Speciale Johnny Depp - Il ribelle di Hollywood

Il ribelle di Hollywood

Speciale Johnny Depp - Il ribelle di Hollywood
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Dal rock a Freddy Krueger

John Cristopher III Depp, più noto come Johnny, è sicuramente uno degli attori della sua generazione che più rimarranno nel cinema del suo tempo. La caratteristica che lo ha sempre contrassegnato è stata quella di essere un ribelle, spesso distante dalle politiche hollywoodiane, è cresciuto sin dall'adolescenza come un "cane sciolto", riuscendo al contempo a scalare la vetta del successo, ormai da tempo consacrato a divo del nuovo corso.La sua carriera parte precoce, a 13 anni già si trova collocato in una band, speranzoso di conseguire il sogno americano di ogni ribelle: diventare una rock star; ed effettivamente, dopo alcuni cambi di formazione, la garage band, che nel tempo da "Flame" diverrà "The kids", inizia a vantare un importante riscontro di pubblico, arrivando in seguito ad aprire i concerti di rockers famigerati e navigati come Iggy Pop e Billy Idol. Il giovane Depp si ritrova quindi con sogni importanti nel cassetto, ma con un presente assai difficile col quale confrontarsi in un vero e proprio corpo a corpo: il divorzio dei genitori, un carattere che esponenzialmente va verso la riottosità da strada, segno che si amplificherà dopo l'abbandono degli studi, la frequentazione di droghe e un lavoro notturno in un locale della Florida. La morte del nonno, figura veramente paterna che lo iniziò alla musica, lo segna terribilmente, gettando quindi l'appena quattordicenne all'investigazione di sè stesso, ricerca che gli farà scoprire le sue orgini multi-etniche alle quali si sentirà profondamente legato soprattutto nelle sue ramificazioni Cherokee, tatuandosi sul braccio la testa di un capo indiano che ne sanziona il vincolo di sangue. Una caterva di traslochi, che certo contribuiscono a destabilizzare il giovane chitarrista, non fa altro che rinvigorire la scontrosità e la voglia di ribellione che sfoceranno nella fuga da casa a 16 anni, nel '79, destinazione Florida, dimorato nella sua vecchia Impala col suo fraterno amico Sal Jenco. Obbiettivo: diventare una rock star.Nonostante il gruppo, come suddetto, stava piuttosto rapidamente ritagliandosi il suo spazio, non riesce a sfondare nel "professionismo" e Johnny trova costretto impiegarsi in una serqua di lavori d'occasione che lo sostentano. Alla vigilia del Natale del 1983, a soli ventanni, si sposa con Lori Ann Allison, episodio non solo di cronaca rosa, ma del tutto fondamentale nella sua carriera perchè, nonostante il matrimonio fallisca piuttosto rapidamente, i due rimangono molto amici e questo darà l'occasione al nostro di conoscere il nuovo partner dell'ormai ex-moglie: quel Nicholas Cage, nipote di Francis Ford Coppola, che lo spingerà fortemente verso il cinema. Sarà quindi da questo intreccio di vite americane che partirà la "vera" carriera di Depp.Cage lo presenta al suo agente che lo infila nel 1984 nel film di Wes Craven "Nightmare: dal profondo della notte". Più tardi Depp dichiarerà che i primi films li girò solo per finanziare i propri progetti musicali, quindi dei semplici espedienti che però gli fruttarono già una certa fama poichè la scena col primo Freddy Krueger divenne un cult, col giovane Depp risucchiato nel letto imbevuto di sangue. Nonostante gli intendimenti siano sempre musicali, il ventunenne inizia a prendere sempre più seriamente il cinema, intraprendendo studi di recitazione che lo avvieranno.

E' nata un'altra star maledetta?

