Speciale Asian Eye Maggio 2010

Lo sguardo di Movieye sul Cinema orientale - Maggio 2010

Speciale Asian Eye Maggio 2010
INFORMAZIONI FILM
Articolo a cura di

Continua il viaggio di Asian Eye nello sconfinato universo della cinematografia orientale. Questo mese di nuovo tre recensioni di novità e altrettante di classici, in modo che gli appassionati si possano buttare sulle ultime uscite fruibili solo sottotitolate, e i nuovi adepti si appassionino con alcuni film fondamentali del recente, o meno, passato. Pronti per un nuovo viaggio tra le meraviglie d'Oriente?

Murderer

Ci sono film che spiazzano lo spettatore, che dividono nettamente il pubblico nelle schiere di chi li ama o chi li odia. Murderer può tranquillamente appartenere a questa catagoria, avendo però un punto fisso: è un film che difficilmente lascia indifferenti. L'esordio di Roy Chow (aiuto regista di Ang Lee in Lussuria) è una thriller che spesso si avvicina ai confini dell'horror e dello splatter, mantenendo però come pilastro portante un'alone di tragedia che penetra nelle viscere, fino all'inesorabile e doloroso finale. Memore in parte delle atmosfere della trilogia della vendetta di Park Chan-wook, in particolare Old boy, Murderer racconta la storia di Ling (Aaron Kwok), un poliziotto che perde la memoria degli ultimi giorni in seguito a un'aggressione, durante la quale un suo collega è finito in coma per le numerose ferite riportate. Proprio la modalità con cui l'uomo è stato torturato, dissanguato quasi fino alla morte, è la stessa di altri omicidi avvenuti negli ultimi tempi nelle vicinanze della casa di Ling. Il poliziotto, sposato e con un bambino adottato (in seguito alla morte del figlio naturale, avvenuta per una sua negligenza durante un inseguimento a un criminale) comincia a indagare, ma ben presto scopre che gli indizi portano a pensare che sia proprio egli stesso il colpevole. Inoltre i referti medici dicono che nel suo cervello sono state trovate tracce di droga, che potrebbero aver causato la momentanea amnesia. Qualcuno vuole incastrare Ling, o forse è proprio lui il colpevole degli assassinii? Murderer è una pellicola tesa, incalzante, attenta a raccontare senza sconti la discesa nella follia di un agente, incapace di ricordare e attanagliato dal dubbio. Ricolmo di una violenza brutale, sia fisica che psicologica, la storia raggiunge il suo apice con un colpo di scena devastante, che ribalta tutte le carte in gioco, e che ha l'unico demerito di risultare fin troppo improbabile (ma quasi uguale a quello di una recente produzione d'Oltreoceano), e se da alcuni sarà apprezzato, in altri potrebbe provocare involontarie risate. Il finale è al cardiopalma, e si regge sulla bravura di un sublime Aaron Kwok che per girare alcune scene non ha dormito per diversi giorni, così da risultare "pazzo" al punto giusto. Due ore in cui ci si appassiona, ed entrando in perfetta empatia col protagonista si provano emozioni di rabbia e impotenza. Se intrapreso nel modo giusto, Murderer è un film che vale assolutamente la visione.

