Recensione Inception

La mente è la scena del crimine.

Recensione Inception
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Se per Cenerentola (e Freud) i "sogni son desideri", per Christopher Nolan sono lo spazio in cui le idee hanno origine, inizio o, per l'appunto, inception. Una idea è il parassita più resistente, flessibile e contagioso, spiega il protagonista Dom Cobb all' inizio della pellicola. Le tante parole che si sono scritte e lette riguardo questo atteso e ambizioso magnum opus di Nolan non fanno forse altro che provare la veridicità della sopracitata affermazione. Inception, per intenderci, è uno di quei film che ti fanno restare seduto sulla poltrona del cinema per tutto il tempo dei titoli di coda, a scambiare con i tuoi amici i tasselli di un puzzle narrativo da cardiopalma da un lato e mal di testa dall'altro. Dove l'originalità di un'ispirazione ha inizio e dove ha fine? E se gli spazi della mente non fossero privati? Se costituissero infatti una proprietà accessibile o, meglio, scassinabile, in una esperienza mentale condivisa e pre-personale?

Nota di redazione.

Siamo lieti di proporvi la recensione in anteprima di Inception, realizzata da una nostra lettrice, Beatrice, che risiede a Londra e che già avete avuto modo di conoscere grazie alla sua splendida recensione di Avatar realizzata al tempo. Considerata la caratura del pezzo, al di sopra di un buon 99% del piattume che si può trovare in giro per il web, ho deciso di proporla non come generica recensione di un nostro lettore, ma come review ufficiale di Everyeye.it. Spero che il tutto sia di vostro gradimento.

Andrea Bedeschi, responsabile editoriale Everyeye.it/cinema

Di Caprio Delivers

Chi vi scrive si trova col piacevole compito di parlare di un film particolarmente apprezzato, con però anche la consapevolezza di dover svelare poco o nulla di quel ritmo e quella narrativa che costituiscono gran parte del divertimento. Non volendo rovinare alcuna sorpresa e, soprattutto, considerando come la pellicola si basi quasi interamente su un confondere molto e svelare poco (e poco per volta), tenterò di "spiegare" dunque il meno possibile e di soffermarmi invece su alcune questioni generali del film. Alcuni dettagli saranno comunque necessari e potrebbero essere catalogati sotto uno "spoiler alert", a seconda di quanto vogliate sapere (o non sapere) prima di andare a vedere il film. Ma iniziamo col quel tanto di trama e cast che sono ormai di dominio più che pubblico.
Se siete cresciuti come la sottoscritta negli anni Novanta, credo possiate convenire con me che un certo affetto per "Leo" DiCaprio esista a prescindere. Come direbbero qui in Inghilterra: "DiCaprio always delivers". In altre parole, è molto difficile trovare una pellicola dove non reciti bene. I panni di Dom Cobb non sono forse i migliori che DiCaprio abbia mai indossato, ma nel personaggio ci sono abbastanza spessore emotivo e ricchezza interiore (letteralmente, visto che gran parte del film si svolge nella sua o altrui testa!) da assicurare l'ottima performance dell'attore e quella certa malinconia tormentata che sembra essere diventata la sua firma cinematografica (Scorsese c'entra qualcosa, suppongo). Come dicevamo, Leonardo DiCaprio/Dom Cobb è un "dream extractor". Per qualche oscuro motivo che non mi è dato rivelare, Cobb passa la sua vita in esilio, muovendosi di nazione in nazione e di cliente in cliente. Il suo lavoro consiste nel rubare segreti alle sue vittime quando questi dormono, a volte costruendo un sogno dentro il sogno come scenario nel quale il vero e proprio furto può avere luogo. Nei primissimi minuti del film però, qualcosa va storto durante l'operazione che vede oggetto il potente uomo d'affari giapponese Saito (Ken Watanabe). Cobb e il tuo team vengono colti in flagrante, ma il businessman dimostra di non essersela presa più di tanto e anzi fa al ladro la classica offerta-che-non-si-può-rifiutare. La sceneggiatura ci catapulta così nel pieno dell'organizzazione del prossimo grande - forse ultimo - colpo di Cobb. Se il processo di reclutamento e pianificazione del progetto probabilmente non possono che ricordare la saga Ocean Eleven/Twelve/Thirteen e affini heist movies, grazie al cielo la vera e propria operazione criminale in Inception non riguarda nessun ovetto Faberge né ville elitariste sul lago di Como, ma la paradossale iniziativa di addentrasi nei labirinti della mente del rivale numero uno di Saito per mezzo di un sogno, e di impiantare qui una idea (non vi dico quale) tanto importante e radicale da rivoluzionare le vite e gli eventi di molti. A mettere in atto l'impresa, una serie di partners in crime, la cui mansione è implicita nell'appellativo: Ariadne "The Architect" (Ellen Page), responsabile della scenografia del sogno; Eames "The Forger" (Tom Hardy), capace di contraffare identità e sembianze altrui; Yusuf "The Chemist" (Dileep Rao), le cui pozioni garantiscono la profonda fase REM necessaria per avere una attività onirica sufficientemente convincente; e Arthur "The Point Man" (Joseph Gordon-Levitt), il braccio destro di Cobb. A complicare ulteriormente la missione, ci si mette un passato con cui Cobb vorrebbe riconciliarsi (nelle sembianze di una splendida, ma un po' pedante Marion Cotillard) ma che continua a sbucare prepotentemente e violentemente ad ogni angolo e ad agire da principale elemento di disturbo nonché femme fatale della situazione.