In un periodo dove il cinema e l'America vivevano sotto il segno di icone maledette come James Dean, Depp costruisce la sua fama. L'aria da sedizioso anticonformista, benchè non certo studiata a tavolino, è quella che al momento permette di cavalcare l'onda. A questa, il giovane americano aggiunge una sicurezza da uomo scafato - poco più che ventenne ma con un bagaglio esperienziale già assai nutrito - con un volto da eterno adolescente che assomma un'amara dolcezza con una certa malmostosa spavalderia.I consensi intorno a lui crescerenno quotidianamente, viene notato da molti attori ed addetti che non si periteranno di segnalarlo, ed è così che dopo un paio di apparizioni televisive approda al pluri-premiato "Platoon" di Stone nell'86 che lo porterà direttamente alla serie televisiva "21 Jump Street", dove il suo poliziotto gli infonderà una popolarità esorbitante.Da qui in poi Depp si dedicherà anima e corpo alla ormai avviata carriera d'attore, operando sempre scelte in armonia con la sua acutissima sensibilità, spesso tralignante in rabbia che lo porterà alla ribalta della cronaca per le sue procellose (e distruttive!) relazioni sentimentali.Nel '90 un'altra svolta. John Waters decide di affidargli il ruolo da protagonista nella commedia musicale "Cry baby", un film quasi parodico di Grease dove si vede un Depp impomatato alla Fonzie con tanto di moto, pelle nera e "pupe" al seguito. Il film in effetti calza i clichè dell'epoca e Depp recita discretamente la parte del trasgressore che certo gli appartiene.L'importanza del lavoro, benchè non possa annoverarsi tra i preminenti della sua filmografia, ha l'importanza di esportare il suo nome già oltre l'oceano, poichè la pellicola verrà presentata fuori concorso al festival di Cannes. Il suo primo vero ruolo cinematografico è comunque emblematico. Fin da subito si creerà la figura di "outsider", e nella vita e nella recitazione, ricercando inderogabilmente una profonda connessione intima con le parti sul set, metodo che lo condurrà al successo nonostante lo scarto di lavori celeberrimi (verbigrazia quello di Reeves in Matrix!). L'abbinamento è quello che coordinerà la sua carriera: ruoli difficili, marginali, sposati con produzioni, per quanto talvolta "periferiche", sempre molto godibili anche da una forbice di fruitori al di là del semplice pubblico underground. Certo questo più invalso richiamo sarà molto dovuto alla sua attitudine da sex symbol che, ineluttabilmente, richiamerà torme di ammiratrici da tutto il mondo. Icona che per altro lo stesso Depp ricuserà sempre nella maniera più recisa e dura, volendo emergere per le sue doti comunicative ed espressive, elogiate anche da un Gasmann, di cui darà poi fulgidi esempi.Ma l'inizio degli anni '90 riserveranno forse l'evento più importante di tutta la sua esperienza lavorativa: l'incontro con Tim Burton, l'impatto fu talmente forte da sortire una stima reciproca ormai ventennale, tale da far dire all'insigne regista di considerare Depp il suo vero e proprio alter ego, una sorta di proiezione di sè stesso.L'episodio è quello della melanconica fiaba "Edward mani forbici", anche questa diventata un piccolo cult.La visionarietà di Burton, che trova il diapason del film nella scenografia, dà la possibilità all'attore di mostrare tutto il suo talento sotto ai chili di cerone. Ispiratosi seriamente al noto Charlotte, Depp riesce a creare una sorta di mesta macchietta da cartoon perfettamente proiettata nel mondo favolesco burtoniano.L'aura di bello e dannato, di veloce e "sporco", infusagli dal rapido successo lo conduranno ad una vita affatto dissoluta, alle prese con droghe ed autolesionismo, sino ad arrivare al drammatico episodio della morte di John Belushi che vedeva in Depp, presente quella sera al "The Viper Room", un festante sodale. L'episodio, focale nella sua biografia come lui stesso ammetterà, avrà l'effetto di una brusca sveglia. Furono proprio questi vissuti, con la sua calibratissima scelta dei ruoli, che allontaneranno Depp dai suoi colleghi generazionali perfettamente... hollywoodiani.

Il successo...

