Recensione Faccio un Salto all'Avana

Brignano e Pannofino tra le bellezze e le bruttezze di Cuba

Recensione Faccio un Salto all'Avana
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"In me, nei produttori, nel cast c'è sempre stata la volontà di evitare accuratamente cliches da cinepanettone (o, meglio, cinecocomero), di perseguire un racconto vero, di non mostrare una serie di gag, correndo il rischio di dover interessare il pubblico, oltre che di intrattenerlo".
Regista insieme a Davide Marengo, nel 2007, del documentario sui Negramaro Dall'altra parte della luna, Dario Baldi parla così del suo primo lungometraggio cinematografico, i cui protagonisti sono due fratelli romani, orfani e dai caratteri opposti: Fedele alias Enrico Brignano, posato, buono e disponibile, e Vittorio, il quale, interpretato da Francesco Pannofino, è sveglio, cinico, prevaricatore e sempre pronto ad approfittarsi degli altri. Tanto da farsi credere morto fino al giorno in cui Fedele, sei anni dopo, scopre che si trova a Cuba, per poi partire nel tentativo di fare leva sulla sua sensibilità al fine di spingerlo a tornare ai suoi doveri paterni; senza immaginare, però, che sulle tracce di Vittorio si siano messe sia la sua ex amante Barbara, con le fattezze di Grazia Schiavo de Il mattino ha l'oro in bocca, che un'investigatrice ingaggiata dal ricco suocero, alla quale concede anima e un apprezzabilissimo corpo la Isabelle Adriani de La prima cosa bella.

VaffanCuba!

E, nei panni della cubana Almadedios detta Alma, complice di Vittorio - conosciuto nel posto come "El Tiburon" - nell'organizzare truffe ai "turisti de chicas", troviamo la colombiana Aurora Cossio vista nel vanziniano La vita è una cosa meravigliosa, volta a completare il comparto di bellezze su cui lo script di Lorenzo De Marinis e Massimiliano Orfei, escludendo i due comici protagonisti, non sembra altro che girare attorno.
D'altra parte, sebbene, come già accennato dal regista, l'intento principale dell'operazione fosse quello di distaccarsi dalle pellicole che costituiscono il filone vacanziero balneare, la primissima impressione che lo spettatore prova è quella di trovarsi dinanzi ad una delle tante commedie trash interpretate a suo tempo dai validi Lino Banfi e Alvaro Vitali.
Commedie trash che, però, trovavano un loro perché (anche se discutibile) sia nelle situazioni volgari che nei nudi femminili delle starlette di turno; elementi che sarebbero stati indispensabili ma che sono entrambi assenti - nonostante le generose forme delle protagoniste - nel debutto di Baldi, il quale sembra voler guardare in maniera evidente al più edulcorato (anche se in pochi lo credono ancora) pubblico televisivo.
Non a caso, nei panni dell'analista di Fedele è proprio l'Antonio Cornacchione del piccolo schermo ad apparire nel corso dei primissimi dei 96 minuti di visione, i quali, però, tra risvolti romantici e Brignano che s'improvvisa cantante latino-melodico, non tardano a manifestare la loro totale non riuscita.
Infatti, tra sceneggiatura che si ostina ad andare avanti senza sfruttare la benché minima idea originale e regia decisamente piatta, si spazia dal luogo comune secondo cui si va a Cuba solo per le donne a battute di una tristezza disarmante, da "Sono il tuo stallone d'Achille" a "Stai molto Alma con me, capito?"; senza contare quella fuori tempo massimo che fa riferimento alla testata che Zidane diede a Materazzi ai Mondiali di calcio del 2006.
E, in mezzo alla noia imperante, non solo i due bravi protagonisti risultano del tutto sprecati, ma non si ride mai e, al di là dei tentativi di ricorrere a spruzzate di poesia spicciola nel raccontare il rapporto tra fratelli, bisogna anche subirsi l'inutilissima sequenza in cui Alma imita la telenovela (sic!).

Faccio un Salto all'Avana Autore insieme a Davide Marengo di Dall’altra parte della luna (2007), documentario riguardante la band musicale dei Negramaro, Dario Baldi esordisce nella regia del lungometraggio cinematografico con quello che, scritto da Lorenzo De Marinis in collaborazione con il Massimiliano Orfei che già curò lo script di Sharm El Sheikh-Un’estate indimenticabile (2010) di Ugo Fabrizio Giordani, si presenta quale prodotto leggero e non volgare indirizzato al pubblico delle famiglie. Però, non si ride mai, ci si annoia parecchio e il look generale ricorda non poco quello delle produzioni televisive, tanto da non risultare difficile affermare che ci troviamo dinanzi ad una delle meno riuscite commedie italiane d’inizio XXI secolo, capace di spingere a rivalutare perfino mediocri operazioni come il citato film di Giordani.

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