Speciale Un mondo fragile

Cesar Augusto Acevedo raggiunge l'Expo di Milano per raccontare la storia del suo film, figlio della Legge sul Cinema che in Colombia ha rivoluzionato il modo di raccontare storie e incentivato la produzione di contenuti digitali

Speciale Un mondo fragile
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Nemmeno trent'anni e già un trionfo a Cannes: il biglietto da visita di Cesar Augusto Acevedo a Expo, al padiglione Colombia, è questo. Il regista entra in sordina, si commuove quando viene proiettato il trailer del suo film, che non guarda, che ascolta di spalle, sobbalzando a ogni nota della colonna sonora, asciugandosi gli occhi a ogni parola doppiata in italiano. Un mondo fragile è una storia autobiografica, ci racconterà dopo aver smaltito l'emozione, è il voler raccontare una storia ponendo domande, non dando risposte, creando un grande solco nella differenza che intercorre tra un documentario e un film. Perché la sua pellicola, figlia di una luce vera e di una fotografia che non crea artificialità, può sembrare un documentario, pur non essendolo. Va oltre.

La tierra y la sombra

Acevedo arriva al suo debutto grazie, però, anche a un'importante rivoluzione digitale che sta attraversando la Colombia. Al Padiglione, dove il tema ricorrente è la forza di un Paese che offre cinque piani climatici diversi disseminati per il territorio, si accomodano al nostro tavolo anche Marcela Astudillo, rappresentante di Procolombia, e Juan Sebastian Sandino, responsabile del Ministero Tecnologia e Informazione Comunicazione della Colombia, per raccontare, in concerto, l'importanza che ha avuto nel loro Paese la legge sul cinema del 2012. Una normativa che è passata in sordina in questi tre anni, ma che vuole farsi conoscere, vuole emergere, vuole essere sfruttata, come ha già fatto Antonio Banderas con The 33, il primo film a ottenere le sovvenzioni dalla Film Commission colombiana. I requisiti sono semplici, le sovvenzioni sono precise: la Colombia assicura il 40% delle spese di produzione, comprese quelle di post, più il 20% delle spese logistiche, quali trasporto, alimentazione e fabbisogno generale. Per poter accedere a tale sovvenzione bisogna rispettare dei requisiti minimi legati al budget, di minimo 540.000 euro, e che il produttore si affidi a delle imprese locali allocando loro la logistica. L'intera produzione deve durare non più di sei mesi, un anno al massimo contando la post-produzione, che dev'essere comunque realizzata in Colombia. Il messaggio, insomma, è chiaro: se valorizzi il territorio, se ti servi delle aziende locali, quasi la metà del tuo film è pagato dal Governo. E Acevedo questo lo ha appreso sulla sua pelle.

«Fino a 13 o 14 anni fa veniva prodotto uno o al massimo due film all'anno in Colombia: non c'era una vera e propria industria - racconta il regista - ed era difficile produrre film. Grazie a questa nuova legge abbiamo avuto la possibilità di crescere e far crescere la nostra industria. Siamo arrivati a produrre quasi 60 film grazie a questi incentivi. Chiaramente l'aumento della produzione ha anche permesso di imparare e di apprendere di più dal cinema e per il cinema: la stessa mano d'opera, adesso, è più competente e molti giovani hanno avuto la possibilità di emergere». La formazione è uno dei punti focali con i quali Sandino si presenta, nel suo ruolo di leader del TIC: «Abbiamo voluto abbattere delle barriere e migliorare molti degli aspetti del nostro Paese: la creazione di 17 laboratori, in 17 diverse città, ci ha permesso di aumentare l'istruzione e di far sì che una volta istruiti i giovani si potessero creare nuove aziende, nuove strutture dove lavorare. Abbiamo investito 11 milioni di dollari in questo progetto e i 17 laboratori per ora ci stanno dando soddisfazione». Ovviamente lo sviluppo digitale non passa soltanto dal cinema, perché Sandino parla anche di libri interattivi, di videogiochi - che conquistano una parte del Padiglione - e di animazione: un Paese che ha visto il 3.0, lo ha amato e ora investe tutto se stesso per abbracciarlo e viverlo. Magari insegnando anche ad altri come ci si comporta, perché nell'America latina, per ora, soltanto Puerto Rico ha lanciato degli incentivi del genere, ma in maniera minore.
«Questa legge ci ha permesso non solo di aumentare la produzione - continua Acevedo - ma anche di far sì che la Colombia venisse conosciuta all'estero: basti vedere il successo ottenuto a Cannes. Con la mia pellicola, inoltre, vorrei sensibilizzare al massimo le persone circa la nostra situazione sociale: voglio esaltare le persone che hanno bisogno di riscatto. Il tutto è stato ricreato in uno scenario che mi piace definire pittorico, giocando con le ombre, con i suoni, con i rumori, così da rendere il film molto più reale, combattendo quella che è la scarsa comunicazione dei protagonisti. Chiaramente ho raccontato solo una parte della Colombia: è un Paese talmente grande che non posso pensare di mettere in scena un'intera società, ma questa è una storia autobiografica, ricreata in un'abitazione completamente nuova, realizzata per l'occasione. Per quanto sia molto poetica, resta una pellicola basata sulla realtà: non voglio dare risposte, voglio mostrare qualcosa e scatenare delle domande».

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