Depp è ormai calato nella parte e conia una sorta di metodo beat che lo conduce a giocare tutto sulla tradizione attoriale, l'affinità coi personaggi ed una tensione nervosa, emotiva che, come certifica egli stesso, gli toglieranno il sonno per tutta la durata delle riprese sin dalla prima lettura del canovaccio! Una recitazione tutta riversata sull'espressività del gesto, della smorfia che Depp sa dosare in tutte le sfumature. Le sue doti vengono consacrate in "Benny&Joon", una commedia allegorica girata dal burtoniano Chechick, in cui venerà lo stravagante personaggio di Sam con una poeticità nostalgica dove le recrudescenze chaplianine e keatoniane sono così palmari da risultare quasi invadenti.Nel '93 è la volta di "Arizona Dreams". Depp intepreta un personaggio del tutto anti-moda, il quale, invece che addirsi al sogno americano preferisce gozzovigliare in uno scenario irreale. Il vero protagonista del film però è senz'altro Kusturica; nella confusione del suo lavoro infonde stille di poesia cinematografica con un protagonista, ovviamente Depp, pressato però da Vincent Gallo che non gli renderà la vita facile sul set.Il film non sarà uno dei suoi migliori episodi ma ne rimpinguerà l'esperienza, confrontandosi con uno dei registi più eclettici del panorama europeo, da poco approdato oltreoceano.Ancora nello stesso anno riesce a concludere la sua partecipazione al claustrofobico "Buon compleanno Mr.Grape" dove potrà sfoggiare nuovamente la sua predilezione per i ruoli accorati, in cui primeggia nuovamente il tema della diversità, in una parte problematica da recitarsi col cuore turgido che il nostro incarna con encomiabile equilibrio, riscuotendo consensi pressocchè unanimi. Il film è noto più per la recitazione da Oscar dell'allora più che promettente Leonardo di Caprio con il quale Depp riesce perfettamente ad intersecarsi, complementato con la parte femminile di Juliette Lewis, che da lì a poco diverrà per altro sua partner.L'anno dopo si rinsalda il legame con Tim Burton nel bianco e nero di "Ed Wood", storia biografica dell'omonimo regista. Burton sceglie una delle figure più meravigliosamente fallimentari del cinema per sublimare il lavoro del cineasta, coadiuvato da Depp nel ruolo di protagonista, ormai perfettamente calato nella parte del soggetto bizzarro e cinereo.La scelta dei ruoli continua nella sua coerenza di rimanere fuori dai preparati per famiglie, e sebbene successivamente parteciperà allo stonato "Don Juan de Marco", nel ruolo del latin lover consumato nonchè aspirante suicida solo per poter conoscere e lavorare con Marlon Brando, anche nella vita reale si guadagnerà sempre più la nomea di "maledetto" causa l'uraganosa storia con Kate Moss con tanto di camere d'albergo devastate! Arriverà quindi il tempo del controverso "Dead man", una sorta di lunare western esistenzialista, dove interpreterà William Bill Blake (ogni riferimento suppongo sia puramente voluto), diretto dal noto Jim Jarmusch che lo porta sempre più nel cinema d'autore recitando la parte di un fantasmatico cow-boy tutto spleen e riflessione, quintessenziato da un bianco e nero superbo e dall'atmosferica musica di Neil Young. Il '95 è un anno sicuramente prolifico ma non proprio qualitativamente altissimo: accetta la parte nel tiepido "Minuti contati" anche qui solo per poter lavorare al fianco di Cristopher Walken. Questo criterio di scelta, già verificatosi col suo grande amico Marlon Brando, non fa altro che evidenziare a mio avviso la genuinità di Depp, che intende migliorarsi e crescere nei contenuti emotivi ed attoriali attingendo quanto più possibile da colleghi che egli reputa (a buon diritto) monumentali, benchè il tutto vada un po' a discapito della qualità dei lavori.Ma questi tipi di cali da lì a poco verrano meno, poichè Depp inanellerà una serie di ottime riuscite che accresceranno, e di molto, la sua fama.

