Speciale Un'ottima annata!

I migliori film della stagione 07/08 consigliati dalla redazione.

Speciale Un'ottima annata!
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Juno e Sweeney Todd.



JUNO

Quest’anno l’Academy ha giustamente premiato i fratelli Coen e il loro No Country for Old Men, un lavoro che rasenta la perfezione cinematografica assoluta. Ma le nostre brevi considerazioni di fine stagione, non saranno dirette verso il pluripremiato adattamento del libro di Cormac McCarthy. Andranno invece nella direzione di un piccolo grande film che ha saputo trattare un tema spinoso e spigoloso come la gravidanza di una adolescente, in maniera soave, ma non superficiale, spiritosa, ma non irrispettosa. Juno, di Jason Reitman (già caustico regista del cinico Thank you for Smoking), è un tipico esempio di cinema che riesce ad essere maturo ed intelligente senza indulgere in scene cariche di drammatici, quanto artefatti e poco credibili, schiamazzi in cui dei genitori si accaniscono verso una ragazza che ha commesso una leggerezza di certo di non poco conto. Quando la giovane che da il nome al film rivela ai suoi di aspettare un bambino, suo padre e la sua matrigna capiscono che la frittata ormai è fatta e piangere sul latte versato è inutile. Sbraitare e strapparsi i capelli sarebbe controproducente e l’unica cosa che riescono a fare lì per lì e stupirsi del fatto che il possessore dei “fatali lombi” sia quel Paulie Blekeer, tanto carino e timido, ma davvero poco credibile nei panni dello stallone da monta.
Ellen Page, attrice ventunenne acerba nel suo fisico adolescenziale, ma incredibilmente matura dal punto di vista artistico, ci consegna un’interpretazione semplicemente da “due pollici in su”, tratteggiando una Juno davvero credibile nella sua fragilità adolescenziale, supportata, inoltre, da un cast d’attori davvero in stato di grazie.
Forse, l’Oscar per la miglior sceneggiatura originale ricevuto da Diablo Cody, ha un po’ il sapore del contentino, di un’onorificenza dovuta e ricevuta perché sarebbe davvero stato immeritevole rispedire a casa Juno senza alcun premio. Spielberg però, che aveva avuto modo di amare la storia di Juno ancor prima che le riprese del film iniziassero, ha già “assunto” la giovane sceneggiatrice per lavorare ad un serial tv su una mamma dalla personalità multipla, The United States of Tara. Il cinema americano ha ancora dei giovani talenti da regalare. E Juno è un perfetto rappresentante di ciò.

SWEENEY TODD

C’era una volta un musical che raccontava la storia di un barbiere al quale avevano tolto tutto....la libertà, la famiglia, la sua stessa essenza di essere umano. Questa opera musicale nata la bellezza di 29 anni fa, ancora oggi viva e vegeta sugli palcosceni dei più prestigiosi teatri del mondo, ha accumulato premi su premi, grazie alla forza della sua messa in scena fortemente allegorica e critica nei confronti della predatoria e iniqua Londra Vittoriana.
Strano che una vicenda dai toni così disumani e feroci potesse interessare in qualche modo Tim Burton il vate dei freak dal cuore d’oro, dei sognatori sparaballe capaci di trasformare in favola la loro vita. Eppure, questo Sweney Todd, riesce al contempo ad essere un film profondamente Burtoniano nei toni e nei colori, ma così drasticamente diverso nel tratteggiare la triste storia di Sweeney Todd, un outsider che del suo passato non ha più niente, neanche il nome, e che nel proprio futuro vede soltanto la vendetta. Un uomo dagli occhi spiritati, un giustiziere armato di rasoi d’argento cui non interessa più sapere se la propria figlia sia viva o morta o ricostruirsi una vita: l’unico scopo è regalare morte a chi lo ha alienato dalla vita. Johnny Depp, talmente bravo che ormai è quasi tautologico sottolinearlo, si muove sulla scena come un fantasma, intonando, come gli altri virtuosissimi membri del cast, canzoni inaudibili per la Londra che li circonda: non ci sono divertite e divertenti coreografie di gruppo nel musical di Burton, perché, per la prima volta nella carriera del regista, non c’è davvero spazio per la felicità e l’ottimismo, magari venato di malinconia, delle altre sue opere.
I freak del regista californiano hanno smesso di sognare. Forse per sempre.


