Recensione L'Alba del Pianeta della Scimmie

Fox centra il bersaglio col reboot diretto da Rupert Wyatt

Recensione L'Alba del Pianeta della Scimmie
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Vedere L'Alba del Pianeta delle Scimmie a Parigi ha decisamente un suo perché. Non soltanto per l'uscita anticipata rispetto all'Italia, che ci permette di offrire ai lettori una recensione in anteprima con tutti i crismi, ma anche e soprattutto perché - anche se fin troppo spesso si tende a dimenticarlo - la creazione di questa saga, una delle più remunerative e conosciute del cinema sci-fi americano, si deve alla penna di un francese, lo scrittore Pierre Boulle, che nel 1963 diede alle stampe il rivoluzionario romanzo destinato a ridettare i canoni della letteratura di fantascienza. Suoi punti di forza un linguaggio parascientifico incredibilmente realistico e la geniale intuizione di mettere alla berlina le tesi evoluzionistiche semplicemente ribaltandone i presupposti. L'uomo si vede come specie dominante all'ultimo stadio della scala evolutiva, ma cosa accade a un occidentale civilizzato quando sbarca in un mondo dove sono le scimmie a parlare, ragionare, intendere e decidere, mentre gli esseri umani sono considerati alla stregua di animali da laboratorio? Acquisiti i diritti, nel 1968 la 20th Century Fox produce il film che darà origine al mito, interpretato dalla star Charlton Heston e diretto da Franklin J. Schaffner, che ci aggiunge di suo un finale a sorpresa leggendario: la Statua della Libertà in rovina, che rivela al protagonista di trovarsi sulla Terra del futuro, distrutta dalle radiazioni, è difficile da dimenticare e, in linea con i moti pacifisti e ambientalisti del momento, è una conclusione decisamente più potente rispetto a quella della controparte letteraria, ambientata su un pianeta diverso. Seguiranno ben quattro sequel, una serie tv, un cartoon, vari rip-off e un tentativo di reboot, nel 2001, a opera di Tim Burton, che pur non deludendo al botteghino non riesce a soddisfare le alte pretese di critica e appassionati. Colpa anche di una sceneggiatura poco organica che si incarta facilmente nel pericoloso gioco dei paradossi spazio-temporali. Dopo dieci anni, la Fox ci riprova, ricominciando daccapo ancora una volta.

Le origini della specie

La trama de L'Alba del Pianeta delle Scimmie è sostanzialmente slegata sia dalla serie originale che dal remake di Burton, se non per qualche citazione che strizza l'occhio ai fan ‘storici'. Vagamente ispirato al quarto capitolo, 1999 - Conquista della terra, il plot vede uno scimpanzé evoluto di nome Cesare organizzare una rivolta di suoi simili contro gli umani, guadagnando il dominio del pianeta. Là, l'intelligenza sviluppata di Cesare era frutto di un paradosso temporale. Qui, più semplicemente, di un esperimento fin troppo ben riuscito di cura contro l'Alzheimer. A condurlo è il dottor Will Rodman (James Franco), particolarmente appassionato alla questione dato che suo padre sta morendo proprio per colpa di quel terribile male. Per una serie di circostanze, Will è costretto ad ‘adottare' Cesare per proteggerlo e studiarne meglio il comportamento, che tradisce via via segni di apprendimento sempre più stupefacenti. Tra i due, con la complicità della graziosa fidanzata di Will (Freida Pinto) si viene ben presto a creare un rapporto padre-figlio, ma la razza umana non è pronta ad accettare un animale tanto intelligente. Cesare viene strappato all'affetto dei suoi familiari e imprigionato. Spaurito e solo in mezzo ad aguzzini umani e primati decisamente più feroci di lui, saprà far valere le sue doti di leadership mettendosi a capo di quello che diventerà ben presto un vero e proprio esercito di scimmie, pronte a combattere strenuamente per i propri diritti e la propria libertà, mentre gli affaristi senza scrupoli che sperimentano sugli animali scoprono che lo stesso agente in grado di rendere i primati senzienti è in realtà un potentissimo virus che può decimare l'umanità.

Date a Cesare quel che è di Cesare

Dopo il passo falso del reboot burtoniano, l'idea di una nuova ripartenza a scopi evidentemente commerciali, per di più con un titolo, Rise of the Planet of the Apes, non proprio accattivante - meglio sarebbe stato evitare quei due ‘of the' tanto vicini - non lasciava presagire grandi entusiasmi. E invece, a sorpresa, il film non è brutto. Proponendo una struttura lineare, priva di viaggi nel tempo e finali shockanti, l'onesta regia di Rupert Wyatt, qui al suo secondo lungometraggio, si dimostra in grado di orchestrare con coerenza una bella parabola su evoluzione e rivoluzione, diritti degli animali e buon uso del progresso scientifico. Niente di particolarmente originale, è vero, ma la pellicola non manca di momenti epici - l'attacco finale delle scimmie è da manuale - ed emozioni regalate soprattutto dal sorprendente utilizzo della ‘motion capture', che ricrea grazie al computer i movimenti e le espressioni dei primati con un realismo toccante. La scelta è anche etica: "Potevo benissimo utilizzare delle scimmie ammaestrate - ha dichiarato Wyatt - ma sarebbe stato incoerente in un film contro lo sfruttamento degli animali". Ecco allora che entra in gioco l'esperto Andy Serkis, già interprete di Gollum e King Kong per Peter Jackson,  che colpisce per la sua capacità di coinvolgere e commuovere lo spettatore con l'interpretazione digitale del combattivo scimpanzé Cesare. "Non era possibile riproporre le stesse tematiche dell'opera d'origine - aggiunge il regista - ma abbiamo voluto comunque fare un film ricco dal punto di vista emozionale. Era un'altra epoca, con problemi molto più specifici". Wyatt pensa di certo ai moti studenteschi degli anni '70 e alla rivolta razziale. "Noi abbiamo deciso di concentrarci sui maltrattamenti agli animali nei laboratori e ai pericoli di certe sperimentazioni genetiche. So che il pubblico si aspetta un finale a sorpresa, ma non ho cercato quel genere di climax e, in tutta onestà, non mi sento obbligato a farlo. L'universo della saga è abbastanza ricco da poterlo evitare. Cercare di emulare l'originale ci avrebbe necessariamente spinto a un fallimento, perché non avremmo mai potuto trovare un'immagine con la stessa forza evocativa". Se pensiamo che uno dei maggiori punti di debolezza del reboot burtoniano era proprio il forzato e incomprensibile ‘twist' conclusivo, non possiamo dargli torto. E accettiamo di buon grado il sacrificio di una buona dose di potenza visionaria a favore di uno sviluppo più facilmente comprensibile ma non per questo meno entusiasmante, constatando che i numeri per un rilancio del franchise, ora, esistono. E quando Cesare, trionfante, si arrampica sul suo albero e alza la zampa in segno di vittoria, non possiamo fare a meno di esultare con lui.

L'Alba del Pianeta delle Scimmie Dopo il fallimento di Tim Burton nel 2001, Fox centra il bersaglio al secondo tentativo di reboot. L’Alba del Pianeta delle Scimmie è lontano dalla potenza visionaria dell’originale e anche dalla controversa reimmaginazione burtoniana, eppure la parabola su evoluzione e rivoluzione messa diligentemente su da Rupert Wyatt si fa apprezzare, offrendo anche emozioni e qualche spunto di riflessione. Gran parte del lavoro lo svolge il sensazionale processo di ‘motion capture’, che con l’uso del computer riproduce movimenti ed espressioni delle scimmie in maniera realistica e coinvolgente.

7

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