Da Zombi a Mad Max: i 10 migliori b-movies di sempre

Tra horror e sci-fi, noir e action, un viaggio nei 10 b-movies che hanno fatto la storia della settima arte. Forse senza nemmeno farlo apposta.

Da Zombi a Mad Max: i 10 migliori b-movies di sempre
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Il concetto di b-movie è cambiato moltissimo nel corso degli anni. Da definizione con cui si indicava un lungometraggio realizzato con pochi mezzi e ancor meno mestiere, un'opera dilettantistica quasi sempre destinata a lasciare scarsa memoria di sé, col tempo è diventato sinonimo di fantasia, sperimentazione e libertà. Molto spesso, i b-movies hanno ricoperto un ruolo di prima grandezza nella storia del cinema; hanno rivelato talenti, aperto nuove strade, spezzato la monotonia della grandi case di produzione, più preoccupate del profitto che della qualità. Per omaggiare questo mondo vario, inesauribile, sempre a metà tra parodia involontaria e genio, ecco a voi i 10 migliori b-movies di sempre, per riabbracciare vecchi amici e scoprire piccole gemme diventate opere di culto.

Plane 9 From Outer Space

Impossibile cominciare senza citare immediatamente uno degli scult per eccellenza, un monumento all'arte dell'arrangiarsi nel cinema: Plan 9 from Outer Space.

Il creatore era il leggendario Ed Wood, forse il peggiore regista di sempre, o almeno così è passato alla storia nel corso dei decenni, prima di essere rivalutato non tanto per i suoi risultati, ma per la volontà, l'immaginazione e la capacità di adattarsi a condizioni di lavoro assolutamente proibitive. Non è un caso che il grande Tim Burton lo abbia omaggiato con un biopic leggendario (gustatevi il nostro speciale sulla poetica di Tim Burton). Plane 9 From Outer Space è uno sci-fi horror a base di UFO, zombi redivivi e una guerra spaziale, con effetti speciali già all'epoca considerati a dir poco ridicoli ed un cast costretto a cimentarsi in dialoghi semplicemente assurdi. Eppure, proprio l'idea alla base di questo titolo, avrebbe fatto scuola, così come il suo regista, che possiamo ancora oggi considerare il "Re deli scult", di quei film così brutti eppure originali, da essere in un certo qual modo belli.

A tanti anni di distanza Plan 9 from Outer Space rimane un simbolo a dir poco perfetto di quanto il cinema sia un patrimonio universale, qualcosa in cui tutti possono cimentarsi, a patto di avere volontà e di non curarsi della critica. Perché in fondo l'opera realizzata è già di per sé una ricompensa.

Tremors

Dai gloriosi anni '50 arriviamo al 1990, all'anno in cui uscì uno dei più bei b-movies horror di tutti i tempi: Tremors di Ron Underwood. Il film è uno dei cult più genuini e fantasiosi di quel decennio, (qui trovate altri 10 cult degli anni 90 da riscoprire) in fin dei conti una rielaborazione degli shark movies, così come un omaggio ai tanti titoli sui mostri che imperavano negli anni '50 e '60 nelle sale cinematografiche americane, con protagonisti insetti giganteschi o improbabili creature preistoriche.

Tremors si collegò ad entrambi questi universi, creò un perfetto mix di spavento, dark humor, horror e buddy movie, con protagonisti due sgangherati moderni cowboy morti di fame, a bordo di un furgone calcinato e pieno di ruggine: Val (Kevin Bacon) ed Earl (Earl Bassett). Underwood in realtà recuperò anche le atmosfere dei western che avevano fatto grande John Ford, con la piccola cittadina assediata dagli alieni, da creature sanguinarie e sadiche. Lo erano stati i pellerossa, lo furono i giganteschi vermoni sotterranei, creati dalla Amalgamated Dynamics. Pochissimi film possono rivaleggiare con la fama e l'adorazione che il pubblico negli anni ha riservato a quest'opera (e lo potete ben comprendere dalla nostra recensione di Tremors), con alcune battute diventate leggendarie, così come diversi dei personaggi, che oltre ad essere simpaticissimi, erano anche la rielaborazione, nonché decostruzione delle varie maschere cinematografiche della Hollywood di quegli anni. Tremors ha dato alla luce una trascurabile saga e una serie TV ma rimane senza ombra di dubbio il migliore del suo universo narrativo, con alcune sequenze semplicemente geniali ed un finale che è leggenda tra i millennials.

