Prince of Persia - Le Sabbie del Tempo, recensione del film con Jake Gyllenhaal

Videogiochi e cinema: un connubio finalmente vincente grazie al principe Dastan di Prince of Persia - Le Sabbie del Tempo.

Prince of Persia - Le Sabbie del Tempo, recensione del film con Jake Gyllenhaal
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Torniamo indietro con la mente di venti, trent'anni.
I videogiochi erano ancora un passatempo di nicchia. Le possibilità tecniche dell'epoca erano risibili in confronto a quelle attuali: sonoro gracchiante, grafica bidimensionale realizzata con palette piuttosto sparute di colori. Eppure, in pochi pixel si riuscivano a scorgere i mondi più incredibili, misteriosi e affascinanti, popolati di creature fantastiche e pericolose e attraversati da eroi nelle cui scarne fattezze poteva riconoscersi, con un piccolo sforzo immaginativo, qualunque giocatore. I videogiochi di allora erano fondamentalmente più brevi di quelli oggi, ma spesso anche più intensi e soprattutto ardui, affidandosi spesso a meccanismi che implicavano reiterati tentativi, alla ricerca del percorso migliore per portare a termine l'avventura sullo schermo.
Un esempio perfetto di videogioco ancora legato a questi concetti eppure al contempo innovativo, a cavallo degli anni '80/90, è lo stupendo Prince of Persia del 1989, originariamente sviluppato dallo psicologo e designer Jordan Mechner, e successivamente trasposto, negli anni successivi, per quasi ogni sistema di gioco esistente.

Un principe in rotoscope destinato a grandi cose

L'epica impresa del giovane avventuriero che salva la bella principessa, risalendo coraggiosamente e tra mille pericoli dalle segrete del castello imperiale fino alle stanze del malvagio visir, è diventato presto un classico, grazie al giusto mix di avventura labirintica e combattimenti all'arma bianca (inusuali nei videogiochi dell'epoca) e alle incredibilmente realistiche -per i tempi- animazioni degli sprite, realizzate tramite l'innovativa tecnica del rotoscoping. Dopo innumerevoli porting e riedizioni (con grafica ulteriormente raffinata, possibilità di salvataggio della partita e aggiunta di vari livelli), Mechner realizzò due seguiti, The Shadow and the Flame nel 1994 e il semisconosciuto POP 3D: Arabian Nights nel '99/2000. La serie ha poi goduto di un rinvigorente reboot grazie a Ubisoft nel 2003, grazie ad una nuova saga di giochi che consta in tre capitoli principali (Le Sabbie del Tempo, Spirito Guerriero e I Due Troni) più vari spin-off. Saga che è stata la fonte di ispirazione principale del qui recensito adattamento filmico. Non dimentichiamoci, tuttavia, il bel Prince of Persia uscito, sempre per Ubisoft, nel 2008, che propone un'ulteriore storyline e una resa grafica volutamente originale e pittorica.

