Blonde è su Netflix: 5 motivi per non perdervi la monumentale opera con Ana de Armas

Blonde è su Netflix: 5 motivi per non perdervi la monumentale opera con Ana de Armas
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Dopo avervi parlato della miniserie tv di Blonde uscita nel 2001 sull'onda dell'entusiasmo scatenato dalla pubblicazione originale del romanzo di Joyce Carol Oates, da oggi 28 settembre su Netflix debutta l'attesissimo Blonde di Andrew Dominik, nuovo adattamento del libro con Ana de Armas.

Per prepararvi alla visione del film, o se siete ancora indecisi se dargli una chance considerate le numerose controversie che ne hanno accompagnato l'uscita, abbiamo raccolto per voi 5 motivi per non perdervi Blonde, la monumentale nuova opera del regista australiano.

  • Ana de Armas: senza girarci intorno, tra gli aspetti più attesi e 'anticipati' del nuovo film originale Netflix c'è senza dubbio Ana de Armas, che qui interpreta il ruolo della protagonista Norma Jean/Marilyn Monroe. Nella sua interpretazione uber-premi, in quello che è già stato fatidicamente definito 'il ruolo della vita', la star cubana si trasforma nell'icona di Hollywood di Niagara e Gli uomini preferiscono le bionde, ma soprattutto nel complesso ritratto femminile che di Norma/Marilyn emerge dalle pagine di Joyce Carol Oates.
  • Andrew Dominik: autore vero e tra i più importanti del XXI secolo sebbene troppo poco ricordato (anche per colpa sua forse: non lo si può certamente definire prolifico), Dominik conferma la sua fame di distruttore/ eversore di generi e di immaginari: con Blonde, dopo aver messo mano al prison-movie con Chopper, al western con L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford e al gangster-movie con Coogan, arriva a scardinare, sconfigurare e riassemblare il biopic, ormai sempre più spesso accusato di essersi fossilizzato alle solite formulette risapute e reiterate.
  • Un anti-biopic, una storia di fantasmi: Blonde è prima di tutto una storia di fantasmi: la protagonista, nell'idea di Dominik, non esiste come persone ma come icona, come immagine, come idea(le), è destinata sia a restare che a dissolversi, e il film stesso diventa un troppo di immagini, un'orgia del vedere, del guardare, di barocchismi e di sguardi, spesso respingenti e quasi sempre inquietanti. Le norme narrative classiche vengono rigettate e il film si fa subito flusso di coscienza lynchiano, a metà tra Strade Perdute e Inland Empire. Un'orgia del guardare, un guardare fino a morire, un morire fino a dissolversi, un dissolversi fino a trascendere.
  • Nick Cave: storico collaboratore e amico di Dominik (che su di lui ha realizzato ben due documentari, One more time with feeling e This much I know to be true), già autore della colonna sonora di Jesse James, firma le musiche originale di Blonde, contribuendo, col suo stile da predicatore spettrale, ad aumentare il terrore psicologico che le immagini di questa storia di fantasmi vogliono trasmettere.
  • Un'opera destinata a restare (e a far discutere): nell'era dell'empowerment femminile e dei film anti-maschilismo, Andrew Dominik ha il coraggio (e la scaltrezza) di realizzare un'opera brutalmente maschilista: un film-paradosso che rende ancora più crudi e senza filtri gli abusi fisici e psicologici con cui la protagonista viene vessata, un'opera-accusa nel quale il guardare è un crimine del quale a macchiarsi è soprattutto lo spettatore, che di guardare (la fine di Marilyn, il suo dissolversi) non può fare a meno.

Blonde è disponibile ora su Netflix. Per altri contenuti recuperate il trailer ufficiale di Blonde.