Andrea "V" Bedeschi

Speed Racer e Stardust.



SPEED RACER

“Non importa se le corse non cambiano, l'importante è che le corse non cambino noi”
basta togliere la 'r' alla parola corse ed ecco sbucare fuori una delle tante (palesi e sincere) morali dell'ultimo lavoro dei geniali e chiacchierati fratelli Wachowski. Per essere un film che non si prende mai sul serio nemmeno per un momento, Speed Racer è un'opera piena di buoni sentimenti senza essere stucchevole, in sè compiuta e dannatamente ben realizzata. Prendendo dall'originale anime degli anni '60 l'essenza delle tematiche “made in tatsunoko” e shakerandola con ampie dosi di cultura pop, kitch, retrò, ritroviamo un film che all'occhio del pubblico medio (e di molti critici ancorati a metri di valutazione troppo classici) è parso pacchiano e lontano dai fasti di Matrix. Trattasi in realtà di una pellicola, nel suo piccolo, rivoluzionaria e piena di stile. I Wachowski non hanno fatto molto altro che prendere tutti gli elementi che avevano fatto la fortuna della serie animata negli USA tanti anni fa, e replicarli con uno stile unico, che molto prende in prestito dai media che hanno “inseguito” il cinema negli ultimi anni: l'animazione e i videogiochi. Il cinema dei Wachowski si è fatto inseguire, ci ha giocato, ha imparato da loro un paio di trucchetti e poi ha inserito il turbo. Che poi, come Rex Racer, non sia stato compreso fino in fondo, fa parte del suo essere sempre fedeli a se stessi, come dicevamo all'inizio.


STARDUST

“Non ci sono più i fantasy di una volta” verrebbe da dire guardando all'attuale situazione del cinema fantastico: cloni e scopiazzature delle opere di Tolkien impazzano, ed enormi e violente battaglie campali sono ormai diventate irrinunciabili, così come una computer grafica sempre più onnipresente che “schiaccia” interpreti, scenografie e costumi. Ebbene, Matthew Vaughn e Neil Gaiman sono riusciti a riportare il fantasy “a misura d'uomo” nelle sale, grazie ad un plot insieme originale e senza tempo, a ottime prove d'attore e ad una realizzazione tecnica magistrale ma non “ingombrante”.
Ciò che divide il mondo degli umani da quello fantastico dominato dalla magia è un semplice muretto di cinta, emblema del passaggio del giovane Tristan all'età adulta e della sua quest alla ricerca del vero significato delle parole 'amore' 'inganno' e 'amicizia'.
Stardust è la dimostrazione che anche se il cinema soffre di una drammatica carenza di idee originali e di un'attitudine quasi famelica alla trasposizione di storie dalla carta stampata, può comunque, in maniera anche molto semplice e sincera, ancora far sognare e crescere.

Marco Lucio "Touma" Papaleo

Il Petroliere e Il Divo.



IL PETROLIERE

Paul Thomas Anderson torna dietro alla macchina da presa cinque anni dopo Ubriaco d’amore con una storia americana al cento per cento. Il petroliere è un film potente, fisico, dove gli attori, la macchina da presa e l’ambientazione diventano tutt’uno nel raccontare la tragica storia di Daniel Plainview che, da spiantato minatore, diventa uno dei capitalisti più potenti e temuti del Paese. Per raggiungere il successo, tuttavia, il nostro petroliere dovrà sacrificare se stesso e la sua umanità trasformandosi in un mostro cinico, incapace di provare alcun affetto neppure per il figlio, diventato sordomuto in seguito ad un incidente in un pozzo. Anderson non fa sconti e costruisce una pellicola che, allontanandosi dagli stilemi della Hollywood contemporanea, riscopre il gusto retorico ed epico delle grandi epopee che hanno segnato la storia del Grande Paese. Tra rimandi a Quarto Potere di Welles e con una messa in scena che ricorda certi eccessi Kubrickiani, Il petroliere trascina lo spettatore in tre ore di grandissimo cinema. Straordinaria poi l’interpretazione di Daniel Day Lewis, che spinge al limite le sue già enormi doti attoriali offrendoci un Daniel Plainview che resterà negli annali, soprattutto nella splendida scena finale in cui l’attore inglese si confronta con il giovanissimo Paul Dano. Peccato soltanto per il mancato Oscar (vinto dall’altrettanto meritevole Non  un paese per vecchi) e per la pessima distribuzione italiana.