Dallo schermo del PC a quello del cinema

Nel 2004, vista la discreta popolarità del videogioco Le Sabbie del Tempo, la Bruckheimer Films opziona i diritti della serie per realizzarne eventualmente un film, accordandosi con la Disney per l'eventuale distribuzione, dopo il comune, strepitoso successo di Pirati dei Caraibi - La maledizione della prima luna. Tuttavia, il film dovrà aspettare parecchi anni prima di vedere la luce. Anni in cui, tra le altre cose, è (fortunatamente?) cambiato il regista incaricato di portare le avventure del principe di Persia sullo schermo: da Michael Bay (che si è invece dedicato al franchise dei Transformers) al poliedrico Mike Newell, un uomo che passa con disinvoltura da Donnie Brasco a L'amore ai tempi del colera, fino a rendersi artefice del quarto episodio della fortunatissima saga di Harry Potter, Il Calice di Fuoco. Dalle atmosfere magiche di Hogwarts a quelle dell'antica Persia non è un salto così lungo, a quanto pare, per questo novello “principe degli adattamenti cinematografici difficili” che ha colto la sfida di realizzare quello che per molti è una chimera: un buon film tratto da un videogioco. L'industria del cinema è spesso rimasta affascinata dalle meccaniche del videogioco, ma raramente ha saputo riportarle su schermo in film originali. I film tratti dai giochi più popolari, invece, si sono quasi sempre risolti in operazioni commerciali di dubbio gusto e anche successo molto relativo, non riuscendo ad essere né opere cinematograficamente interessanti né tantomeno riuscendo ad andare oltre alla citazione (spesso a sproposito) del medium originario. Alcuni esempi, ad esser buoni, fanno sorridere (Super Mario Bros, Street Fighter - Sfida Finale, Double Dragon), altri risultano pellicole assai distanti dagli originali, nonostante gli intenti (la saga dei Resident Evil, Final Fantasy - The Spirit Within). C'è stato anche chi ha cercato di trasporre semplicemente lo stile e il taglio cinematografico dei videogiochi originali, senza tuttavia restituirne le altre caratteristiche distintive, oltre alla componente squisitamente ludica, riuscendo in buoni prodotti tuttavia poco coinvolgenti (Silent Hill, Final Fantasy Advent Children). Fa strano pensare che, seppur con una certa ingenuità, Mortal Kombat sia rimasto, finora, il miglior esponente della categoria, andando a coniugare i ritmi e gli stilemi tipici del videogioco con il cinema d'azione degli anni in cui uscì. Questo almeno fino all'arrivo di Prince of Persia: Le Sabbie del Tempo.

La recensione continua a pagina 2!

C'era una volta, nell'antica Persia...

Persia, VI° secolo d.C: la Persia è un impero fiorente ed esteso, retto dal saggio Re Sharaman (Ronald Pickup). Il Re ha tre figli: due di sangue (i valorosi Tus e Garsiv -interpretati rispettivamente da Richard Coyle e Toby Kebbell-), e uno adottivo, il coraggioso Dastan (Jake Gyllenhaal), che proviene dalla strada ma è stato preso sotto l'ala protettiva del sovrano, ancora ragazzino, in virtù del coraggio dimostrato nel difendere un altro povero orfano come lui. I tre fratelli, insieme allo zio Nizam (Sir Ben Kingsley), svolgono un ruolo attivo nel governare il paese e durante l'assenza del Re decidono di attaccare la città santa di Alamut per prevenire che la città rifornisca di armi i nemici della Persia. Dopo un'audace assedio, Dastan fa la conoscenza della bellissima e determinata principessa Tamina (Gemma Arterton), con cui, di lì a poco, dividerà un segreto: quello dei mistici poteri delle Sabbie del Tempo. Poteri che fanno gola a molti, e che rischiano di scatenare un apocalisse...

I pirati persiani

Da un punto di vista strettamente filmico, la pellicola è esattamente quello che ci si può aspettare dall'accoppiata Bruckheimer/Disney, e chiunque conosca la saga de Pirati dei Caraibi capirà benissimo cosa intendiamo: un'avventura di cappa e spada mitica e spericolata, piena zeppa di amici/nemici e poteri arcani e pericolosi. Con le dovute accortezze e differenze rispetto alle avventure di Jack Sparrow & co., naturalmente, visto il cast tecnico e attoriale, nonché il setting, decisamente diverso. Un'avventura per grandi e piccini (nonostante il Parental Guidance 13 assegnato dai censori americani), intrisa di romanticismo -nel senso originario del termine- ed esempi morali, come da tradizione delle dastan (racconti mitici) persiane da cui il protagonista prende il nome. Newell, alla regia, si conferma eclettico e competente, dando ampio respiro alle scene e ai personaggi, riuscendo a far calare perfettamente lo spettatore nelle atmosfere da “mille e una notte” originariamente sognate da Mechner. Complici, naturalmente, gli ottimi set marocchini, gli effetti visivi di ottima fattura ma non invasivi e le belle musiche di Harry Gregson-Williams, riecheggianti il Medio Oriente ma con un tocco di moderno mordente che ben si abbina alle immagini.
Le interpretazioni degli attori sono convincenti, anche se non spiccano particolarmente: ma i pirati di Johnny Depp e Jeffrey Rush sono esempi duri con cui confrontarsi. Tuttavia c'è da dire che Gyllenhall, in versione eroica, rende bene e sopperisce le eventuali manchevolezze drammatiche con una buona fisicità sbruffona, sulla quale è evidente abbia lavorato parecchio (è noto che desiderasse da tempo una parte in un film d'azione, e dopo aver perso la chance con Spider-Man, POP è stata una grande opportunità da questo punto di vista). La Arterton, dal canto suo, ben rappresenta lo sparuto gruppo di “principesse guerriere” che vediamo al cinema, dalla classica principessa Leila di Star Wars alla Marian del Robin Hood di Ridley Scott. Ad una innegabile bellezza, l'attrice inglese abbina una fiera determinazione, che ben si sposa con un personaggio che fa dell'abnegazione uno stile di vita. Un'ottima prova per una giovane interprete che, reduce anche da James Bond e dal recente (e ancor più mitologico) Scontro di Titani, si avvia verso una promettente carriera. Un po' spenti ma funzionali Alfred Molina (nei truffaldini panni dello sceicco Amar) e Sir Ben Kingsley: l'uno sembra rifarsi al Danny DeVito de All'inseguimento della pietra verde, l'altro non riesce ad essere ugualmente ineffabile che in altre prove simili, da Sle7in - Patto Criminale a Shutter Island. Un peccato per questi due solitamente ottimi attori che qui non riescono ad innalzarsi al di sopra dei loro colleghi come dovrebbero. Bravi, ad ogni modo, anche gli altri componenti della famiglia reale, da Pickup a Coyle a Kebell, che seppure non regalino interpretazioni trascinanti, rendono bene le caratteristiche dei rispettivi personaggi.