Little big soldier

L'aria di casa sembra aver fatto bene a Jackie Chan, che dopo il buon successo di Shinjuku Incident, torna con un'altra produzione orientale a sollazzare i suoi fans. Il funambolico attore, ormai superati i cinquant'anni, ha anche partecipato alla sceneggiatura di questo Little big soldier, tratto da un famoso racconto storico della cultura cinese. Abbandonato il ruolo del generale al centro della vicenda, per ovvi motivi di età, Jackie si è ritagliato il ruolo di co-protagonista, in questa commedia in costume non priva di momenti drammatici. Chan è Grande Soldato, un simpatico codardo che milita nelle fila dell'esercito di Liang, e che durante le battaglie si finge morto per evitare il combattimento. Alla fine di uno scontro, raccatta letteralmente il generale Wei dell'esercito rivale di Qin (Lee-Hom Wang), ferito ad una gamba, per garantirsi una copiosa ricompensa. Sulle tracce di Wei però vi è un intero squadrone del suo esercito, che lo ha tradito durante la battaglia, guidato dal principe di Qin. Grande Soldato e Wei sono così costretti alla fuga, e durante il loro viaggio nasce tra i due un rapporto di rispetto, per quanto molte differenze li rendano assai diversi. Grande Soldato infatti aborra ogni tipo di guerra, e vorrebbe soltanto vivere in pace, mentre Wei è pronto alla morte, purchè con dignità. Tra mille peripezie e funamboliche avventure, capiranno entrambi qualcosa dell'altro, fino a farsi una promessa che potrebbe segnare per sempre il destino dell'intera nazione. Tanto divertimento ma anche un pizzico di tristezza per questa sobria action comedy, giocata soprattutto sulle incredibili doti di Jackie Chan, anche se l'azione è limitata rispetto alle sue solite produzioni. Grande Soldato è caratterizzato alla perfezione, un personaggio che sembra pensare solo a se stesso salvo poi dimostrarsi uomo di parole e di coraggio, come dimostra l'eroico e toccante finale. Interessante osservare il rapporto tra i due amici-nemici, su cui si basa l'intera storia, e che cresce constantemente, impreziosito dalle due ottime performance dello stesso Chan e di un ottimo Wang. La fotografia tende a colori cupi, quasi a sottolineare la velata disillusione di un mondo dominato dalla guerra e dalla morte, dove sono sempre gli innocenti a farne le spese. Little big soldier è una pellicola che sembra quasi nascondersi, e che sotto un'apparente velo di leggerezza nasconde tante tematiche profonde, su tutte un forte monito contro ogni conflitto. Ideale per una serata di divertimento non priva di riflessione.

City of life and death

Il massacro di Nanchino è una delle pagine più dolenti della seconda guerra sino-giapponese. La allora capitale della Cina cadde nelle mani dell'esercito nipponico il 13 dicembre 1937, e vi rimase fino al febbraio dell'anno successivo. La tragedia è conosciuta anche come lo stupro di Nanchino, visto che oltre al considerevole numero di morti (le cifre oscillano tra i duecento e i trecento mila), ben ventimila donna furono stuprate, dalle bambine fino alle anziane. Una barbaria che il regista cinese Chan Luan ha deciso nel 2009 (dopo tre anni di lavoro sul film) di portare sul grande schermo con City of life and death (Nanjing nanjing). Girata in un affascinante bianco e nero, la pellicola ha vinto il premio per la miglior regia agli ultimi Asian film awards, nonchè quello per il miglior attore andato a Nicholas Tse. I primi venti minuti tendono ad uno sobrio ed efficace spettacolo, col finire dell'assedio nipponico alla città, con sequenze belliche di buona fattura. Ma l'anima pulsante risiede nel day-after, dopo che i soldati dell'Impero del sole si sono stabiliti definitivamente in città, prendendone il comando. Da qui iniziano le atrocità più mostruose, da esecuzioni sommarie che non distinguevano tra combattenti e civili, fino alla toccante pagina degli stupri, narrata senza edulcorazioni di sorta e mostrata in tutta la sua brutalità, fisica ma soprattutto psicologica. Uno strazio che pare infinito, che accompagna le esistenze dei sopravvissuti (ma ancora per quanto, con l'incognita di una possibile morte imminente) e così facendo lo spettatore, per cui sarà facile appassionarsi e soffrire con i destini dei protagonisti. Alcune sequenze mozzano il fiato e lasciano un groppo in gola difficilmente digeribile, rendendo questa pagina di Cinema memorabile e dolorosa, e fanno si che rimanga impressa a lungo nella memoria. Chan Luan decide però di mostrare anche il volto umano dei nemici, impersonato dal sergente Kadokawa (Hideo Nakaizumi), tra i pochi che sembrano provare rimorso e pietà per i sopravvissuti. Nonostante il tema e l'azione limitata dopo il roboante inizio, City of life and death non scade mai nella noia e nella retorica, ma trasmette sentimenti e sensazioni che solo il Cinema di prima grandezza è in grado di fare. Troppo facile concludere con un "per non dimenticare", ma questa volta oltre alla lodevole "operazione memoria" vi è anche un film che merita di essere ricordato.

