Recensione Silvio Forever

I registi Faenza e Macelloni ripercorrono la parabola del Silvio ‘onnipresente’

Recensione Silvio Forever
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'Sequel' cronologico prima ancora che ideologico di Forza Italia (titolo involontariamente profetico di una pellicola del 1978 in cui Roberto Faenza tracciava un graffiante affresco dell'era della DC), Silvio Forever riprende il discorso politico italiano qualche lustro più in là, ricostruendo l'ascesa (politica ma soprattutto mediatica) di un uomo che, nel bene o nel male, ha rappresentato e rappresenta tuttora il frutto del percorso ideologico e sociale compiuto dall'Italia nell'arco degli ultimi vent'anni. Questa ‘biografia' di Silvio Berlusconi realizzata a quattro mani da Roberto Faenza e Filippo Macelloni, su sceneggiatura di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella (tra l'altro autori de La Casta), mischia una grande abbondanza di immagini, materiale d'archivio e filmati di repertorio, filtrandoli attraverso lo sguardo e le parole dello stesso Cavaliere (integrate dalla voce de-satirizzata di Neri Marcorè laddove i filmati originali non erano utilizzabili). Una biografia che nelle intenzioni degli autori diventa ‘autobiografia' (non autorizzata) in quanto sono la voce propria del premier e l'opinione che egli ha di sé a parlare, in un apologo personale che parte dal bambino prematuramente democristiano e anticomunista per chiudersi nel sorriso smagliante dell'uomo che, per sua bravura o per altrui incapacità, ha fatto della sua verità l'unica, a oggi, realmente abbracciata dal paese intero. Ma quanto e in che modo questa storia privata si fonde con la nostra storia pubblica? E soprattutto quanto di nuovo e quanto di risaputo c'è in questa biografia per immagini dell'imperituro Silvio nazionale?

Il più grande piazzista del mondo

Perfettamente in linea con la definizione che ne fornì di lui Indro Montanelli (Berlusconi è il più grande piazzista del mondo), Silvio Berlusconi è stato, che piaccia o no, in grado di dominare la scena italiana degli ultimi venti anni. Non solo politica, ma anche e soprattutto economica e mediatica, costruendo un formidabile impero che lega a doppio filo edilizia, editoria e politica italiana, sostenuto e incoraggiato da ‘pericolosi' personaggi nazionali e internazionali (non solo Gheddafi) che condividono con Silvio stralci della sua visione ‘privata' del mondo. Un mondo costruito religiosamente a sua immagine e somiglianza e che assume dunque connotazioni fortemente caricaturali, in linea con il personaggio, spesso attraversato da un'ironia inconsueta, a tratti grottesca. La sorprendente parabola di un uomo che sostiene di essersi fatto da sé (nell'incredibile metamorfosi da ragazzino di modeste prospettive a magnate globale con un'improvvisa disponbilità economica mai del tutto chiarita) e che ha negli anni legato la sua immagine a un essenziale e inebriante valore: quello della libertà. Una libertà, svuotata del suo significato, cui ha legato i valori dell'identità nazionale, e che poi ha contribuito al fiorire di libertà del tutto personali e private, tradottesi in un solipsismo economico. Ma niente di tutto questo è argomento del film Silvio Forever, che invece sceglie il pastiche documentaristico: un assemblaggio neanche troppo a tesi di opinioni sul premier fornite da sé stesso, da comici e personaggi televisivi che meglio rappresentano (in mancanza di una vera controparte politica) l'opposizione al personaggio (da Roberto Benigni passando per Beppe Grillo, fino a Indro Montanelli), che ricalcano soprattutto l'immagine ‘bonaria' di un uomo che ha fatto della presunzione ("è odore di santità"; "sono invincibile") e della sua ironia spesso fuori luogo ("chi è che mi tocca il culo?") i suoi cavalli di battaglia, esaltando gli animi di quanti vedono in quel suo modo per certi versi ‘irresponsabile' di comportarsi la panacea dei propri sensi. Un uomo che pecca di superbia perfino dinanzi al Papa, dichiarando "Il Papa mi ha dato la benedizione ma con l'aria di pensare che non ne avessi un bisogno particolare" o a Dio in persona, al quale (se non si dimostrerà immortale) concederà di diventare vicepresidente della Paradiso s.p.a. Ma a quel topico momento, Silvio si è preparato con scrupolosa dovizia di attenzioni, realizzando un Mausoleo con tanto di loculi dove al momento giusto egli godrà del meritato riposo, circondato dagli amici di sempre (non Montanelli che, dinanzi all'offerta di far parte della ristretta e selezionatissima cerchia, s'è cavato dall'impasse rispondendo con un provvidenziale "non sum dignus").

