Cecchi Gori: le riflessioni del tycoon del cinema italiano

Cecchi Gori: le riflessioni del tycoon del cinema italiano
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Vittorio Cecchi Gori ha recentemente rilasciato un'intervista all'Agenzia Giornalistica Italia nella quale si racconta e parla di molte delle questioni che sono scottanti al momento, compreso il caso Weinstein.

L'occasione dell'intervista è stata la realizzazione di un film documentario sulla vita di Vittorio Cecchi Gori, progetto in corso di realizzazione. Del campo di lavoro che ha scelto, il cinema, Cecchi Gori ha detto:

"Nella vita non avrei potuto fare altro che il cinema, perché l’ho respirato da sempre in casa. Ma la vera folgorazione la ebbi a nove anni quando mio padre mi portò sul set di “Napoletani a Milano”. Lì, dove Eduardo De Filippo mi teneva sulle sue ginocchia ossute fui conquistato dalla forza del cestino, dalle maestranze e dalla magia del cinema."

Ecco alcuni stralci dell'intervista, che trovate integralmente QUI.

"Vittorio Cecchi Gori, non teme l’effetto “coccodrillo”?

"Ma questo docufilm mica metterà il sigillo alla mia vita. Spero di fare tante altre cose. Vorrei dedicarmi a quello che so fare meglio, la produzione. In fondo non mi sono mai fermato, due anni fa ho coprodotto Silence, di Martin Scorsese, purtroppo non è andato così bene. I film vengono meglio quando io sono presente sul set. Sogno da tempo di riuscire a dare vita al remake de Il Sorpasso, pietra miliare del cinema prodotto da mio padre. Alla regia vorrei Marco Risi ma come attore non penso ad Alessandro Gassman, figlio di uno dei due protagonisti del primo film. Perché non bisogna cadere nell’errore di scimmiottarlo: i protagonisti potrebbero essere Pierfrancesco Favino e Marco Giallini. Giallini l’ho apprezzato parecchio in Perfetti sconosciuti, uno dei pochi film italiani che ultimamente ho ammirato. Ha una sceneggiatura molto buona, e oggi la causa della crisi del cinema italiano sta proprio nella loro debolezza. Noi avevamo nomi come Age e Scarpelli, ora mancano sceneggiatori forti…»".

Un docufilm autobiografico porta inevitabilmente a tracciare un bilancio, c’è qualcosa che non rifarebbe rispetto alla sua sterminata produzione cinematografica?

"Rifarei tutto, perché anche se bisognava proprio essere innamorati del cinema come me e mio padre per spendere soldi come abbiamo fatto noi. Oggi i produttori si mettono in gioco soltanto quando hanno la certezza di guadagnarci. Per La voce della luna di Fellini ho buttato via tanti soldi, ma oggi sono più che contento di aver prodotto l’ultimo suo film, quando nessuno voleva farlo. Il regista andò da mio padre e gli disse: «Mario, lo so che tu l’avresti evitato, ma ti ha fregato tuo figlio…»".

E rispetto alla sua vita extracinematografica, cos’è che non rifarebbe, considerando anche i guai in cui è finito?

"Anche se delle cose non funzionano, tutto fa parte della filiera della vita. Io ho fatto di tutto per difendere il cinema, anche in tv ci capivo, non per niente sono stato il primo a portare in Italia Sex and the city, poi purtroppo sono incappato nei poteri forti… Sono stato anche senatore del Partito popolare Italiano, se c’è una cosa della mia vita che non rifarei forse è proprio la politica".

Tra i tanti suoi amori glamour del passato chi le è rimasto nel cuore?

"Il posto d’onore lo occupano Maria Grazia Buccella che oggi è una mia grande amica e ad Ornella Muti, con cui ebbi una breve storia. Mia madre tifava perché diventasse mia moglie. Mi diceva: “Tanto lo so che finirai per sposare un’attrice, fallo con la Muti che mi sembra la meno peggio”".

Il film a cui è più legato qual è?

"Vado fiero del fiuto che ho avuto per La vita è bella. Quando Benigni mi venne a raccontare la sua idea avrei potuto pensare che raccontare l’Olocausto in forma di fiaba sarebbe equivalso a bestemmiare. Invece chiamai subito Hervey Weinstein con cui avevo vinto l’Oscar per il Postino, che lui distribuiva e gli dissi: questo film di Benigni di Oscar ne vincerà tre, come poi è stato".

Come giudica oggi Weinstein, travolto dal #MeToo?

"Fa parte delle tante persone che sono professionalmente ineccepibili ma mariuoli nella vita privata. Ogni tanto mi chiedeva di far lavorare qualche attrice, ma in generale nel cinema la verità sta nel mezzo: esistono ragazze che prestano il fianco a personaggi trasgressivi e personaggi trasgressivi che non capiscono che tante donne non sono disponibili a scorciatoie. Io non l’ho mai fatto, per me sarebbe molto deprimente sapere che una donna sta con me soltanto per ottenere una parte".

Ma suo padre Mario, il produttore che le ha insegnato tutto, cosa pensava di lei?

"Agli amici diceva: so che Vittorio è un fuoriclasse ma so anche che non bisogna dirglielo mai. Questa è la frase che racchiude il rapporto con mio padre"."

Questa lunga intervista è stata realizzata da AGI. Il film documentario dedicato a Vittorio Cecchi Gori è diretto da Marco Spagnoli e Simone Isola. I due sono anche autori con Emilio Sturla Furnò. Giuseppe Lepore produce il progetto per Bielle re. Il budget di produzione è di 250mila euro.