The Blair Witch Project

Ancora oggi questo film divide la critica (scoprite cosa ne pensiamo noi nell'EveryCult dedicato a The Blair Witch Project), tra chi vede uno dei titoli a basso budget più geniali e rivoluzionari di sempre, una vera e propria gemma capace di anticipare lo storytelling del XXI secolo, e chi invece una sopravvaluta seppur astuta meteora, che non ha lasciato traccia.

Comunque la si pensi, non si può negare che The Blair Witch Project di Daniel Myrick ed Eduardo Sánchez, sia una delle dimostrazioni più lampanti di quanto avere delle buone idee, valga spesso molto di più di tanti milioni da spendere in effetti e set mirabolanti. Costato appena 60mila dollari, capace di incassarne ben 248 milioni, questo mockumentary su un trio di ragazzi scomparsi nei boschi del Maryland, lasciò letteralmente terrorizzato il pubblico mondiale, grazie al recupero del concetto di ignoto e ad una dimensione sonora preponderante, capace letteralmente di travolgere i sensi e le emozioni.

La stessa idea di rifiutare un iter diegetico e una struttura estetica canonica, si rivelò la carta vincente, grazie alle quale fu possibile creare una fortissima empatia verso i tre personaggi principali, assediati da una malvagia entità maligna che li porterà alla morte. Il concetto di ripresa amatoriale, sarebbe poi diventato un vero e proprio patrimonio artistico, sviluppato da molti altri registi sia nel campo dell'horror che dello sci-fi. Anche per questo, è fuor di dubbio che The Blair Witch Project rimanga uno dei b-movies più iconici ed influenti della storia cinematografica.

Shaft

Senza ombra di dubbio, la blaxploitation non avrebbe mai potuto essere tale senza questo film, che non solo lanciò la stella del Richard Roundtree, ma creò anche la base per uno sviluppo dell'industria cinematografica completamente diverso. John Shaft, sarebbe diventato un grande protagonista degli anni '70, un modello a cui ogni ragazzo di colore (e non solo) avrebbe voluto aspirare, con il suo fare ad un tempo virile ma mai arrogante, il suo stile sensuale ed autoironico.

Basato sul romanzo di Ernest Tidyman, Shaft mostrò al pubblico generalista una comunità afroamericana diversa da quella fatta di papponi, criminali o jazzisti drogati. Rivoluzionari, mafiosi, poliziotti torbidi, donne belle e pericolose, ed in mezzo lui, Shaft, detective tutto di un pezzo, elegante e sicuro di sé, più che un duro dal cuore d'oro, un gatto urbano astuto e cool. Costato 500mila dollari, superò ogni rosea previsione, guadagnando 12 milioni e portandosi a casa un Oscar per la Miglior Canzone, definendo in modo assoluto un'era cinematografica, che avrebbe visto le minoranze prendersi una meritatissima rivincita. In questo titolo, il segugio di New York era chiamato a fare luce su un misterioso rapimento ai danni di una figlia dei boss del ghetto, che avrebbe risolto grazie all'aiuto delle Pantere Nere, in barba ai pregiudizi che anche i suoi amici poliziotti nutrivano.

Quando la fantasia e la controcultura si incrociano, del resto, si assiste quasi sempre a creazioni meritevoli di attenzione. Questa lo fu e lo è ancora oggi, tanto da essere scelto per la conservazione dal Congresso degli Stati Uniti. Peccato per i fiacchi remake con Samuel L. Jackson che potete recuperare nella nostra recensione di Shaft).

Mad Max

Da certi punti di vista, forse il B movie più riuscito di sempre, se non altro quello che ha avuto un impatto culturale più potente e significativo. Il grande George Miller in quel 1979, oltre a lanciare la carriera del grande Mel Gibson, creò uno degli sci-fi distopici più creativi, divertenti e profetici di sempre, ci guidò in un mondo dominato dalla povertà, dalla desertificazione, dalla violenza, dalla crisi energetica che faceva ritornare l'uomo una minaccia per i suoi simili.

Max Rockatansky, con il suo cammino di vendetta che lo allontanava dagli ideali che lo avevano fatto entrare nella polizia federale, diventa la declinazione post-futuristica dello "Straniero Senza Nome", che dalla Monument Valley di John Ford e dal suo destriero ora è nel Queensland, a bordo di quella V8 nera che lo fa diventare Angelo Vendicatore, portatore di morte. Il futuro non è più dominato dalla fredda e robotica logica, ma dalla primordiale visceralità, dall'istinto, dalle tribù che vivono nel passato, dal sangue e dalla disperazione. L'influenza che ha avuto Mad Max difficilmente può essere calcolata, basti pensare a quanto gli deve un manga di culto come quello di Ken Shiro, così come un altro cult storico quale 1997: Fuga da New York, un capolavoro come Terminator, per non parlare del mondo videoludico.