Finalità docu-filmiche...

Il principale quesito che sorge giunti al termine di questo lavoro, è quale sia l'utilità del suddetto. Fatti salvi una quindicina di minuti di film, infatti, la pellicola che scorre davanti ai nostri occhi contiene riproduzioni di frasi, scene, commenti, dichiarazioni già triti e ritriti nei vari pseudo telegiornali, giornali, trasmissioni che da anni a questa parte sembrano essere stati colti, tutti, da una reale epidemia berlusconiana. Silvio sembra essere diventato l'unico reale, appetibile argomento di conversazione: osannata o stigmatizzata, la sua persona rimane il baricentro incontrastabile degli eventi del nostro paese. In questo contesto di bulimia berlusconiana appare quantomeno superflua un'opera che non fa che mescolare insieme informazioni in gran parte note, scegliendo di non sposare un punto di vista (di elogio o biasimo), ma semplicemente di soffermarsi su elementi (molto arbitrariamente selezionati e per nulla esaustivi della storia privata o pubblica dell'uomo) di dominio pubblico, svelando qualche piccola chicca del Berlusconi bambino nelle prime inquadrature (forse le immagini meno note e dunque più interessanti). Il resto appare come un gran calderone in cui lui, ancora una volta, spadroneggia e sfodera il suo sorriso di plastica che invece si spegne inesorabilmente sulle nostre labbra, inermi spettatori del suo incontenibile e inesauribile one man show. Uno show che per la sua natura ibrida probabilmente non soddisferà né i suoi detrattori, in quanto troppo poco graffiante, né tantomeno i suoi sostenitori, in quanto troppo poco celebrativo.

Nel regno di Sua Emittenza

Ciò che viene contestato agli autori è l'assenza di una contestualizzazione, di un nerbo narrativo forte, di una chiave di lettura Berlusconi-Italia che potesse raccontarci qualcosa di nuovo, laddove sia possibile, alla luce del giorno. Invece, a conti fatti, si tratta di immagini che fanno già parte del nostro album, storie che sono entrate a far parte integrante della coscienza sociale, politica e mediatica. Storie che l'attualità rende obsolete di minuto in minuto, conferendo all'opera un'aura di inevitabile vetustà. Montarle in fila senza neanche prendersi troppo la briga di dare un senso (dice lo stesso Faenza di aver inserito Gheddafi e affini con il solo intento di mostrare le amicizie pericolose) non significa fare un film (nel senso di valore aggiunto), né tantomeno un documentario (fedele nella ricostruzione), in quanto sono troppi gli elementi che mancano all'appello perché l'opera risulti originale, esaustiva e coesa. Un ritratto senza colori, una musica senza suoni che perde di significato man mano che la storia si approssima alla cronaca mondana, riecheggiando tramite i nomi di Noemi Letizia, Patrizia D'Addario, Ruby Rubacuori (ribattezzata the Heart-Stealer nelle cronache internazionali) e via discorrendo. E ai nostri occhi non pare che questo album di famiglia ci riguardi più di tanto, o ci permetta di sviscerare la psicologia del Paese, che ha invece in questa pseudo-fiaba il ruolo di bella addormentata sullo sfondo. A conti fatti, occorrerebbe forse tornare alle parole di Giorgio Gaber "Non ho paura di Berlusconi in sé, ho paura di Berlusconi in me" e chiederci se questa Berlusconi-mania endemica che ci bracca e ci sfianca giorno dopo giorno non sia davvero di gran lunga più nociva di Berlusconi in sé.

Silvio Forever La sensibile mancanza di una precisa intenzione filmica riduce Silvio Forever a un mero album di fotografie personali del premier, corredato dalla sua personale considerazione di sé stesso e da qualche, più eversiva, considerazione avanzata da noti personaggi della scena sociale. Nonostante il vago richiamo stilistico a quel Forza Italia che lo stesso Faenza firmò nell’oramai lontano 1978, realizzando un ritratto significativo e inquietante dell’era della DC, Silvio Forever non condivide con il lavoro di allora quello stesso mordente, messo al servizio di un lucido resoconto storico, rimanendo piuttosto l’eco di voci e l’ombra di immagini vaghe e già più che note.

5

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