IL DIVO

Con Il Divo, Paolo Sorrentino ha affrontato con grandissimo garbo ed altrettanta ironia uno dei periodi più oscuri della storia d’Italia, ovverosia i lunghi anni che hanno visto la caduta dell’agonizzante prima repubblica e la sistematica distruzione del sistema dei partiti che fino ad allora avevano governato il Bel Paese. Per raccontarci la sua personalissima visione di quegli anni, il regista sceglie di seguire la vicenda politica e soprattutto umana di uno dei più affascinanti e ambigui personaggi della classe politica italiana, Giulio Andreotti. Raffigurato da Sorrentino come una specie di sacerdote del potere, privo d’amici e dotato di un umorismo spesso ai limiti del sarcasmo, il Divo Giulio appare come una figura sola, troppo intelligente per trovare la felicità nelle semplici faccende terrene ma, al tempo stesso, pragmatico fino alla follia ed in grado di sacrificare chiunque nel nome di un fantomatico bene superiore. Il regista, per nulla intimorito dalla statura storica del suo protagonista (che, fra l’altro, ha visto il film definendolo “una mascalzonata”, salvo poi rettificare sostenendo che, in fin dei conti, “[Il film] ha dei meriti artistici innegabili”) si diverte a giocare con i mezzi a disposizione del cinema moderno e imbastisce una pellicola perennemente sospesa fra il deliro onirico e la cruda realtà dei palazzi Romani. Il Divo non è solo una grande opera d’arte, ma ha anche un’innegabile valore civile in una società come quella italiana che sta dimenticando il suo passato e che, forse, si appresta a viverlo di nuovo. Incredibile, in conclusione, la prova del protagonista Toni Servillo che regge per due ore filate la scena praticamente da solo, imprigionato sotto uno spesso strato di cerone e da soffocanti completi di velluto nero. Un film da vedere a tutti i costi, dall’inestimabile importanza cinematografica e didattica.

Nicolò "Corto Maltese" Carboni

Into The Wild e Persepolis.



INTO THE WILD

Christopher McCandless è un giovane istruito e di buona famiglia che, stanco del conformismo e della propria vita familiare, decide di abbandonare tutto e dedicarsi alla ricerca di se stesso partendo per l'Alaska, alla ricerca della più profonda solitudine ed introspezione.
Incontrerà i personaggi più disparati durante il suo cammino, e una volta giunto a destinazione comprenderà quello che per lui è, in realtà, il senso della vita.
Capolavoro di questa stagione cinematografica, impeccabilmente girato da Sean Penn (amante del libro di Jon Krakauer “Nelle terre estreme”, saggio sulla storia vera del protagonista da cui è stato tratto il film) e interpretato dal giovanissimo Emile Hirisch, “Into the wild” si rivela un'opera maestosa fondata sulla ricerca di se stessi, sull''importanza della vita e del modo in cui noi tutti decidiamo di viverla. Dalla storia del Supertramp impareremo che comunque venga vissuta la vita, con o senza regole, l'importante è avere qualcuno vicino, perchè, come recita Christopher nel film, tra le lacrime di noi spettatori, “la felicità è autentica solo se condivisa”.

PERSEPOLIS

1978, Iran:: La piccola Marjane vive in prima linea la nascita della cosiddetta “rivoluzione islamica”.
Circondata da una famiglia dalla mentalità molto aperta crescerà in un clima di contestazione che la porterà a criticare apertamente il regime, costringendola ad espatriare nel tanto agognato occidente, di cui coglierà pregi e difetti relazionandolo al suo paese di origine.
Persepolis è un'opera incisiva, matura e poliedrica, in grado di trattare contemporaneamente temi quali il razzismo, la religione, l'ipocrisia, il patriottismo e l'ignoranza con una tale delicatezza da mettere lo spettatore (o il lettore, essendo l'opera tratta dal fumetto della stessa Marjane Satrapi) in condizione da non poter rimanere indifferente alle denunce dell'autrice.
La maniera in cui Marjane Satrapi delinea le debolezze del periodo storico e della dignità umana rende l'opera un capolavoro a tutti gli effetti, imperdibile per qualunque amante del cinema d'autore e della letteratura introspettiva, perchè è proprio di introspezione che questo film parla, e lo fa in un modo così efficace e raffinato da far sì che venga ricordato ancora per molto.