...e l'affermazione

Primo della nuova stagione è "Donnie Brasco" nel ruolo del poliziotto infiltrato con Al Pacino. Il film lo deputa miglior attore della sua generazione nelle parti di "sbandato" portandolo ormai definitivamente all'attenzione di tutti. Qui Depp è formidabile nel mostrare le onde rifratte dell'introiettamento psicologico. Da poliziotto, a furia di vivere da infiltrato con la malavita , impara a ragionare e ad essere uno di loro, per poi, con grande sforzo ritornare dopo anni alla sua quotidianeità. Il passaggio alternato dal doppio ruolo, in cui viene come detto esaltata la chiave introspettiva, viene interpretato in modo quasi amletico, riuscendo sempre a tagliare la propria recitazione facendo appello a tutto il suo contenuto umano, qui in chiave evidentemente esiziale.Poco dopo l'ormai affermato attore, decide di sfruttare il buon momento, cimentandosi nel mestiere di regista, sceneggiatore ed attore primario, quasi una sorta di one-man-band filmica. Il lavoro è "Il coraggioso", un film che recupera le sue riminiscenze indiane e che sente molto vicino il "Dead man" di Jarmusch. E' questa un'opera molto discussa, sciamannata dalla critica, che vede focale l'argomento della morte. E' un lavoro straziante, talmente tanto da esser tacciato di retorica e ridondanza, in cui però l'esordiente regista crede fortemente. Marlon Brando, flemmatico nella sua brevissima crudeltà, promette una mercede al giovane Rafael-Depp in cambio di girare uno snuff movie. Il film indugia sulla scelta poi condiscendente del giovane, giacchè la sua condizione da bindoville, nella più asettica prateria americana,  appare segnata dal degrado e dalla nullità più impenetrabile. Così facendo egli si sacrificherà con questo gesto supremo ad appannaggio della sua famiglia, cui garantirà così un vitalizio definitivo. Lunghe camminate, riprese lente ed ossessive, il film punta moltissimo sull' immedesimazione dell'aspettatore nella condizione spietata del protagonista, sino a condurlo in quel diabolico set. Indipendentemente dalla raffica di granfiate ricevute, il lavoro si distingue come uno dei film più incisivi della fine del decennio, col suo densissimo pathos.Di ben altra natura sarà invece la collaborazione con uno dei registi più scorretti del diorama statunitense, Terry Gilliam che gli ricalcherà addosso l'improbabile ruolo dello scrittore beat Raoul Duke nel notissimo "Paura e delirio a Las Vegas", come spesso accade, anch'esso tratto da un romanzo, di Thompson per la cronaca.Questa nuova sfida palesa tutta la versatilità di Depp, talmente sudaticcio, imbruttito da renderlo irriconoscibile, in un ruolo a dir poco sopra le righe. Con una regia delirante, in uno scenario lisergico, con musica ed immagini adulterate, la libertà d'assunzione di un arsenale di sostanze psicotrope, in pieni anni '70 in quel di Las Vegas (binomio esplosivo!), propellono lo scoppio degli stralunatissimi attori - l'altro è un imperdibile Benicio del Toro - dal finale ancor più fumoso dello stesso svolgimento.Come suddetto, la qualità e le capacità mimetiche di Depp trovano al momento la sua miglior prova: occhialoni, berretto da pescatore con tanto di lucida pelata gli permettono di provarsi in un istrionismo veramente "gilliamiano", obliquo e spericolato, certamente fuori dalle consuete regole del mestiere.