Il cinema e i videogiochi sono da oggi un po' più vicini

Quello in cui stupisce Le Sabbie del Tempo è la realizzazione in relazione al medium di partenza, ovvero il videogioco. Grazie anche al prezioso apporto dello stesso Mechner alla sceneggiatura di Carlo Bernard, Doug Miro e Boaz Yakin, non ci si è limitati a riproporre qua e là citazioni sparute al limite del fan service, in un film che racconta qualcosa di assai diverso dall'originale, e soprattutto in modo assai diverso dall'originale, come capita spesso di vedere. Le citazioni ai giochi originali (tutti e sei i principali) sono invero copiose, ma mai fini a sé stesse, anzi spesso funzionali allo svolgimento della storia. Ovvero: non si è inserita questa o quella scena solo per far sovvenire un ricordo al giocatore e farlo contento, ma si è cercato di sopperire ai bisogni della sceneggiatura inserendo elementi naturalmente tratti dai giochi. Processo arguto ma giusto, che tuttavia quasi mai ci capita di vedere in questo genere di trasposizioni. Interessante poi la resa di atmosfere e suggestioni, prese di peso -in certi combattimenti, ma soprattutto nelle acrobatiche corse sui tetti e nelle panoramiche mozzafiato degli ambienti- dai giochi originali, dei quali il film ripropone le meccaniche di azione, enigmi e relazioni interpersonali in maniera straordinaria, eppure quasi naturale, senza mai eccedere nel fumettistico.
Interessante inoltre come il film riprenda, in sé, meccaniche di narrazione (anche per immagini) mutuate non solo dalla saga del Principe, ma anche da altri franchise famosi, quali Assassin's Creed e Final Fantasy: questo, che per molti cineasti potrebbe risultare limitante, è invece un interessante punto di contatto. Le Sabbie del Tempo riporta l'esperienza originale del titolo videoludico, non snaturandola anche in assenza dell'interattività, ma ampliandone la portata con quel che di meglio hanno da offrire i due mezzi di comunicazione, svago ed espressione artistica. Non è quindi un esempio di sfruttamento scriteriato dell'immagine di un prodotto “altro”, né di cinema che gioca ad essere quel che non è.
E' "solo" un'esperienza appagante che funge da importante mattone nella ricerca del tanto ricercato, ultimamente, equilibrio nella crossmedialità.

Prince of Persia The Movie Con Prince of Persia - Le Sabbie del Tempo, Disney, Newell e Bruckheimer rinverdiscono i fasti del primo Pirati dei Caraibi, con un'avventura ricca di azione e sentimento ottimamente realizzata. Il valore aggiunto, inoltre, è l'aver dimostrato che i videogiochi al cinema possono funzionare, se con accortezza si sfruttano le peculiarità uniformabili dei due mezzi di comunicazione.

8

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