Recensione Il ragazzo con la bicicletta

La nuova storia di infanzie 'difficili' dei Dardenne

Recensione Il ragazzo con la bicicletta
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Assidui nonché celebrati frequentatori della croisette (due volte vincitori della Palma d'oro per Rosetta e L'Enfant) i Dardenne tornano ancora una volta sulla tematica sociale (cinema di indagine che li affianca per modi e intenti al britannico Loach), narrando la storia di un ragazzo (solo) che reagisce alla vita con rabbia. Lo fanno con uno stile decisamente nuovo e inconsueto, quello di una fiaba in cui ogni personaggio è stilizzato nella sua funzione narrativa, quasi in linea con lo schema ipotizzato anni or sono dal linguista russo Propp.

Pedalando in bicicletta (accanto a te?)

Cyril, una passione per la bici e per le magliette rosse, ha quasi dodici anni e già vive nel pieno tumulto adolescenziale acuito dall'assenza della madre (mai neanche nominata nel film) e quella di un padre profondamente immaturo, che dopo aver liquidato il figlio in un istituto, venduto la macchina e l'adorata bici del figlio, sparisce con l'idea di rifarsi una vita scevro da ‘zavorre' filiali. Solo e alla disperata ricerca di un contatto con il padre, Cyril s'imbatterà in Samantha (la Cécile de France di Hereafter), giovane parrucchiera bisognosa di dare affetto che dopo aver aiutato il ragazzo a rintracciare il padre e a ritrovare la bicicletta, si dirà perfino disposta ad ospitare il bambino nei fine settimana, per iniziare con lui un necessario percorso di ricostruzione sentimentale e famigliare. Ma Cyril, ancora maledettamente arrabbiato con il mondo e con la vita, dovrà passare attraverso altri sbagli e altre situazioni pericolose prima di riuscire a scrollarsi di dosso il rancore, e poter tornare al calore di un nuovo nido.

Tra fiaba e realtà

Seguendo il classico schema della fiaba, con un protagonista circondato da una manciata di personaggi d'aiuto o d'ostacolo al ripristino di un sostanziale equilibrio, ne Il ragazzo e la bicicletta i Dardenne scelgono di non spiegare l'antefatto o svelare il background dei personaggi in gioco (così in ordine non sappiamo che fine abbia fatto la madre di Cyril, perché il padre abbia deciso di abbandonarlo, o ancora perché la parrucchiera decida di dedicarsi costi quel che costi - incluse la fine di una ‘relazione' e un taglio sul braccio - al ‘recupero' del ragazzo). Se da un lato questa mancanza di approfondimenti costringe lo spettatore a seguire il filo della stringente logica alla base di questa fiaba, dall'altra è molto difficile per questi entrare in empatia con un ragazzino smarrito che, ripudiato dal padre, trova veloce conforto tra le braccia di una ‘occasionale' fata turchese, passando attraverso le impervie quanto repentine derive luciferine di qualche ‘sbandatello' che ha già messo gli occhi su di lui. Una costruzione che nella troppa linearità perde di incisività, con risvolti (troppo repentini o troppo forzati) dettati più dallo schema imposto che da una condivisibile maturazione dei tempi. E dunque tutto il nerbo del film ruota attorno allo sguardo insieme ribelle e tenero di Cyril, uno sguardo avvolgente che non riesce ad abbracciare anche il resto dell'opera per via della mancata contestualizzazione di cui parlavamo poc'anzi. E anche l'epilogo, giusta ricompensa alle peripezie del protagonista, appare come un affrettato cammino verso una presunta serenità. Il tema sociale delle infanzie ‘difficili' sempre molto indagato dai fratelli belga, trova dunque nella stilizzazione fiabesca un nuovo modo, più indulgente e meno pregnante, di analizzare la febbrile corsa di un ragazzino spaesato verso il proprio futuro. Uno stile che rimane più superficiale di altri lavori dalle tematiche affini, come ad esempio Il figlio, in cui la camera seguiva con sempre maggiore urgenza e intensità il rapporto (catartico) tra un padre e il giovane responsabile della morte del proprio figlio. Un po' delusi da questo nuovo approccio, speriamo di ritrovare presto il pathos trascinante dei vecchi, incisivi e urgenti Dardenne...

Il ragazzo con la bicicletta Il ragazzo con la bicicletta, ultimo lavoro dei fratelli Dardenne, affronta con mano inconsuetamente leggera uno dei temi più cari alla coppia di registi belga, la vicissitudini di figli/ragazzi problematici. Il tono da fiaba che evita il processo di contestualizzazione, scegliendo invece di soffermarsi su dettagli più estemporanei (la bici, la maglietta rossa, la comprensione di Samantha, l’infantilità del padre di Cyril) si traduce in un racconto molto più stilizzato e molto meno pregnante rispetto a quello cui i Dardenne ci hanno abituati.

5.5

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