Battle Royale

Nel 2000 il mondo del cinema fu irrimediabilmente scosso dall'uscita di un prodotto duro ed estremo, che fece parlare di se per la violenza della storia, e che i media si affrettarono a condannare per la sua apparenza, senza indagare nella sostanza. Ma in una società consumata dal perbenismo, era inevitabile che toccasse un tale destino a Battle Royale, pellicola culto diretta dall'allora settantenne Kinji Fukasaku (morto tre anni dopo), regista dalla lunga e fortunata carriera. La pellicola ha vissuto per anni una sorta di censura sul mercato italiano, forse spaventato dalle reazioni che avrebbe potuta avere una sua uscita sulla spesso ipocrita opinione pubblica. Per fortuna questa gravissima mancanza è stata recuperata negli ultimi anni da Exa Cinema, che ha portato nel Belpaese una delle pagine più controverse ed ispirate della recente storia cinematografica nipponica. Fukasaku ci offre un diabolico sguardo su un futuro prossimo, in cui i giovani studenti del Giappone sono troppo indisciplinati, e non hanno alcun rispetto verso gli insegnanti. Viene così istituito il Battle Royale Act, una sorta di torneo annuale nel quale viene selezionata un'intera classe, e il cui scopo è soltanto uno: sopravvivere. I giovani, ignari dell'accaduto, si risvegliano su un'isola e incontrano un loro vecchio professore, che li mette al corrente della loro situazione. Ogni ragazzo sarà rifornito di un'arma, scelta a caso da un variopinto rooster, e verrà spedito nella lussureggiante foresta dell'isola. Le regole del folle gioco sono chiare, dovranno cercare di sopravvivere e al contempo uccidere tutti gli altri nel tempo limite di tre giorni. Il tentativo di fuga è scongiurato da un braccialetto meccanico che sonda tutti i movimenti dei partecipanti, e che se scollegato è pronto ad esplodere, causando la morte del proprietario. La battaglia regale ha inizio, e non ci si può fidare di nessuno, nemmeno degli amici più cari. E' proprio su questo che si sofferma il senso più profondo di quest'Opera, che elogia la Poesia della violenza, ma soprattutto la reale essenza dei rapporti. Facile etichettare stupidamente il tutto come una furba trovata da scandalo, ma soffermandosi a una visione attenta e costruttiva emergono tutti i meriti di un film degno di essere ricordato. La violenza è necessaria, è il volto più cupo dell'animo degli uomini, pur di salvare la propria vita valori come l'amicizia e la fiducia sono sosituiti dalla crudeltà e l'inganno, in una realtà estrema che non tutti riescono ad accettare, e scelgono di evitare di assumere a carnefici compiendo la scelta più dolorosa. Osservare ragazzini imbranati, sapienti secchioni, timide studentesse, ingegnarsi per trovare una via di scampo o diventare spietati assassini è capace di provocare una forte empatia con lo spettatore, che si chiederà più volte quale sarebbero le sue scelte se si trovasse in una tale situazione. Il sangue scorre copioso, cosi come decessi truculenti memori dello splatter di qualità, qui elevato a parabola delle emozioni umane. E il crudelissimo preside ha l'inquietante ghigno di uno strepitoso Takeshi Kitano, da sempre a suo agio in personaggi sopra le righe. Battle Royale è uno stupendio esempio sul come rendere una storia apparentemente veicolata su lidi spinti un'interessante analisi del carattere umano.

Lanterne rosse

Era il 1991 quando Zhang Yimou diresse Lanterne rosse , uno dei suoi capolavori, acclamato da critica e pubblico e che vinse il Leone d'Argento a Venezia. Un film importante nella storia del cinema cinese, naturalmente osteggiato e censurato in patria vista il modo in cui narra della condizione della donna nella storia (relativamente) recente del Paese. Protagonista è la Musa (e in quegli anni anche amante, nonostante Yimou fosse già sposato) del regista, la divina Gong Li, attrice simbolo della cinematografia cinese e consacrata in seguito in tutto il mondo. Interpreta la giovane Songlian, che negli anni '20 decide di sposare il maturo Chen Zuoqin, discendente di una nobile dinastia, diventando a tutti gli effetti la sua quarta concubina. Ovviamente questo provoca reazioni di gelosia o ostracismo da parte delle altre tre consorti, visto che anche per colpa dell'età più avanzata non possono competere con la fresca bellezza della nuova arrivata. Ogni sera l'uomo deve decidere con chi delle quattro trascorrere la notte, e la scelta sarà determinata dall'affisso di lanterne rosse alle porte del loro alloggio (cui ognuna aveva diritto). L'odio delle vecchie mogli verso Songlian diventa sempre più profondo, e con subdoli trucchi riescono a farle perdere la preferenza di Chen. Allora la ragazza, non scoraggiata, decide di fingersi incinta per attirare di nuovo la attenzione su di se, riuscendoci. Ma non è facile mantenere l'inganno, e le conseguenze saranno tragiche quando Songlian scaglierà la sua rabbia sulla sua cameriera, rea di aver contribuito a farla scoprire. Un'impostazione astratta di un modo di vivere arcaico ma ancora molto diffuso in diverse culture al giorno d'oggi. Yimou dipinge un'Opera sontuosa e potente, magnifica nelle scenografie e nei costumi, che vanno a ricreare un tempo non così lontano in maniera pressochè perfetta, mostrando il colorato sfarzo delle famiglie nobiliari del tempo. E' proprio il contrasto tra la bellezza dell'ambiente e della dimora a cozzare inesorabilmente con la tristezza della condizione sociale della donna, qui equiparata quasi ad un oggetto, in un periodo dove spesso non vi erano molte alternative per sopravvivere se non quella di vendere il proprio corpo, e come in questi casi, la propria intera esistenza. Un ancoraggio esasperato alla tradizione, che appassiona in circa due ore di grande cinema, con la grazia di Gong Li che emerge splendente da ogni inquadratura, merito di una fotografia eccellente, soprattutto nella resa cromatica. Un racconto tragico (ispirato al romanzo Mogli e concubine di Su Tong) che è entrato di diritto nella storia della Settima Arte.