Il magnifico remake del 2015 (avvicinate il vostro arrivo nel Valhalla con la nostra recensione di Mad Max Fury Road), sempre di Miller, ha confermato quanto quel lungometraggio, ciò che ci comunica sulla società e sull'uomo, la sua potenza semantica, siano ad oggi intatti, in virtù di un mix perfetto tra western, sci-fi, film medioevale e action nel senso più puro del termine.

Cannibal Holocaust

Parlare di Cannibal Holocaust, significa parlare di uno dei film più controversi di tutti i tempi, un'opera a dir poco anarchica, capace di rompere le regole, infrangere tabù, di colpire la sensibilità dello spettatore senza mezzi termini. Ruggero Deodato creò un falso documentario semplicemente geniale (qui la nostra intervista a Deodato), per quanto visivamente eccessivo e opprimente, capace di fustigare la società consumistica e crudele dell'Occidente, ben più selvaggia e violenta di quelle cannibali nel Rio delle Amazzoni.

Il recupero di una pellicola girata da alcuni giornalisti scomparsi in quell'inferno verde, diventa un'occasione per creare una sorta di metafora del colonialismo, dei massacri perpetrati dall'uomo bianco verso le popolazioni indigene.
Tra squartamenti, impalamenti, vivisezioni e decapitazioni, Cannibal Holocaust, ad oggi considerato se non il migliore, il più iconico cannibal movie di tutti i tempi (come vi spieghiamo nella nostra recensione di Cannibal Holocaust), fu accolto malissimo in quel 1980, ma col tempo ha conquistato la sue dimensione di cult.

Tuttora imperano leggende e misteri inerenti la sua realizzazione, dalle quali deriva la fama di film maledetto. Quello di Deodato, ad ogni modo, rimane uno dei titoli più importanti sul concetto di rappresentazione e spettacolarizzazione della violenza, sulla mancanza di empatia che domina i media. Qualcosa che poi sarebbe stato recuperato da registi del calibro di Oliver Stone nel suo Natural Born Killers (qui la nostra recensione di Assassini Nati) e di Quentin Tarantino.

Non Aprite Quella Porta

Tobe Hooper nel 1974 creò uno dei film più rivoluzionari e iconici del genere horror e fece di Leatherface uno dei villain più famosi e significativi che il cinema ricordi, reso ancora più inquietante dal tono realistico ed allucinato dell'iter diegetico, un vero e proprio capolavoro di scrittura e messinscena.

L'orrenda odissea e agonia di quattro ragazzi nel Texas, diventa la metafora attraverso cui Hooper distrugge i pilastri della società e della narrativa americane, su tutte la famiglia, qui declinata nella sua accezione più mostruosa, malsana ed empia. Sferzante critica e condanna verso l'America profonda, quella dei redneck e del Sud innamorato della violenza, della sua chiusura e razzismo, Non Aprite Quella Porta faceva riferimento alle gesta efferate di due serial killers come Ed Gein e l'altrettanto tristemente famoso Elmer Henley. Tuttavia, quella folle corsa della motosega mossa dalla follia più sanguinaria mai vista fino ad allora sul grande schermo (che produsse una censura diffusa in molti paesi), diventò anche il simbolo di un paese che aveva perso ogni moralità, la metafora di una generazione maciullata dalla Guerra nel Vietnam, tradita proprio dal focolare domestico, dai media truffaldini, dagli ideali con cui era stata cresciuta.

La sua influenza è mastodontica, basti pensare che oltre a rendere per esempio la motosega una sorta di Excalibur del cinema moderno, al proliferare di prequel, remake, sequel e quant'altro (qui la nostra top 3 della saga di Non Aprite Quella Porta), Hooper ha fatto riemergere la paura atavica legata all'umanità persa in una natura crudele e demonizzante. Il cinema slasher è nato forse veramente in quel 1974 e Non Aprite Quella Porta resterà per sempre un punto di riferimento inossidabile, una delle pellicole che non si può non conoscere se si ama il cinema.

Agguato alle Hawaii

Non vi è classifica sui b-movies che non veda questo action costantemente nelle posizioni di punta. Lo è forse per il ritmo sgangherato, malfatto, involontariamente comico eppure divertente, da diventare semplicemente una leggenda, un cult esemplificativo di un decennio, di un'era culturale americana.

