Recensione L'ultimo esorcismo

Recensione dell'horror esorcistico prodotto da Eli Roth

Recensione L'ultimo esorcismo
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E' sotto la benedizione (considerando l'argomento, chissà se questo è il termine adatto da usare) di Eli Roth che arriva nelle sale cinematografiche L'ultimo esorcismo, secondo lungometraggio diretto dal tedesco classe 1976 Daniel Stamm, a due anni da A necessary death (2008), caratterizzato da una narrazione in stile documentaristico.
Infatti, il regista di Cabin fever (2002) e Hostel (2005), nonché interprete del tarantiniano Bastardi senza gloria (2009), figura tra i produttori di questo ennesimo lungometraggio incentrato sulle possessioni diaboliche, argomento che, riportato sullo schermo, nel XXI secolo, grazie ad elaborati come l'horror giudiziario The exorcism of Emily Rose (2005) di Scott Derrickson e il poco conosciuto Blackwater Valley exorcism (2006) di Ethan Wiley, ha provveduto ad invadere l'universo della celluloide già da molti anni.

Lo schermo posseduto

Ed appare quasi inutile stare a ricordare che il primo grande successo cinematografico sulla tematica in questione sia stato l'insuperabile capolavoro della Settima arte L'esorcista (1973), che, diretto da William Friedkin, oltre ad un'infinità d'imitazioni ha generato sia la parodia Riposseduta (1990) di Bob Logan che i tre sequel L'esorcista 2-L'eretico (1977) di John Boorman, L'esorcista 3 (1990) di William Peter Blatty e L'esorcista-La genesi (2004) di Renny Harlin.
In pochi, però, ricordano che già ne Il demonio (1963), a firma del nostro Brunello Rondi, Daliah Lavi vestì i panni di una giovane contadina lucana ritenuta preda del diavolo. Sicuramente il primo esempio di film esorcistico italiano, filone che, dopo l'uscita della pellicola di Friedkin, si è arricchito con L'anticristo (1974) di Alberto De Martino, L'ossessa (1974) di Mario Gariazzo, Chi sei? (1975) di Oliver Hellman (Ovidio G. Assonitis) e Robert Barrett (pare sia Roberto D'Ettore Piazzoli), La casa dell'esorcismo (1975), rimaneggiamento - per mano del produttore Alfred Leone - dello sfortunato Lisa e il diavolo (1973) di Mario Bava, Un urlo nelle tenebre (1975) di (Ang)elo Pannacciò, nato con il titolo L'esorcista 2, e l'erotico - circolato anche con inserti hard - Malabimba (1979) di Andrea Bianchi; senza dimenticare Amityville possession (1982) di Damiano Damiani, La casa 5 (1990) di Claudio Fragasso e il comico L'esorciccio (1975) di Ciccio Ingrassia.
Mentre William Girdler sfornò Abby (1974) e Amando De Ossorio L'eretica (1975), rispettivamente rilettura in chiave blaxploitation e clone iberico de L'esorcista.
E perfino il futuro Re Mida di Hollywood Steven Spielberg anticipò elementi poi inclusi nel classico friedkiniano attraverso Qualcosa di diabolico (1972) alias Il Signore delle tenebre alias Non aver paura delle tenebre, concepito per il piccolo schermo come I posseduti (1977) di Jerry Thorpe, anche conosciuto con il titolo Il college degli orrori e tra i cui interpreti vi fu un giovane Harrison Ford.