Walk of fame

Il '99 è un'annata particolare, ci sono svolte sia personali che professionali. Per quanto riguarda le prime Depp trova finalmente pace in una relazione serena con quella che diverrà da lì a poco la sua nuova (e duratura) moglie, la cantante francese Vanessa Paradis e sempre nel '99, passando per un paio di arresti per percosse ai paparazzi, nasce la sua primogenita, episodio che gli infonderà quella sicurezza e stabilità che mai aveva avuto prima. Arrivano anche i primi riconoscimenti internazionali, viene conclamato con la Walk of fame in patria e premiato col Ceasar in Francia. Professionalmente i suoi lavori imminenti potranno vantare delle produzioni prestigiose, "La nona porta" di Polanski ne è un ottimo esempio. Una storia assai intrigante che frammista esoterismo, satanismo con la stupenda ed avvolgente scenografia delle labirintiche regioni collinari francesi e i cunicoli di una Spagna medievaleggiante, dove Depp interpreta il ruolo di Dean Corso, detective di libri antichi ingaggiato da un ambiguo facoltoso alla ricerca di volumi secenteschi, custodi di sinistri poteri evocatori. Il film viene spesso additato come un piccolo successo mancato, credo invece si possa sostenere tutta la bontà del lavoro dello scaltrito Polanski che, con la sua regia geometrica, scandisce i tempi perfetti di un racconto d'appendice. Depp mostra qui dei toni cinici, freddi, distaccati come difficilmente lo rivedremo nella sua carriera. Ulteriore prova della raffinatezza interpretativa riesce anche qui a personalizzare un ruolo di sottile introversione: il bibliofilo dotto e prezzolato nel tempo si volge in fremente ricercatore...di cosa, non è esattamente dato sapersi, nemmeno nell'ottimo originario romanzo di Perez-Reverte."La moglie dell'astronauta" lo vede impegnato in una parte da deuteragonista, sposato con Charlize Theron in una delle più attraenti coppie del cinema attuale. Il film consegue i suoi intendimenti da thriller sci-fi, ma in vero, non lascia il segno e le potenzialità racchiuse nella "pariglia" di super-attori, vengono mal impiegate dalla regia del trascurabile Rand Ravich. Da questo momento in poi Depp avrà un' ulteriore costante crescita di gradimento, fama e ad aprezzamento, incominciando co "Il mistero di Sleepy Hollow" dove potrà tornare a lavorare con l'amatissimo Burton e Cristopher Walken. Una fiaba dark nello stile tipico del regista, un film molto ricco, talmente generoso da risultare straripante e un po' auto-compiaciuto, ma per fugare ogni dubbio, basti ricordare la vincita dell'Oscar come migliore scenografia nel 2000; una vera e propria trasposizione prospettica della mente di Burton, come ebbero a dire i designers del film.

