Donald Glover, un arrampicamuri afroamericano per Afro Samurai

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La notizia ha dell'epocale, un po' come la sperata svolta della presidenza Obama, ma al cinema. E non solo. L'anno scorso circolava infatti la voce che per The Amazing Spider-Man ci sarebbe stato un attore di diversa etnia a ricoprire il ruolo, finora tipicamente caucasico, di Peter Parker. Tali voci, con la scelta di Andrew Garfield, si rivelarono infondate, ma il diretto interessato, Donald Glover, non è stato lì ad aspettare e si è appropriato di un altro ruolo di spicco, quello per Afro Samurai. Insomma, dalle ragnatele alle katana il passo, almeno nel mondo dei fumetti, è davvero breve.

La presenza di Glover, noto al grande pubblico per i suoi copioni da commedia, sembra calzare a pennello sotto l'egida di Samuel L. Jackson, produttore della pellicola e voce dell'originale in versione animata.
Il live action di questo esperimento con radici fumettistiche e videoludiche si arricchisce quindi di un tassello importante: di sicuro il celebre doppiatore della serie animata è troppo in là con gli anni per vestire gli agili panni del protagonista, ed è qui che Donald Glover, a scapito dei suoi 28 anni, può fare la differenza.
Certo, l'attore non si è mai concesso fuori dal seminato della commedia leggera, ma stando al suo commento c'è di che sperare: "Sarà una bomba, santo cielo! Amerei davvero fare una cosa simile".
Un contatto fra Glover e Jackson effettivamente c'è stato, quindi la macchina produttiva ha già iniziato a carburare.

In ogni caso si può parlare a buon diritto di saggio transmediale, avendo attinto per la pellicola da un fumetto e da una serie animata poi sperimentati videoludicamente.  Un caso celebre di questo mash-up è l'espansione del canone narrativo di Matrix con i cortometraggi disegnati di Animatrix e la produzione videoludica della trilogia cinematografica di Andy e Larry Wachowski.
A scapito della qualità generale, è fuori discussione la bontà di un'esperienza che lo studioso Henry Jenkins riconosce nella cifra di quella che si chiama cultura convergente.
E, anche con un samurai africano, la cosa cambia di poco.