa voce che non avevo mai sentito prima. La mia preparazione si era tutta concentrata a osservare, a immergermi in Edith Piaf. Avevo visto tante registrazioni e ascoltato tante interviste da scatenare dentro di me un processo interiore. Fin dall'inizio, non avevo avuto la minima intenzione di imitarla soltanto. Il mio scopo era creare dentro di me spazio sufficiente perché lei si sentisse a suo agio, pur senza che io scomparissi del tutto. Dovevo accettarla con calore perché potessimo intenderci e creare qualcosa insieme. Essere attore vuol dire riuscire a invitare dentro di sé il personaggio, o a tirarlo fuori, dividendo con lui quel che sei. Quando interpreti Fedra, è come se dipendessi da lei. Ovvio, quando interpreti qualcuno così forte e presente come la Piaf, ne sei dominato. Qualcuno può ritenerlo un po' mistico, ma tutto quel che posso dire è che dopo aver passato tanto tempo a osservarla, ascoltarla e amarla, ebbi spesso l'impressione che fosse accanto a me. Ero tanto immersa nel modo in cui lei si muoveva e parlava, fino alla minima inflessione della voce, che mi pareva lei esistesse dentro di me.

Arrivavo sul set per incontrarmi di nuovo con lei! Non sto cercando di dare un effetto mistico o esoterico a tutto questo, dico solo che si è trattato di un incontro, un incontro eccezionale. Qualcosa di lei si è ricreato dentro di me. E' durato solo il tempo delle riprese. In certi momenti, sentivi la sua presenza. Spesso mi pareva che stessimo lavorando insieme. Poi, metti da parte il tuo ego e ti lasci andare. Fa paura ma è molto emozionante. La prima scena che ho dovuto interpretare così è stata quella nell'appartamento di Boulevard Lannes, quando Charles Dumont le porta Non, je ne regrette rien. Mi scoprii a parlare e muovermi come avessi la Piaf dentro di me. Anche se dovemmo ripetere più volte, anche se fu duro, fu allora che mi resi conto che mi sarebbe piaciuto immensamente "fare" la Piaf.

Le prove di trucco furono un vero inferno e molti truccatori fecero fiasco. Ogni volta cominciavamo con un truccatore nuovo, e questo mi preoccupava molto perché i risultati non erano mai quelli che ci aspettavamo. Sapevo che, per quanto la mia interpretazione potesse essere valida, se il trucco non funzionava il pubblico non sarebbe stato convinto.

Didier Lavergne ha fatto un lavoro sorprendente, nonostante avesse meno tempo di quel che una sfida del genere richiede. Il trucco tuttavia nel tempo dovette subire alcune modifiche e fu necessario rifare qualche scena.

Interpretare la Piaf degli anni giovanili fu più semplice perché non c'era bisogno di molto trucco.

Sul set Olivier usa pochissime parole, ma tutte molto precise. Dirige visivamente, descrivendo le cose. Può sembrare un metodo meccanico, ma per lui è totalmente intuitivo e per me ha funzionato alla perfezione. Ci ha offerto alcuni momenti magici, come la sequenza in cui la Piaf scopre che Cerdan è morto. Conoscevo le dimensioni del set al millimetro - una lunga hall che dovevo percorrere più volte in su e in giù. Avevamo provato tutti la scena. Dovevamo essere tutti esattamente nel posto giusto. C'era un brusìo d'eccitazione - eccezionale energia positiva. Non potevamo permetterci di sbagliare nulla perché avrebbe significato dover rifare tutto daccapo. Svegliandomi quella mattina pensai a Roberto, l'operatore alla steadycam, e a Chris, l'assistente operatore addetto ai fuochi, e dissi a me stessa che sarebbe andato tutto sul velluto. Quando la scena fu completata, provammo tutti una sensazione fantastica.

I componenti della troupe furono i primi a vedere la mia trasformazione e, ad esser sinceri, io provavo un certo panico perché li ammiro molto. Ero specialmente nervosa nelle scene dove interpretavo la Piaf degli ultimi anni. Non dimenticherò mai la prima scena con Pascal Greggory, Marie-Armelle Deguy, Elisabeth Commelin e Jean-Paul Muel. Furono tutti meravigliosi.

Eravamo tutti diretti a una stessa meta.

A me piace cantare ma il processo tecnico di mimare su una base sonora fu per me difficilissimo, semplicemente perché volevo essere perfetta. Lavorai con un'insegnante di canto per imparare come cantasse la Piaf - i movimenti del corpo e della lingua e la respirazione. Era talmente complicato da farmi quasi impazzire.

Se avevo i nastri di una canzone particolare, analizzavo l'interpretazione. Notai che non è sufficiente seguire il ritmo, quando si mima il canto. La respirazione è vitale. Io mi appuntavo il momento esatto in cui lei respirava, poi avviavo la musica e mi filmavo mentre cantavo di fronte alla cinepresa. Passai intere notti a prendere appunti su quel che non dovevo fare!

Volevo che fosse davvero la Piaf.

In questo film ci son stati momenti davvero fantastici, per esempio quando abbiamo girato nell' Olympia, la sala da concerti di Parigi, dove la Piaf fece un grandioso ritorno sulle scene con Non, je ne regrette rien. Ginou Richer, un'amica molto intima della Piaf, era tra il pubblico. Sensazione incredibile averla sul set. Dev'essere stato strano anche per lei. Quando arrivai sul palco per cantare quella canzone, con Ginou presente, fu qualcosa di assolutamente magico.

Non mi accosterò mai a un ruolo nello stesso modo.

La Piaf mi ha insegnato tanto: per quel che riguarda il mio lavoro, mi piacerà ancora di più perché ora so che i personaggi esistono realmente in sé. Dovrò solo impegnarmi a portarli in vita con ancor maggiore intensità.

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