L'anti-divo all'apice

Depp ormai è un vero e proprio anti-divo, tenero ma al contempo scabro, una di quelle personalità capaci di richiamare l'attenzione su di sè grazie ad un severo, timido carisma sempre più messo a servizio dei suoi personaggi che perfettamente danno corpo a questi ossimori. E' il caso dell'effeminato Ichabod Crane, il giovane cavalleresco indagatore alle prese con raggelanti omicidi nella nebbiosa cittadina di Sleepy Hollow. E' anche il caso di Cesar, particina che Depp interpreta nello scarsissimo "The man who cried", una sorta di "bignami della drammaturgia" - come fu ben definito all'epoca - senza quindi nessun momento autentico. Tutto scorre insulsamente come da clichè, senza ricostruzione storica in un film che va dalla Russia del '27 sino al nazismo; mischiando, senza competenze, diversi generi e stili, facendo cadere nella palude la brava Cristina Ricci e il nostro, spaesato ma non vinto, all'interno di tale accozzaglia. Ma il film vede in Depp un ruolo affatto secondario, importante ai fini della trama, ma di sostegno; ben altra ascendenza si troverà nella gradevolissima commedia "Chocolat", superando a piè pari "Prima che sia notte" dell'ambiziosissimo proto-artista Schnabel dove Depp svolge anche qui un ruolo marginale. Nel film di Hallstrom, che fa di tutto per svincolarsi dalle pressioni hollywoodiane, si registra un soffice equilibrio nè troppo melò nè troppo ammiccante, che ammanta tutto, scenografia (per altro stupenda), sceneggiatura e libertino messaggio finale di un'atmosfera pastellata fatta di gusto e di leggero edonismo, che ha ricordato a molti il ben più trattenuto "Pranzo di Babette". Tutti questi ingredienti vengono ben amalgamati dalla Binoche e da Depp, più fascinosa icona che mai, sempre alle prese con un personaggio outsider, qui in stile bohemien.Tutt'altri scenari si svelano in "Blow" dove Depp torna a che fare con la droga, qui su scala internazionale dal momento che interpreterà la vita di George Jung, campione primo del traffico mondiale di stupefacenti. La preparazione di Depp prevede un propedeutico soggiorno in carcere atto ad introiettare il sofferto spirito del personaggio (per altro ancora oggi carcerato); un uomo profondamente sconfitto dalla vita, ma che il film presenta anche con un'anima molto umana ancorchè teso verso un consumismo di marca tutta americana. Il talento drammatico di Depp si esprime forse come mai aveva potuto sino ad ora, capace di seguire il corso evolutivo del soggetto, dalle assolate spiagge californiane sino alle ultime conclusive strazianti battute. In particolar modo nei rapporti interfamiliari col padre e con la figlia Depp mostra ormai una precisa bravura, senza imperfezioni.Ne "La vera storia di Jack lo Squartatore" Depp interpreta un commissario di polizia, nemmeno a dirlo, decisamente fuori dagli schemi, poichè fa dell'ebrezza da oppio il suo più efficace strumento d' indagine, in un ruolo che ricorda quello di Sleepy Hollow. La pellicola punta molto sull'atmosfera vittoriana, torbida ed il volto dolce e tenebroso di Depp sembra quasi partorito dalla tetraggine di quella Londra scientifica, industriale. Il film in sè pare lavoro convenzionale, ma l'altissima performance di Ian Holm e il fascino del commissario vampirizzato nel libertinaggio fin de secle, ne migliora di molto la godibilità.E' qui che Depp prenderà la sua svolta più commerciale con la pubblicizzatissima trilogia del pirata Jack Sparrow, che vede nel 2003 il suo incipiente episodio.Nel suo primo, e forse unico, film formato famiglia, targato ineluttabilmente Walt Disney, Depp interpreta probabilmente il ruolo più famoso, forse non solo della sua carriera, ma probabilmente degli ultimi anni. Il prototipo del bucaniere perennemente aureolato dalla vinolenza da Rum, alla ricerca scapestrata di generosi tesori è rispettato, ma anche qui l'attore mette prepotentemente il suo zampino. Inventa ex nihilo una recitazione al limite, con una parlata biascicata, delle movenze stenterellesche che Depp dirà ispirate da Keith Richards dei Rolling Stones, inventando una vera e propria maschera quasi da commedia settecentesca. Il risultato è formidabile, talmente personale e strabiliante da suscitare le fortissime perplessità dei capi della Walt Disney che, dapprima si riprometteranno di censurarne l'alticcio istrionismo, ma poi si convinceranno della bontà del lavoro, lavoro che frutterà all'attore una meritata nomination agli Oscar. Questo fatto credo sia del tutto indicativo, di come Depp non abbia abdicato nemmeno qui ad interpretare calligraficamente i propri personaggi, infischiandosene dell'opinione pubbica e dei produttori tutti tesi a rispettare gli standards del film di genere. Inutile raccontare del successo della prima parte, probabilmente la più gustosa, dove non si possono non menzionare la fotografia, la scenografia, la colonna sonora ed in ultimo ma non per importanza, il cast davvero all'altezza di un magnifico lavoro di intrattenimento. Depp si sentirà talmente sulla pelle il personaggio di Sparrow che si auspicherà di poterlo riproporre anche dopo la trilogia, dichiarando tutta la sua dilezione, niente affatto sorprendente, per il mondo piratesco.Nello stesso periodo continuerà ad indugiare nei climi caldi con "C'era una volta in Messico", il lavoro pulp di Rodriguez sulle peripezie splatter del mariachi Banderas. Il film in verità non ha molto da dire e lo stesso regista finirà spesso con l'autocitarsi in uno schermo continuamente incandescente e digitalizzato.

Le candidature...

