Recensione Green Zone

Matt Damon e Paul Greengrass, dopo la saga di Bourne, ci portano nello scenario bellico della Green Zone

Recensione Green Zone
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Domanda n.°3: Chi è stato ad attaccare l'America l'11 settembre? Un poveretto in dialisi che si nasconde in una grotta in Afghanistan, o quei tuoi amiconi dei sauditi?"
Michael Moore, "Ma come hai ridotto questo paese?"

Quella che abbiamo riportato, è una delle sette domande poste da Michael Moore all'allora Presidente degli Stati Uniti d'America, lo Stupid White Man George W. Bush Jr., nel primo capitolo del libro "Ma come hai ridotto questo paese?". Quesiti rimasti senza responso (cosa alla quale noi italiani siamo disgraziatamente ben abituati). Tuttavia , la mancata risposta a questa e agli altri sei interrogativi posti dal documentarista americano, sono alla base dell'invasione occidentale in Iraq costruita sull'affermazione "quell'uomo (Saddam Hussein ndr.) possiede armi di distruzione di massa - le armi più micidiali al mondo - che costituiscono una minaccia diretta per gli Stati Uniti, per il nostro popolo, per i nostri amici e alleati". Che poi tali armi non siano mai state trovate, beh, è un'altra storia. Come suggerisce subdolamente ed ironicamente Moore, questa balla ha permesso a Bush di fare la guerra che lui (e chi insieme a lui) voleva, mentre un altro, Bill Clinton, solo per aver negato di essersi fatto praticare una fellatio e qualche altra pratica sessuale dalla Lewinski è finito per essere incriminato.
Questo lungo cappello introduttivo, serve per illustrarvi il background in cui si muove la nuova pellicola mista d'azione e thrilling che vede riuniti Paul Greengrass, regista di "The Bourne Supremacy" e "The Bourne Ultimatum", e la star indiscussa della saga della spia giramondo Jason Bourne, ovvero Matt Damon. Background che vede coinvolta proprio la Green Zone, la zona verde di ampiezza di circa 10 km quadrati situata nel centro di Baghdad, sede nevralgica della coalizione di autorità provvisoria instaurata dopo l'invasione del paese da parte degli Stati Uniti, dell'Inghilterra e dei loro alleati.
Un regista e un interprete in collaudata sintonia per una storia avvincente e scottante. Gli elementi del successo annunciato c'erano tutti, ma allora perché "Green Zone" è stato sonoramente bocciato dal botteghino statunitense?

Weapons of Mass Destruct

Corre l'anno 2003 e l'occupazione occidentale per riportare la democrazia in Iraq è in pieno svolgimento. Il Primo Maresciallo Luogotenente Roy Miller (Matt Damon) riceve un compito ben preciso dai suoi superiori: al comando della propria squadra d'ispettori deve individuare e trovare nel deserto dell'Iraq i depositi delle armi di distruzioni di massa possedute dalle armate del Rais Saddam Hussein. Mentre esaminano una struttura ormai abbandonata, Miller e i suoi s'imbattono dapprima in un cecchino per poi scoprire che il magazzino segnalato dall'Intelligence era del tutto vuoto. Nessuna traccia di armi od ordigni. Nel briefing successivo alla missione, Miller mette persino in discussione le informazioni fornite dall'Intelligence. Informazioni che appariranno ancora più fuorvianti agli occhi del luogotenente dopo che Martin Brown (Brendan Gleeson), un funzionario della CIA, gli comunica che anche la nuova area che dovrà essere ispezionata dalla sua squadra è del tutto vuota, poiché un team l'ha già scandagliata tempo addietro. E' lo stesso Brown a suggerirgli che qualcuno sta conducendo un'operazione di cover up ordita dall'intelligence in cui potrebbe essere coinvolto il funzionario della sicurezza Clark Poundstone (Greg Kinnear) e il suo misterioso informatore, Magellano. Miller si troverà invischiato in una rete in cui sarà arduo trovare la verità.

Fine dell'idillio?