Stefano "holy lee roth" Camaioni

Shoot em Up e Indiana Jones.



SHOOT'EM UP!

Vera sorpresa di quest’anno, il film di Michael Davis è piombato in mezzo a noi a metà aprile, portando una ventata di freschezza e di humor nero come non se ne vedeva da tempo. Adrenalinico e volutamente esagerato, la vera forza di Shoot ‘em up è quella di non prendersi mai sul serio e di portare sullo schermo personaggi che sembrano presi di peso dal mondo dei fumetti, con tutti gli stereotipi del caso, unendoli all’azione frenetica e fracassona di un videogioco e puntando tutto nel divertire ed intrattenere lo spettatore. Bisogna ammettere che il film riesce perfettamente in quest’intento, inanellando situazioni grottesche e incredibili senza mai far calare il ritmo, tenendo sempre alta l’attenzione del pubblico e, cosa molto importante, mettendo in chiaro fin da subito che quello a cui si sta assistendo è spettacolo puro, senza alcuna velleità introspettiva o profondi significati... la parola d’ordine è solo una : intrattenimento.
Clive Owen e Paul Giamatti sono perfetti nei loro personaggi: il primo tamarro e sbruffone all’ennesima potenza, il secondo isterico e cattivo ma dall’aspetto tremendamente comune, ci fa venire in mente l’impiegato frustrato che è in tutti noi. Persino la terribile prova recitativa della Bellucci, che qui tocca abissi d’inaudita profondità, non riesce ad affossare lo spirito irriverente e la gradevolezza della pellicola.
Consigliato perchè, in un panorama in cui anche il film più brutto e insulso si prende terribilmente sul serio, Shoot ‘em up è, nel suo campo, quanto di più godibile si sia visto negli ultimi tempi: noleggiatelo per una serata fra amici e non ve ne pentirete!

INDIANA JONES E IL REGNO DEL TESCHIO DI CRISTALLO

L’attesa è stata lunga, anzi lunghissima: ad addirittura quasi 20 anni di distanza da Indiana Jones e l’ultima crociata (datato infatti 1989) si può dire che in moltissimi avevano perso le speranze. Ed invece, dopo indiscrezioni d’ogni tipo, rivelazioni più o meno veritiere sulle possibili trame o sulla partecipazione di questo o quell’attore famoso, ecco che nel mese di maggio dell’anno domini 2008 l’archeologo con cappello e frusta più amato del mondo è tornato a calcare le scene cinematografiche, riunendo il magico e storico trio Harrison Ford, George Lucas e Steven Spielberg. Sicuramente l’ansia di poter vedere la nostra saga preferita rovinata da un film non all’altezza era presente e palpabile, ma per fortuna i timori si sono rivelati infondati: il nuovo capitolo s’inserisce perfettamente in coda agli altri episodi, Indiana è sempre lui anche se gli anni sono passati e, coerentemente, hanno portato nel suo carattere qualcosa dell’illustre padre Henry Jones Senior; l’avventura non manca e nemmeno le ambientazioni e i marchingegni fantastici che hanno reso questo personaggio così celebre. Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo, nonostante la perdita di un po’ di smalto, è una pellicola godibile e divertente, in particolare per gli appassionati, che qui troveranno moltissime citazioni ai precedenti episodi (cinematografici e non) e molti spunti per quello che potrebbe essere l’inizio di una nuova saga (che pare essere già nell’aria).
Consigliato perchè, dopo tutti questi anni, non si può mancare al ritorno di un vecchio amico d’infanzia, specialmente quando si chiama Indiana Jones!

Andrea "Darth Fox" Manni

Scheda Cinema e dvd Prendere a prestito il titolo di uno dei film meno riusciti di Ridley Scott era quasi doveroso, considerato l'ottimo livello di questa stagione cinematografica ormai in chiusura. I titoli che la redazione di Movieye ha voluto proporre rappresentano un ideale percorso di (ri?)visione: probabilmente qualcuno rimarrà scontento perché il "suo" film non è stato citato ma questo speciale, del resto, non ha la pretesa di essere esauriente al 100% perché accontentare tutti è una chimera irrealizzabile. Quindi prendetelo per quello che è: una lista di consigli fatta da chi ama il cinema indirizzata a chi lo ama altrettanto. Con la speranza che la nuova stagione possa ripetere i fasti di quella appena conclusa.