Assai più significative sono l'interpretazioni in "Secret Window" e "Neverland". Il ruolo è in entrambi quello di scrittore, nel primo un neghittoso e negletto giallista contemporaneo speranzoso di trovare ispirazione tra ameni paesaggi montani, tentando di recuperare un rapporto compromesso con l'ormai ex-fidanzata...in un finale tutto in crescendo in tipico stile Stephen King. Nel secondo invece Depp si ritrova nei panni J.M. Barrie, l'autore londinese di Peter Pan, tutto sogno, fanciullezza ed innocenza. Due modi di interpretare lo stesso mestiere mostrandone la transeunte antitesi e perfettamente eseguiti dallo stesso che pare voler squadernare il lato oscuro e sinistro prima e il candore utopico poi. Il migliore tra i due film così essenzialmente diversi è da ritenersi il secondo, quantomeno per le ben 6 candidature, tra cui nuovamente quella a Depp, e l'Oscar alla colonna sonora. La leggerezza con con cui Barrie si ritrova a danzare con un san bernardo, i lazzi infantili, la suggestione trasognante e serena che Depp sa promanare danno ulteriore dimostrazione di duttilità, trasformismo e catarsi recitativa. L'attore sa sempre meglio attingere a tutto il suo repertorio, che gli permette di reinventarsi proteiformemente ad ogni pellicola. Basti pensare alla nuova tipologia di scrittore che si ritrova ad interpretare ne "Il libertino". Se in "Secret Window" Depp era riuscito nuovamente a vincere una sfida difficilissima, trovando i guizzi peculiari del suo psicotico personaggio a metà tra Marlon Brando e Dostoevski, qui interpreterà il classico scrittore decadente tutto dedito a vita licenziosa. La trasformazione anche qui sarà stupefacente quando dal giovane di shakesperiane speranze, Depp si trasformerà in un emiplegico giovane-vecchio consumato e scarnificato dalla malattia venerea, ovviamente sifilide. In un affresco storico pittorico da incantesimo, che ambisce ad unire cinema con teatro in spezzoni memorabili, peccati mortali sono le licenze, non lussuriose, ma registiche che si prende Laurence Dunmore con una sequela di campi e controcampi da televisione parrocchiale. Ciò nonostante il film entusiasma anche per la cerebrale recitazione dell'inappuntabile John Malkovich, tutti immersi in un barocchismo abbacinante tra fango ed alcool, tra falli e drappi, che intende affrontare argomenti capitali come la corruzione dell'arte, l'invadenza della politica, il tutto relazionandosi a questioni estetiche; forse troppa carne al fuoco per un regista pressocchè esordiente che quantomeno ha l'intuizione (e la supinità) di mettersi al mero servizio degli attori.Il resto della carriera, sin ad ora fruibile, è tutto armamentario burtoniano. Il rifacimento de "La fabbrica di cioccolato" inasta un'opera espressionistica, grottesca, edulcolorata, caratteri tanto del lavoro quando di Willy Wonka-Depp. L'attore si ritrova nuovamente a cangiarsi in un personaggio favolesco bene in bilico tra illogicità, paradossi e musichette più o meno (in)tollerabili. Il lavoro però sembra mancare di un qualcosa che avrebbe potuto renderlo come un nuovo classico per bambini e non convince sino in fondo. I commenti saranno invece entusiasti per il doppiaggio che Depp farà ne "La sposa cadavere", film d'animazione sempre di Tim Burton, così come sempre del medesimo sarà l'ultima opera uscita "Sweeney Todd", dove il nostro si immergerà nuovamente nella Londra vittoriana, spazio e tempo evidentemente assai cari al più che mai fosco Depp.Come nello stile del regista egli ci appronta un'opera esondante, con un virtuosismo stucchevole e geniale al tempo stesso. Il barbiere diabolico è una metafora che lapida l'efferata voracità del capitalismo. Depp si adegua al fiume in piena, alla poeticità di Burton sagomata nell'horror e si mostra aggrazziato nella sua immagine granguignolesca.Una galleria di nero e rosso con diverse variazioni sul tema, dove tutto si degenera tra e nelle fumèe londinesi, comprese le effusioni della teratologica coppia addentro alla loro bottega degli orrori. Il lavoro compiuto sulle immagini, da regista, fotografo e scenografo è stupefacente. Depp sembra perfettamente coordinarsi in questo delirio ematico, e di certo non è essa impresa da poco. Scontata la statuetta alla scenografia e l'ennesima candidatura per il barbiere, nonchè diversi premi e riconoscimenti sintomatici di una fama e talento non più opinabili.Il futuro del nostro appare assai gustoso, le opere di cui si sa prossima implementazione (Alice nel Paese delle Meraviglie, Public Enemies e The Rum Diary) sono di sicuro interesse e sarà curioso capire e vedere come l'attore riuscirà a ridisegnarsi di volta in volta in una carriera da vero e proprio trasformista, con quali nuovi guizzi inventerà i suoi personaggi, stando sempre ben attento all'oculata scelta dei propri lavori che, ne siamo sicuri, manterranno quella marginalità, quell'anticonformismo, segni ormai tatuati sulla pelle dell'attore e dell'uomo.

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