Kamikaze girls

Tetsuya Nakashima è un nome ormai ben noto agli amanti del cinema asiatico, avendo diretto nel 2004 un vero e proprio cult come Kamikaze girls, edito anche in Italia in dvd. In seguito ha continuato la sua ricerca dell'estetica, qui espressa completamente, anche nei successivi Memories of Matsuko e Paco and the magical book, confermandosi come uno dei registi più tendenti a una visionarietà pop, ma senza tralasciare mai i rapporti umani. E' anche questo il caso di questo film, colorato e divertente, che farà la gioia di tutti gli amanti della cultura e della moda nipponica, qui rappresentate maestosamente nei loro eccessi e nelle loro manie. Osserviamo la nascita di un'improbabile amicizia tra due ragazze assai diverse, la apparentemente tenera Mokoko (Kyoko Fukada), ossessionata dai vestiti Sweet Lolita (per cui spende tutti i soldi, e che sogna un giorno di poter progettare) e dallo stile rococò, e la biker Ichiko (Anna Tsuchiya, cantante e attrice, vero e proprio idolo in patria), grezza e sboccata, facente parte di una gang femminile. Tra due caratteri diametralmente opposti si instaurerà ben presto un rapporto sincero che cambierà inesorabilmente entrambe. Follia al servizio del divertimento. E' questo l'intento (riuscito) di Nakashima, che porta sullo schermo una sorta di variopinto fumetto, che più volte prende a piene mani dal mondo dell'animazione e dei manga giapponesi. Vortici cromatici, situazioni al limiti del paradosso, caratteri volutamente estremizzati da essere macchiettistici, per una serata all'insegna del relax, non privo però di risvolti emotivi, dato che è facile affezionarsi alle due brave, e belle, protagoniste. Nonostante questo "dipinto" possa sembrare agli occhi dei più sin troppo esagerato, non è difficile trovare in Giappone figure simili alle protagoniste, che tendono a mostrarsi e a stupire all'eccesso pur di non essere catalogate. Kamikaze girls è una pellicola assolutamente irresistibile, che sarà amatissima da chiunque ami anche soltanto un pò usi e costumi del Sol Levante ma che, per via della sua leggiadra e fresca simpatia può aprire gli occhi su un mondo assai lontano per chi ne è ignaro. Una frizzante ricerca dell'estetica non fine a se stessa al servizio della storia di un'amicizia virile tutta al femminile che cattura con la sua magnetica e stramba magia.

Asian Eye Gli amanti del thriller questo mese non rimarranno certo delusi: un'interessante novità come Murderer e l'inquietante cult, con sapore di horror e dramma psicologico, Battle Royale. Lo stesso si può dire per gli appassionati del cinema in costume, con il classico Lanterne rosse e il nuovissimo film di Jackie Chan, Little big soldier. Infine uno sguardo drammatico su una della pagine più cupe della storia cinese del secolo scorso, con l'Opera bellica City of life and death. Ma non temete, le lacrime saranno ben presto asciugate dal divertimento colorato di Kamikaze girls. E anche per questo mese è tutto, ci si risente a giugno. Sayoonala!