Da Memento a Inception

Inception è probabilmente l'incontro ideale tra il concettualismo indipendente di Memento e i fasti Hollywoodiani pre e post produzione di The Dark Knight. Ne consegue che gli elementi per il successo ci sono tutti, così come il budget per realizzarli. Non mancano tranelli e imprevisti che, in un crescendo di situazioni in equilibrio tra computer graphic e espedienti narrativi, continuamente sfidano l'attenzione del pubblico e la sua prontezza di ricezione. La trama è sufficientemente intricata (come ci aspetteremmo, infatti, da quel certo allure di cinica intelligenza a cui il regista ci ha abituato nelle sue sceneggiature), ma comunque di gran intrattenimento (dovere in un blockbuster estivo). Ci sono tutti gli spari, i complotti e gli inseguimenti dell' action movie (tra un film di Bond e uno di Bourne, per intenderci), ma abilmente collocati nella psicotica cornice di un presente sempre indefinibile e che, sebbene lontano dai tratti fumettistici della Gotham della recente "Batman renaissance" di cui Nolan è ancora il responsabile, sicuramente ne ricorda il grigio e ansiogeno senso di illusione.
Il paradosso, l'impossibiltà logica e la sfacciataggine speculativa della fantascienza fanno
da padroni, in quello che può essere considerato, in fin dei conti, un film appartenente al genere. Poco o niente, tuttavia, rimanda alle ghettizzazione a cui la sci-fi spesso volontariamente si sottopone. Chiave di volta, in questo rispetto, è il ruolo di assoluta marginalità a cui la tecnologia che rende possibile la "dream invasion" è stata relegata all'interno del film. Per entrare nella mente delle proprie vittime, Cobb e compagnia si affidano ad un apparecchio a cui entrambi soggetti e oggetti dell'operazione devono essere simultaneamente e fisicamente collegati. Il dettaglio, sebbene importantissimo dal punto di vista di una rigorosa spiegazione di che cosa stia succedendo sullo schermo, è illustrato brevemente per meno di trenta secondi e mai enfatizzato (una seconda visione del film, effettivamente, potrebbe chiarire il passaggio). La macchina che de facto esegue la parte fantastica della scienza di Inception è, in questo senso, solo un tramite verso la vera tecnologia protagonista del film: il pensiero. Tutta la sceneggiatura, in questo senso, si basa su l'universalità di esperienze psichiche molto semplici, addirittura viscerali (un paio per tutte: la sensazione di cadere che si ha molte volte prima di risvegliarsi da un sogno e il momento in cui ci si rende conto che si sta sognando ma non si sa bene come si sia arrivati a quel punto). Tale riappropriazione di piccoli esperimenti ed esperienze mentali costituisce il vero punto di forza del film. Il potenziale creativo di Inception, a mio parere, non sta dunque nel soffermarsi su crisi di identità o questioni riguardo l'impossibilità di distinguere il reale dall'irreale (già visto, già fatto, già detto in dieci, cento, mille film), ma nel coraggio di affidare alla mente - e solamente a lei - il ruolo di agente propulsore di tutto il castello narrativo del film.

