Recensione Il riccio

Lungometraggio tratto dal bestseller L'eleganza del riccio

Recensione Il riccio
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"Fintamente indolente, risolutamente solitario, terribilmente elegante".
Recita così la locandina della co-produzione franco-italiana Le hérisson (ribattezzata Il riccio per la distribuzione nostrana), storia di un incontro inaspettato che, tratta dal bestseller L'eleganza del riccio, scritto nel 2006 da Muriel Barbery, segna l'esordio nella regia del lungometraggio per l'attrice Mona Achache, vista nei panni di Mari-Lou in Verso l'Eden (2009) di Costa-Gavras.
Ed è proprio a proposito del testo che osserva: "Ho scoperto questo libro proprio quando è uscito. Qualche tempo prima, incontrando la produttrice Anne-Dominique Toussaint, le avevo sottoposto una mia sceneggiatura. L'aveva trovata interessante ma un po' ‘tristanzuola' e mi aveva detto che se avessi trovato una storia più divertente da raccontare le sarebbe piaciuto lavorare con me. Dal momento che a me piace molto l'idea dell'adattamento di un libro, sono andata alla FNAC a sbirciare le quarte di copertina. Volevo comprare L'eleganza del riccio, ma ho rinunciato perché c'era troppo da aspettare alle casse. La sera stessa un'amica mi parla di un libro che aveva appena finito di leggere, L'eleganza del riccio! Me lo presta, io lo leggo e chiamo Anne-Dominique: ‘Ho trovato una storia!'. Lei mi risponde: ‘E' incredibile, ce l'ho sul mio comodino!'. Lo legge, se ne innamora anche lei, chiamiamo la Gallimard e, nonostante la presenza di altri realizzatori cinematografici, otteniamo un incontro con Muriel Barbery. Il risultato di quell'incontro è stato che la Barbery mi ha scelto e abbiamo ottenuto i diritti".

Paloma e Renée...

Ed è in un elegante palazzo parigino abitato da famiglie dell'alta borghesia, tra ministri, burocrati e maitres à penser della cultura culinaria che facciamo conoscenza con la grassa e sciatta portinaia Renée Michel, interpretata dalla Josiane Balasko di Non tutti hanno avuto la fortuna di aver avuto i genitori comunisti (1993), la quale, scorbutica e teledipendente, assiste dalla guardiola allo scorrere di questa vita di lussuosa vacuità; nascondendo la sua identità di coltissima autodidatta che adora l'arte, la musica, la filosofia e la cultura giapponese. Almeno fino al giorno in cui arriva il ricco monsieur Ozu dagli occhi a mandorla, cui concede anima e corpo il Togo Igawa de L'ultimo samurai (2003), che non solo scopre le sue qualità segrete, ma le permette anche d'incontrarsi con la dodicenne Paloma Josse, figlia di un ottuso ministro. Con le fattezze di Garance Le Guillermic, quest'ultima, capelli ondulati biondi, occhiali da vista e telecamera sempre alla mano, decide di farla finita il giorno del suo tredicesimo compleanno, mentre, geniale, brillante e fin troppo lucida, finge di essere una ragazzina mediocre e imbevuta di sottocultura adolescenziale come tutte le altre, osservando segretamente e con sguardo critico e severo l'ambiente circostante.

...o Harold e Maude?

"Alcuni libri sono più letterari di altri. L'eleganza del riccio lo è enormemente. Lo scopo dell'adattamento, perciò, era quello di rendere cinematografico ciò che era letterario. Nel libro Paloma scrive un diario, nel film adopera una macchina da presa e disegna. Non ho voluto usare la classica voce fuori campo così tanto sfruttata. La macchina da presa di Paloma doveva essere il supporto della sua voce. Ho voluto che la sua sottigliezza si percepisse, piuttosto che renderla udibile. Il film (come il libro) è un alternarsi costante fra il punto di vista di Paloma e quello di Reenée. Bisognava trovare un buon equilibrio e non privilegiare un personaggio piuttosto che l'altro, dovevano esistere uno indipendentemente dall'altro e l'uno non doveva prevalere sull'altro" prosegue la regista sulla sua opera prima che, tra antidepressivi e la morte intesa quale avvenimento più banale del mondo, anche se gli adulti hanno con essa un rapporto difficile, richiama vagamente alla memoria Harold e Maude (1971) di Al Ashby, incentrato sull'amicizia tra un agiato diciottenne stanco della sua esistenza e un'ottantenne prossima alla fine, ma grande amante della vita.
E, con Renée novella Cenerentola, Paloma che fa la bambina e Kakuro Ozu rilettura del principe azzurro, è un taglio da favola quello che viene dato all'operazione, il cui titolo si riferisce al fatto che tutti siamo dei ricci nella vita, ma il più delle volte senza eleganza.
Un'operazione che tira in ballo perfino un discorso riguardante il gioco giapponese del Go e la sua somiglianza con quello degli scacchi, mentre si dilata su circa 100 minuti di visione costruiti su lenti ritmi narrativi, come buona parte delle commedie d'oltralpe appartenenti alla stessa tipologia.
Pur senza dimenticare un po' di sana ironia (si pensi al water musicale, come in Vado a vivere da solo con Jerry Calà!) e un breve disegno animato infilato nel mucchio, per un prodotto senza infamia e senza lode che, consigliato soprattutto agli estimatori del filone e ai fan del testo letterario, spinge in particolar modo ad interrogarsi su quale sia il valore della vita.

Il riccio Vista nei panni di Mari-Lou in Verso l’Eden di Costa-Gavras, l’attrice Mona Achache esordisce dietro la macchina da presa con la trasposizione su celluloide del bestseller L’eleganza del riccio, scritto nel 2006 da Muriel Barbery e incentrato su un incontro inaspettato tra una geniale dodicenne e una grassa e sciatta portiera insospettabilmente coltissima. Una vicenda vagamente simile a quella raccontata in Harold e Maude di Al Ashby e che la neo-regista affronta fornendo al tutto un taglio da favola, con la tematica della morte quasi sempre presente, ma senza dimenticare un pizzico di sana ironia. Per circa 100 minuti di visione senza infamia e senza lode che, costruiti su lenti ritmi narrativi, spingono in particolar modo ad interrogarsi su quale sia il valore della vita, mentre risultano consigliabili soprattutto agli estimatori della non troppo leggera commedia d’oltralpe e ai fan del testo letterario.

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