Recensione Il Concerto

Armonico l'accordo fra commedia e dramma nel nuovo capolavoro di Mihăileanu

Recensione Il Concerto
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Guardando la locandina de Il concerto, molti potrebbero venire assaliti da un preconcetto: “Chissà che noia un film francese su un'orchestra russa di musica classica e il suo direttore fallito!”
Adocchiando il nome del regista, però, tali preconcetti scompaiono pressoché all'istante: trattasi infatti di un film di Radu Mihăileanu, rumeno di origine e francese di adozione, autore e regista di piccoli grandi esempi di ottimo cinema quali Train de vie - Un treno per vivere e Vai e vivrai. Un regista a suo agio sia nei contesti comico-satirici che in quelli più drammatici, dunque, alle prese con il suo film più imponente a livello di mezzi e cast: una storia tratta da un concept originale di due giovani sceneggiatori, Hector Cabello Reyes e Thierry Degrandi, vagamente ispirata a sua volta dalla figura del direttore d'orchestra Yevgeny Svetlanov.
Presentato fuori concorso al Festival Internazionale del Film di Roma l'anno scorso, finalmente Il concerto è pronto a uscire anche nelle sale italiane, dopo il successo riscosso nel resto d'Europa a partire da Novembre.

Caduta e rinascita di un Maëstro

Andreï Filipov (Aleksei Guskov) era un grande direttore d'orchestra al Bolshoï, finché la sua carriera non è stata stroncata in maniera umiliante durante un concerto: il regime di Brezhnev, accusandolo di essere un nemico del popolo, licenzia lui e tutti i componenti di origine ebrea della sua orchestra, che si ritrovano improvvisamente in mezzo ad una strada. Al danno si aggiunge la beffa quando, non trovando altro lavoro, è costretto a fare da inserviente delle pulizie per lo stesso teatro in cui dirigeva i più grandi concerti.
Trent'anni dopo arriva la sua occasione di riscatto: per caso intercetta un fax proveniente dal Théâtre du Châtelet di Parigi, che richiede un concerto dell'orchestra del Bolshoï per riempire un buco di programma. A Filipov viene così in mente una pazza idea: riunire la sua vecchia orchestra e spacciarla per quella effettiva del teatro moscovita, per realizzare, dopo una vita di umiliazioni, il sogno di poter concludere il suo amato Concerto per violino e orchestra di Tchaikovsky.
Un progetto tutt'altro che facile, perché dopo tre decenni i suoi vecchi amici sono solo un gruppo di sbandati: il suo migliore amico Sacha (Dimitry Nazarov) guida un'ambulanza, mentre c'è chi ha un banco al mercato, chi fa il tassista o ha un'impresa di traslochi.
Ma la ferrea determinazione dell'ex Maëstro troveranno un appoggio nella moglie Irina (Anna Kamenkova Pavlova), organizzatrice di finti comizi per il partito, e in Ivan Gavrilov (Valeri Barinov), funzionario all'epoca di Brezhnev e fautore della disfatta di Filipov, ma che ora è deciso a dargli una mano, anch'egli a caccia di un'occasione parigina.
Un'operazione disperata, grazie alla quale verrà alla luce un segreto rimasto sepolto per tre decenni, e che lega Filipov con la rinomata violinista di fama mondiale Anne-Marie Jacquet.

La musica come specchio dell'armonia

Ne Il concerto ritroviamo un impianto da commedia molto simile a quello già visto in Train de vie, dal quale c'è oltretutto un ritorno di alcuni dei temi ricorrenti nelle storie di Mihăileanu, quali l'impostura positiva, la caccia agli ebrei, la rivalutazione della cultura zigana. La differenza sostanziale rispetto ai precedenti lavori del regista rumeno sta nell'equilibrio pressoché perfetto fra i momenti ilari e quelli commoventi.
Mihăileanu, infatti, non ha voluto sacrificare nulla, con l'obiettivo di investire i suoi spettatori di una gamma di emozioni quantomai ampia. Per gran parte del film si ride, e di gusto, grazie a trovate semplici e mai volgari, eppure di sicuro impatto. Trovate che prendono spunto dal quotidiano, dal vissuto e dallo scontro di culture: i “barbari” dell'est invadono la (non poi tanto) raffinata Parigi col loro carico di passione slava, portando con sé gaffe innocenti legate alla linguistica e agli usi e costumi dei popoli in questione.
C'è un grande uso della satira, e si prendono in giro i luoghi comuni su russi, francesi, ebrei e zingari mettendoli in atto: fantastica, ad esempio, l'ironia sul comunismo decadente e utopico, o sui nuovi boss della mafia russa, che dopo aver investito sul calcio mercato vogliono darsi un tono tramite la musica classica, pur non avendone la minima concezione.
Eppure, in più di un'occasione, la risata è amara, e fa riflettere.
Quando invece il film ci mostra il lato umano dei personaggi e i suoi drammi, lo fa senza scendere nel pietismo, ma al contempo regalandoci perle di rara sensibilità, in un crescendo di emozioni che culmina nella rappresentazione finale del concerto.
Qui Mihăileanu si supera, e coadiuvato dal direttore della fotografia Laurent Dailland, dall'esperto al montaggio Ludovich Troch e dal talento musicale di Armand Amar, riesce a filmare una delle migliori rappresentazioni musical-cinematografiche della storia.
La regia difatti, sempre intensa ed attenta ad amalgamare i vari aspetti della vicenda, negli ultimi dieci minuti è come se raggiungesse quell'harmonie suprême che Filipov brama di ritrovare in musica e che Mihăileanu trova tra gli elementi del film, facendo letteralmente amare al pubblico sia la musica che le immagini che scorrono su schermo, e mostrano non solo il concerto ma i vari “finali” della vicenda, con un'intensità emozionale difficile da descrivere a parole.
Altro grande pregio del film sta nel suo cast attoriale: la produzione ha riunito alcune delle più grandi star del cinema russo attuale con alcuni nomi di spicco di quello francese, prima fra tutti la splendida Mèlanie Laurent (molti la ricorderanno in Bastardi senza gloria di Tarantino), le cui emozioni nei panni della giovane violinista di successo dal riservato carattere sono quasi tangibili. Un'interpretazione densa, la sua, così come quella di Alexeï Guskov, notissimo in Russia e che farebbe piacere rivedere in un maggior numero di produzioni internazionali.

Il Concerto La riuscita del film di Mihăileanu, proprio come per il famoso concerto per violino e orchestra di Tchaikovsky, sta tutta nell'equilibrio delle sue parti e nel crescendo delle stesse, in un'armonia difficile da raggiungere, eppure conquistata con apparente semplicità. Una pellicola che coinvolge, diverte, commuove e fa amare la musica, di qualunque tipo, purché vera. Uno dei personaggi, nel corso del film, sostiene che le parole sono spesso ingannevoli, mentre la musica, quella vera, quella che suona dentro a ognuno di noi, è sempre veritiera, portatrice di un messaggio universale. Un messaggio che, aggiungiamo noi, non ha bisogno di traduzioni e doppiaggio. E riportare questa grandezza in emozioni di puro cinema non è cosa da poco, per cui ringraziamo Mihăileanu e il suo Concerto per essersene fatto portatore.

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