Recensione La doppia ora

Ottimo -ma troppo sperimentale- esordio al cinema per Capotondi

Recensione La doppia ora
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La Doppia Ora è stato il quarto film italiano in gara alla 66esima Mostra del Cinema di Venezia. Già questa potrebbe essere una soddisfazione notevole, per un'opera prima. Se poi aggiungiamo che la sceneggiatura ha avuto una menzione al Premio Solinas, che i due protagonisti abbiano vinto l'uno il Premio Pasinetti e l'altra la Coppa Volpi per le loro interpretazioni, nonché che il film abbia conquistato il premio Arca Cinemagiovani, be', si può benissimo pensare che il regista Giuseppe Capotondi possa andare più che fiero del risultato già conseguito, nonostante alcune critiche ricevute dalla stampa e l'esito al botteghino ancora incerto, in attesa dell'uscita in sala della pellicola.
Nel bene e nel male, il film ha comunque fatto molto parlare di sé, tanto da spingere alcuni produttori americani ad acquisirne i diritti in vista di un eventuale remake in salsa yankee. Noi di Movieye l'abbiamo visto in anteprima: ecco il nostro parere.

E' il destino a governare i nostri passi, o forse il contrario?

In una Torino dai contorni eternamente sfumati, Sonia (Ksenia Rappoport) e Guido (Filippo Timi) muovono i loro passi nelle rispettive storie di vita, destinate ad intrecciarsi ad uno speed date: lei è una stanca cameriera al piano che lavora per un albergo del centro, lui una guardia giurata che dopo aver perso l'amore della sua vita fa fatica a trovare un'altra donna da amare davvero.
Il loro incontro fa scattare inaspettatamente una scintilla che riaccende le loro vite, ma una disgrazia romperà quest'unione prematuramente: le visioni che Sonia comincerà ad avere a questo punto saranno decisamente inquietanti, e la porteranno sull'orlo della follia...

Il cinema è una delicata alchimia...

Non possiamo davvero svelarvi di più sulla trama de “La Doppia Ora” o rischiamo di rovinarvi il gusto del film, perlopiù basato sul mistero che circonda i due protagonisti e che troverà una spiegazione solo nell'ultimo terzo della pellicola. Gli sceneggiatori Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo hanno infatti messo in piedi una struttura narrativa decisamente atipica, mescolando diversi generi e facendo progredire la storia da commedia drammatica a horror psicologico fino a storia d'amore su sfondo noir.
Un'operazione decisamente ambiziosa, soprattutto per degli sceneggiatori e un regista così giovani, e che non può dirsi perfettamente riuscita, sebbene lasci trasparire enormi potenzialità. Non solo infatti nel film si cerca di inseguire Hitchcock, Polanski, Tarantino, Nakata, ma si cerca di mischiarli tutti insieme, e il risultato non è sempre credibile/digeribile, soprattutto nella seconda parte, quella in cui si vuole spaventare a tutti i costi lo spettatore, mentre questi si chiede quale sia la verità dietro le improvvise ed inquietanti visioni di Sonia.
A tutto viene data una spiegazione, più che soddisfacente, nell'ultima parte della pellicola. Tutto, anche i dettagli, acquistano un loro senso, e si viene omaggiati da uno stupendo e struggente finale. Ma solo dopo essere passati da un purgatorio che richiede molta pazienza allo spettatore. Viene da chiedersi se non fosse possibile piuttosto giostrare la narrazione secondo un ordine diverso, per evitare un esperimento (quello dell'horror psicologico e paranormale) che fatto “all'italiana” è poco credibile per sua natura.
Non possiamo farne una colpa agli sceneggiatori e al regista, tuttavia: non si tratta di imperizia quanto di scelte. Ad esempio, il cambio di registro fra un genere e un altro non viene ravvisato in nessun modo dallo spettatore, in quanto regia e fotografia non cambiano i toni in alcun modo durante lo svolgimento della pellicola, con una soluzione di continuità che, a posteriori, risulta giusta e sensata, ma che sul momento può confondere lo spettatore meno attento.
Il tutto però è portato su schermo con mano salda e grande cura: Capotondi sarà anche al suo primo lungometraggio, ma ha grande esperienza nel campo dei video musicali (ha lavorato con molti grandi artisti internazionali, tra cui i Keane e gli Skunk Anansie) e sa bene come fare a catturare l'attenzione del pubblico sui dettagli.
In questo è poi aiutato dall'interpretazione favolosa del cast, in primis dalla Rappoport e da Timi, che riescono a far trasparire l'essenza dei loro personaggi anche solo dai loro silenzi.

La doppia ora Nel film Sonia chiede a Guido se il giochino della “doppia ora” (secondo cui bisogna esprimere un desiderio quando si leggono sul quadrante dell'orologio delle ore 'doppie') funziona: Guido risponde che no, è solo un bel giochino. Potremmo dire la stessa cosa del film da cui la scena è tratta: ti crea aspettative, ti regala due personaggi splendidamente caratterizzati e un finale molto significativo, ma lo fa solo quando l'incanto si è già spezzato. Ed è un peccato. Perché film così sono rari nel panorama italiano. E perché fa sempre piacere vedere una storia d'amore autentica e significativa, distante dai soliti cliché. Ma possiamo aspettarci grandi cose da Capotondi in futuro, se tanto ci dà tanto: ha tecnica e coraggio, sa cosa vuole il pubblico e come darglielo. Ma deve scegliere la sua via personale con mano più ferma: le sperimentazioni alchemiche, il più delle volte, esplodono sul più bello.

6.5

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