Louis e il diavolo

Il lungometraggio di Stamm, invece, porta in scena la figura dell'adolescente Nell Sweetzer, con le fattezze della televisiva Ashley Bell, secondo il cui padre Louis alias Louis Herthum (12 rounds), fervente fondamentalista, è posseduta da un demone che bisogna al più presto esorcizzare, prima che la già di per sé terrificante situazione si trasformi in una tragedia inimmaginabile. L'uomo, infatti, convoca nella sua fattoria nella Louisiana il reverendo Cotton Marcus, interpretato da Patrick Fabian (Partnerperfetto.com), carismatico predicatore che, pensando di dover compiere il solito esorcismo di routine su una fanatica religiosa affetta da disturbi psicologici, si sente schiacciato dal peso della sua coscienza, pentito degli anni passati a rubare i soldi alle persone disperate. Motivo per cui, insieme al suo team, decide di filmare un documentario-confessione di quello che sarà il suo ultimo esorcismo, presso la fattoria a conduzione familiare dove si rende immediatamente conto che niente lo avrebbe potuto preparare al male che si troverà ad affrontare.

Daniel Stamm project

Fin dai primissimi minuti di visione, infatti, con riprese eseguite tramite camera a mano a farla da padrone, è chiaro che l'intento di Stamm sia quello di confezionare un film sulla possessione demoniaca che risulti il più realistico possibile.
Su sceneggiatura di Andrew Gurland e Huck Botko, che si sono ispirati a Marjoe (1972), nel quale un prete acconsentiva a girare un documentario su di lui, quindi, l'impressione immediata è quella di avere davanti ai nostri occhi la risposta in salsa esorcistica a The Blair witch project-La maledizione della strega di Blair (1999).
Una scelta stilistica decisamente interessante, se teniamo in considerazione che, nell'epoca in cui lo spettatore è sempre più smaliziato e sempre più consapevole del fatto che ciò che guarda all'interno di uno schermo cinematografico non sia altro che finzione, l'unico stratagemma capace di coinvolgerlo e di conferirgli un certo effetto verità sia diventato (purtroppo, diciamo come stanno le cose) il tanto gettonato sistema di visione in tre dimensioni.
Stamm, al contrario, evita tutto ciò che possa rendere l'insieme accostabile alla spettacolare (quindi evidentemente finta) messa in scena tipica degli horror destinati alle grandi platee, traboccanti effetti speciali ed assurdità che rimangono credibili solo finché si rimane seduti in sala, tanto da non fare ricorso neppure al vomito verdastro ed a teste che ruotano di 360°, elementi classici dei racconti su celluloide riguardanti gli indemoniati.
Quindi, mentre viene ribadito che, se l'uomo crede in Gesù, crede anche all'esistenza dei demoni, privilegia la progressiva presentazione dei diversi personaggi, per poi cominciare a tirare in ballo il lato strettamente orrorifico verso la fine della prima ora di pellicola, quando, tra l'altro, ci fa assistere anche all'uccisione di un gatto, senza immortalare quasi nulla, però, complice la già citata macchina da presa sempre in movimento.
Ed è l'ultimissima parte ad essere dedicata alla ragazza in preda alle grida ed agli spasmi provocati dalla possessione, per poi sfociare, però, in una sorpresa finale che, anziché risultare spaventosa, assume soltanto involontariamente comiche fattezze, tanto da ricordare quella sfruttata da Edgar Wright nel suo ironico action-movie a tinte splatter Hot fuzz (2007).

L'ultimo esorcismo Regista dei due Hostel, Eli Roth è il produttore di questo secondo lungometraggio diretto dal tedesco Daniel Stamm, di cui spiega : “Volevamo dare ai fan del genere qualcosa di nuovo e di fresco, evitando di ripetere i soliti vecchi cliché; volevamo che il nostro esorcismo apparisse in tutta la sua crudezza e in tutto il suo realismo e volevamo che gli spettatori provassero l’emozione di trovarsi nella stanza assieme a qualcuno che è posseduto”. Infatti, l’intero film è girato come un falso documentario, ricordando puntualmente The Blair witch project-La maledizione della strega di Blair (e anche qualcosa di Cannibal holocaust di Ruggero Deodato, già fonte d’ispirazione per quest’ultimo). Ma, sebbene la prima parte del film, del tutto costruita sull’attesa, possa suscitare un certo interesse, è proprio l’ultima, quella horror, a non convincere, involontariamente ridicola e forse capace di attirare più l’attenzione dello spettatore comune che del seguace del filone.

5

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