L'Immortale, la recensione del Film

Luc Besson produce e dirige L'immortale film interpretato da Jean Reno

L'Immortale, la recensione del Film
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"Così come la commedia può talvolta essere un incredibile veicolo di alcune idee, i thriller possono costituire una pausa di riflessione su certi argomenti. In questa storia - un uomo che era un padrino della mafia marsigliese, dato per morto nel 1977 in un posteggio a Cassis, ma inspiegabilmente sopravvissuto, tanto da guadagnarsi il soprannome de ‘L'immortale' - ho visto un argomento molto forte e un'avventura incredibile. Passare dall'essere gangster al diventare immortale è un'impresa davvero stupefacente".
A parlare è l'attore e regista parigino Richard Berry, il quale, sotto la produzione del re Mida d'oltralpe Luc"Nikita"Besson, adatta per lo schermo un romanzo di Franz-Olivier Giesbert riguardante l'ex fuorilegge Jacky Imbert, ma senza raccontare su celluloide la sua vita e ricavando soltanto un prodotto di finzione ispirato a veri eventi accaduti nel mondo della mafia marsigliese.

Parola di Jean Reno

Ho visto il film il giorno di Halloween, insieme alla mia famiglia. Ho cinque figli, grandi e piccoli. Si sono tutti emozionati molto e questo mi ha reso incredibilmente felice, ma allo stesso tempo mi ha fatto star male perché mi sono reso conto che per me L’immortale non è solo un bellissimo film, ma quello che mi ha fatto rivivere tutta la mia vita e la mia carriera. La lezione è: se non arrivi a fare la cosa giusta con la persona giusta, allora continua a provarci, ma scintille come quelle sono molto rare. Alla mia età la domanda è: “Quale è il mio posto nel cinema francese?” Può sembrare una domanda pretenziosa, dopo aver interpretato un personaggio soprannominato “L’immortale”, ma anche questo è indicativo di qualcosa. Il protagonista possiede un revolver e senso dell’umorismo, ma allo stesso tempo sanguina dentro. A me sembra di avere tutte queste sfaccettature , e anche Richard le ha, con il suo occhio da regista.

Se sei vivo spara

"Ne L'immortale abbiamo a che fare con un gangster che si è ritirato da quella vita e che si sta redimendo, cercando di vivere una vita tranquilla con la moglie e i figli, accettando il fatto che non sarà mai molto ricco" prosegue Berry, "Charly Matteï deve fare i conti con il suo passato che si presenta nelle vesti di Zacchia, suo amico d'infanzia. Avevano deciso di rimanere sempre uniti, nella vita e nella morte, ma Zacchia crede fermamente in una teoria non del tutto falsa e, anzi, totalmente razionale: quando hai le mani sporche di sangue, non riesci mai a lavarle del tutto. Il male rimane il male. E' dentro di noi. Lo devi accettare. I due approcci completamente contrastanti mi hanno spinto a fare un film basato sulla loro storia, ma non in modo didattico, non intendo dire agli spettatori chi ha ragione e chi ha torto. Nella malavita, così come in un reparto di polizia, ci sono i buoni e ci sono i cretini. Prima di tutto sono esseri umani e poi sbirri o delinquenti".
Ed è il mai disprezzabile Jean Reno di Léon (1994) a vestire i panni del protagonista, il quale, dopo tre anni passati a condurre un'esistenza pacifica, viene assalito in un parcheggio al Vecchio Porto di Marsiglia e colpito con ventidue pallottole, facendo credere a tutti di essere morto.

A che serve l’onore, una volta morto?

Senza perdere tempo, è già poco dopo i titoli di testa che Berry pone il violento attacco all'interno del garage, molto feroce e non privo di spargimenti di liquido rosso, ma inscenato con un certo realismo.
Come un po' tutte le situazioni di violenza presenti nel corso dei circa 115 minuti di visione, del resto, al cui interno, oltre allo stesso regista nei panni del malavitoso Aurelio Rampoli, troviamo coinvolto, in quelli brevi del Padovano, perfino il nostro Venantino Venantini, che i fan dell'horror ricorderanno soprattutto per aver fatto parte del cast di Paura nella città dei morti viventi (1980) di Lucio Fulci.
Tutte figure che vanno progressivamente a popolare una storia di vendetta orchestrata tra onore e tradimenti, come pure la poliziotta Marie Goldman interpretata dalla Marina Foïs recentemente vista in Happy few (2010), una donna che sta ancora aspettando la chiusura dell'inchiesta sulla morte del marito perché non si sono mai trovate le prove contro i colpevoli.
Ma Berry, nonostante l'abbondante sfruttamento di colpi di pistola e botte da orbi, oltre a quello di una nervosa macchina da presa nei momenti giusti, non privilegia le sequenze d'azione, dedicando buona parte della pellicola (soprattutto la prima parte) alla descrizione psico-fisica dei diversi personaggi, tra cui il cattivo Tony Zacchia cui concede anima e corpo il Kad Merad di Giù al Nord (2008).
Con la risultante di un classico dramma a suon di pallottole targato Besson che, discretamente costruito e volto in maniera efficace a ricordare che il sangue versato non asciuga mai, rischia soltanto di risultare leggermente dilatato oltremisura.

L'Immortale Prodotto da Luc Besson, il film di Richard Berry, ispirato a veri eventi accaduti nel mondo della mafia marsigliese, vede un magistrale Jean Reno alle prese con una malavitosa storia di vendetta. Per un violento dramma in salsa noir che, attraverso un intreccio ricco di dettagli (occhio a non perderne neanche uno) orchestrati tra uccisioni e tradimenti, tira in ballo una serie di interessanti personaggi, rischiando soltanto di apparire eccessivamente lungo, soprattutto nella parte finale.

6.5

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