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A questo riguardo, potremmo commentare come Inception voglia liberare il famigerato quesito "sogno o son desto?" dalle pesanti appendici (pseudo)psicoanalitiche a cui il cinema, dagli alti di Io ti salverò di Hitchcock ai bassi di Matrix dei fratelli Wachowski sembra averci, ed essersi, a sua volta abituato. Nessuna indecisione tra pillole blu o rosse, insomma, ma un uso inventivo e tuttavia formale, rigoroso dell'irrealtà dello spazio onirico che, con buona pace dei sopracitati Freud e Cenerentola, poco o nulla lascia alla possibile risoluzione dei problemi esistenziali o morali dei suoi sognatori. Inception, in questo senso, sembra guardare al conscio/inconscio/subconscio come ad illusioni scolastiche: niente più che etichette riassuntive, utili per capire di che cosa stiamo parlando, ma di cui è impossibile dare una definizione unanime perché in fondo prive di alcun vera capacità di comprendere i mille piani della vita mentale.
Leggendo vari commenti su Internet e carta stampata, ho notato come una delle critiche più diffuse mosse al film sia l'accusa di essere alquanto confusionario nel dipingere l'esperienza psichica. In tale rispetto, personalmente io scaglierei invece una lancia a favore del bellissimo privilegio del venire confusi da un' "opera di ingegno" (termine qui usato in senso lato). Questo non è solo un bene, ma forse anche un lusso, in quest'epoca cinematografica di remake, rivisitazioni, prequels e sequels. In aggiunta, se è da una parte vero che la coerenza del film può sembrare in alcuni punti molto debole (a causa di gran tagli in editing?), dall'altra bisogna notare che, nei rari momenti in cui Inception prova a spiegarti quello che succede, lo fa con un certo piglio da maestra di matematica sconcertata di fronte all'ignoranza dei propri alunni che risulta poco piacevole. In questo rispetto, le parti confusionarie sono - a mio avviso - molto più di intrattenimento che i veri e propri passaggi risolutivi. Entrambi Nolan (implicitamente) e Cobb (esplicitamente) ci chiedono un "leap of faith" (un salto della fede, un po' come Indiana Jones nell'Ultima Crociata). Questo non implica una caduta libera nella tana del bianconiglio, ma un sereno accettare che la mente ha le proprie autarchiche regole, sia dentro l'architettura di sogno che nel rapido consumo (sempre solo apparentemente semplice) di 148 minuti di film.

Inception In fondo ed in conclusione - se proprio vogliamo trovare il messaggio di quello che Nolan/Cobb ci vogliono far capire e, forse, il cuore “emotivo” di tutto il film - potremmo concludere che nostro bisogno primario non è tanto il distinguere il vero dal falso, il possibile dall’impossibile, il logico dall’illogico, ma la necessità di saper “lasciare andare” (un ricordo, una speranza, una colpa), e reiniziare, sempre e comunque. Inception è un film da andare a vedere, se non per gli effetti speciali di edifici che si piegano su se stessi e lotte in una dimensione senza gravità, perlomeno per questa tacita, ma robusta considerazione che ci lascia.

8.5

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