Per Paul Greengrass Green Zone non è la prima incursione nel cinema che mixa le ragioni del linguaggio cinematografico con quelle dell'impegno politico. L'aveva già fatto con "Sunday Bloody Sunday", film riguardante la "Domenica di Sangue" del 30 gennaio 1972 in cui il 1° Battaglione del Reggimento Paracadutisti dell'Esercito Britannico aprì il fuoco contro una folla di manifestanti per i diritti civili, colpendone 26. 13 persone, quasi tutte giovanissime, rimasero uccise, mentre una quattordicesima vittima morì mesi dopo a causa delle lesioni riportate. Come testimoniato dalla maggior parte dei giornalisti presenti, fra cui l'italiano Fulvio Grimaldi, i dimostranti colpiti erano disarmati e cinque di loro vennero addirittura colpiti alle spalle (grave accadimento che ha avuto ripercussioni anche in ambito musicale, con le canzoni di John Lennon e degli U2 intitolate entrambe "Sunday Bloody Sunday"). Va ricordato poi che Greengrass ha iniziato la sua carriera proprio raccontando conflitti per la ITV, l'Indipendent Television britannica, viaggiano per dieci anni in paesi dilaniati dalla guerra.
Green Zone prende le mosse dal libro "Imperial Life in the Emerald City: Inside Iraq's Green Zone" del giornalista Indiano-americano Rajiv Chandrasekaran, attualmente National Editor presso il The Washington Post, quotidiano dove lavora dal 1994. Il saggio, getta un severo sguardo sulla leadership civile americana riguardante la ricostruzione dell'Iraq post-Saddam che non vuole essere una presa di parte in favore o in sfavore dell'occupazione statunitense, ma, piuttosto, un resoconto sul come sia stato gestito dagli americani il periodo seguente l'invasione.
Puntualizziamo subito una cosa: Green Zone è un action movie con tutti i crismi e, se vogliamo, anche tutti i cliché del caso (li citeremo a tempo debito). Fatta questa debita premessa, bisogna dire che la visione delle vicende raccontate, lascia alquanto spiazzati. L'adrenalinica messa in scena di Greengrass, fatta di riprese "embedded" ricche di camera a mano sempre focalizzate sui character e nel core degli eventi, coinvolge e proietta lo spettatore nello scenario bellico in maniera di certo più efficace del sopravvalutato "The Hurt Locker", più lezioso e ruffiano; la sceneggiatura di Brian Helgeland (L.A. Confidential, Mystic River) non conosce tempi morti, e descrive personaggi magari un po' troppo stereotipati, come il villain governativo di Greg Kineer (Qualcosa è cambiato, Baby Mama) ed il colonnello super-bad di Jason Isaacs (il Lucius Malfoy di Harry Potter), ed altri assai più magnetici, come il comandante di postazione della CIA interpretato da Brendan Gleeson (28 Giorni Dopo, In Bruges). I dubbi di Roy Miller, incaricato di scovare i depositi delle armi di distruzioni di massa situati in Iraq, s'insinuano con prepotenza anche nella testa di uno spettatore dalla memoria corta, troppo abituato a dimenticare fatti accaduti solo una manciata di anni fa. Le obiezioni sollevate verso la gestione dell'Intelligence da parte del personaggio, ben reso da un Matt Damon capace di fugare i timori di un Jason Bourne 2 che potrebbero essere solevati dal trailer, contribuiscono a rendere più labili i confini fra fiction e realtà, perché sono gli stessi posti dall'opinione pubblica per anni: se i responsabili degli attentati dell'11 settembre erano, per la maggior parte, gli "amiconi sauditi" e se tali fantomatiche armi di distruzione di massa non sono mai state trovate, diventa più facile capire perché Green Zone sia stato metabolizzato a fatica dal pubblico americano. Nella saga di Bourne, i servizi segreti non facevano di certo la figura dell'organizzazione di mutuo soccorso, per carità. Ma i tre capitoli tratti dai lavori di Ludlum appassionavano in maniera meno "pericolosa" e più "entertainy" perché narravano la storia di un singolo che aveva subìto più di un'ingiustizia e si metteva su una condivisibile strada costellata dalla sete di vendetta. Green Zone mette in forse un intero sistema per mano di un character che, normalmente, viene percepito come uno dei suoi baluardi e difensori. Il fallimento di un conflitto costruito intorno ad un sostanziale nulla e giustificato da interessi troppo grandi da affrontare con una semplice recensione di un film. E' comunque quasi necessario per Greengrass cedere a certe soluzioni tipiche del thriller d'azione a sfondo politico, su tutte le due sequenze che formano la chiusura del film: si tratta pur sempre di un film con una star dalla fama planetaria come protagonista e dal budget di 100 milioni di dollari (più quelli spesi per il marketing). E, appunto, il merito maggiore di questo film non è certo quello di voler dare una risposta a questi interrogativi destinati a restare senza un responso ufficiale, ma di lasciare una persistente sensazione di stordimento nella testa dello spettatore dovuta non di certo non al fragore del dolby surround....

Green Zone Paul Greengrass, dopo aver affrontato il tema dell'11 settembre in United 93, si trova nuovamente, e da un'altra angolatura, a raccontare una vicenda collegata alla questione della lotta al terrorismo. Il frutto della nuova venture con Matt Damon è un thriller d'azione solido che inchioda alla poltrona per tutti i suoi 105 minuti di durata, grazie ad uno script opera di un esperto della tensione come Brian Helgeland. Nonostante alcune cadute di tono, dovute per lo più alla resa narrativa incondizionata ad alcuni stilemi del genere e alla relativa raffigurazione di certi personaggi, il meschino funzionario di Gerg Kinnear e il Colonnello Briggs di Jason Isaacs, Green Zone tocca la coscienza del pubblico in una maniera molto diretta, toccando una ferità ancora aperta e che da più parti vuole essere dimenticata in fretta. Che sia questa la reale motivazione del flop statunitense della pellicola?

7

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