Ronn Moss, il futuro Ridge di Beautiful, qui interpreta l'eccentrico agente dell'Interpol Rowdy Abilene, chiamato a collaborare con due super-sexy agenti dell'FBI per sventare i loschi traffici di diamanti e droga nell'atollo più famoso del mondo. Diretto dal tuttofare Andy Sidaris, Agguato alle Hawaii è un concentrato grottesco, eppure eloquente, del meglio del peggio dell'era Reagan declinata sul grande schermo, con una violenza a dir poco esagerata, pin-up toste in abiti succinti, armi gigantesche, pezzi rock onnipresenti, occhiali Ray-Ban, abiti Versace e camicie multicolori su pantaloni a vita alta. Condite il tutto con effetti speciali di serie z, arti marziali improvvisate e corpi lucidi, cucinate con una sceneggiatura tra le più sconclusionate, involontariamente comiche e senza senso di sempre, ed otterrete per l'appunto questo film, il cui iter produttivo sul set, fu così assurdo da aver dato adito a leggende.

Eppure, come per altri titoli di questa lista, anche Agguato alle Hawaii vive di una sua particolare ed unica bellezza, di un'esagerazione che viene elevata dal ritmo, dalla fantasia irrefrenabile e dalla capacità di divertire, che compensano tutte le sue carenze o se non altro le rendono sopportabili.

Troll Hunter

Finalmente negli anni 2000, finalmente una dimostrazione che anche nel XXI secolo ci sono b-movie che meritano la nostra considerazione. Troll Hunter, diretto dal talentuoso regista norvegese André Øvredal (vi rimandiamo alla nostra recensione di Troll Hunter), è un mockumentary semplicemente fantastico, incentrato su tre studenti di giornalismo, ritrovatisi alle prese con un bracconiere e la sua crociata personale nientemeno che contro i mostruosi Troll.

I giganteschi e sanguinari esseri, diventano il centro di un iter narrativo complottista, dominato in modo perfetto dalla tensione e dalla sensazione di impotenza dell'uomo verso queste mostruose creature, ricreate con effetti speciali dosati con grande intelligenza. Connesso ad alcune delle leggende più iconiche delle saghe norrene, per quello che riguarda i Troll e la loro reale natura, Troll Hunter è un b-movie di enorme qualità, un viaggio dentro il concetto di mostro e di ignoto, di una natura ostile, selvaggia e misteriosa.

Allo stesso tempo, Øvredal come anche nel suo robusto Mortal, crea una interessante critica alla società norvegese, descritta come fredda, ottusa, aggrappata ad una burocrazia asfissiante, del tutto distante da concetti come empatia, verità o giustizia. Il tutto senza però mai rinunciare al dark humor, alla volontà di divertire e spaventare, così come di creare un universo narrativo che recupera il meglio dei monster movies anni '50, declinandoli però in un modo fresco e moderno. Peccato che non sia nata una saga da questo film, ma per fortuna ci siamo evitati il remake in salsa statunitense, che come molte altre volte non avrebbe fatto altro che deturpare la bellezza dell'originale.

Zombi

Nel 1978, dieci anni dopo il suo bellissimo La Notte dei Morti Viventi, George Romero tornò sul luogo del misfatto, diresse un horror che se possibile superò per fantasia e creatività il primo episodio della saga, anche grazie al contributo dato in fase di scrittura dal nostro Dario Argento.

Ambientato in un'America distrutta dai non-morti, diventata una sorta di far west post-apocalittico, Zombi si concentrava su un gruppo di sopravvissuti, costretti a trovare rifugio delle orde fameliche in un centro commerciale, dove a poco a poco dovevano fare i conti con paura, isolamento e orde di desperados motociclisti. Non vi è un solo, singolo difetto in questo lungometraggio disperato, violentissimo, in cui Romero fu assurdamente tacciato di razzismo (qui spieghiamo quanto Hollywood fu spietata con Romero), quando invece, fin dalla prima sequenza, ci parlava di un'America in cui le minoranze erano le prime ad essere abbandonate a se stesse. Strutturato come una sorta di siege movie, con chiari riferimenti al western di John Ford così come al mitico Distretto 13 di Carpenter, Zombi è ancora oggi indicato da molti come il miglior film di Romero, quello più disturbante, coraggioso ma anche con la più significativa presenza di tematiche sociali e politiche. Punto di riferimento titanico per il genere zombie-movie, ha avuto un incredibile numero di epigoni, eredi e un remake curato da Zack Snyder, ma rimane ineguagliato nella sua capacità di parlarci della violenza nella società americana.

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