Tutte le strade portano a Roma: il dibattito sul Leone d'Oro a un film Netflix

Il primo prestigioso premio festivaliero vinto da un film targato Netflix che ha scatenato immediatamente l'ira degli esercenti cinematografici

Tutte le strade portano a Roma: il dibattito sul Leone d'Oro a un film Netflix
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Se ancora prima di scendere nel merito di un film si comincia a polemizzare sulla produzione che ha alle spalle, non si può certo finire a bere uno spritz in laguna al motto di "viva la libertà" con chi quel film lo ha sviluppato. Ci fosse un punto di incontro, magari sarebbe anche possibile, ma la guerra ormai dichiarata tra esercenti cinematografici e piattaforme streaming -con particolare riguardo per Netflix- pare non conoscere tregua.
La 75° Edizione della Mostra del Cinema di Venezia si è aperta proprio in un questo clima, con gli esercenti che già al solo annuncio di ben tre produzioni Netflix in concorso e una nella sezione Orizzonti hanno inveito, via comunicato stampa, contro le decisioni dei selezionatori, lamentando una disfunzionalità dilagante del Festival, che spalancando le porte alle piattaforme streaming -secondo ANAC e ACEC- "ha penalizzato il cinema e l'esercizio stesso".
Alberto Barbera, direttore artistico della Mostra, è comunque rimasto adamantino sulle proprie decisioni, accogliendo le critiche in modo però inamovibile, lasciando quindi concorrere in selezione ufficiale Roma di Alfonso Cuaron, The Ballad of Buster Scruggs dei fratelli Coen e anche 22 July di Paul Greengrass. A fine Festival, con buona pace del regista di Jason Bourne, entrambi i primi due film hanno vinto rispettivamente il Leone d'Oro e il premio alla Miglior Sceneggiatura, con merito e plauso generale di critica e pubblico. Ma la bontà dei film non è elemento di discussione per gli esercenti di cui sopra, che infatti sono tornati all'attacco -con le dovute premesse del caso- della Mostra di Venezia, descrivendo soprattutto il Leone d'Oro al Roma di Cuaron come "iniquo", arrivando addirittura a definire la rassegna come "veicolo di marketing per Netflix".

Guerriera e "Amazzone"

È doveroso anzitutto precisare che Alberto Barbera e i vari selezionatori non sono in alcun modo veicolo di marketing per la piattaforma di Reed Hastings. Almeno, non solo per Netflx e non come lo intendono i critici. Il Lido ha infatti inserito in concorso ufficiale anche il Suspiria di Luca Guadagnino (Chiamami col tuo nome), prodotto interamente da Amazon Studios, che per quanto riguarda lo streaming online è il secondo colosso imperante nel mercato insieme a Netflix (il terzo è, a modo suo, Hulu). In questo caso però il problema non sussiste per gli esercenti, dato che la costola della grande società di Jeff Bezos opera nel settore cinematografico come qualsiasi altro produttore, quasi fosse una grande major, quindi lasciando che le produzioni originali del servizio raggiungano anche la sala in modo più o meno capillare.
Questo in America come in Italia, vendendo inoltre i diritti di distribuzione a terze parti e lasciando arrivare tutti i loro prodotti in homevideo. Eppure ci sono comunque dei ma.
Amazon Studios, come dicevamo, è una sussidiaria della ben diversa Amazon, società di e-commerce, che tramite questa "etichetta" si limita a produrre o co-produrre film di vario genere, ma non a distribuirli a livello internazionale (per fare un esempio, La ruota delle meraviglie di Woody Allen è arrivato in Italia grazie a Lucky Red). Mette i soldi, accompagna lo sviluppo, li distribuisce in America e vende a terze parti globalmente. È un meccanismo classico al quale Amazon si è adattata perfettamente, ma questo anche grazie al grande capitale a suo disposizione, nettamente superiore a quello Netflix. Questo ha permesso ad Amazon di continuare un processo di diversificazione imponente, che ha portato ormai diversi anni fa alla nascita di Amazon Prime Video, la piattaforma di streaming della compagnia, dove escono le produzioni originali seriali.

In sostanza, Amazon può permettersi tranquillamente di sottostare alle legislazioni internazionali sul cinema, che impediscono in Europa come in America che un film uscito in sala e rimastoci per un tempo determinato non possa approdare legalmente sulle piattaforme streaming prima di due anni o poco meno (dipende dai paesi).
La chiave del successo e della lungimiranza (dettata da soldi e potere) di Amazon è stata quindi proprio la diversificazione all'interno di un mercato interconnesso, lasciando che il cinema resti cinema -inteso da sala e pro-esercenti- per farlo poi approdare a tempo debito sulla piattaforma streaming, che dal canto suo è atta a produrre esclusivamente serie TV.Netflix, invece, opera in tutt'altro modo e non è composta da sussidiarie.

La folla è doma, non il Leone

A differenza della ben più capitalizzata collega, il colosso guidato da Reed Hasting è sia produttore o co-produttore che distributore di film o serie tv originali, tutto su di un unica piattaforma. Di più: rispetto e al contrario di Amazon, Netflix si è posta internazionalmente come sostituta distributrice di film che compra attivamente da terzi parti, molti dei quali in Italia non arriverebbero o arriverebbero solo in homevideo, magari esclusivamente in Dvd. Questo perché nel Bel Paese c'è un grande problema che forse gli esercenti dimenticano: alla stragrande maggioranza degli italiani, del cinema cosiddetto "d'essai", autoriale o anche serie B, frega davvero poco. L'investimento di un distributore internazionale non verrebbe quasi certamente ripagato da un'uscita ridotta nelle sale, a meno che non si sia acquistato un film come L'uomo che uccise Don Chisciotte, che ha alle spalle una storia travagliata e che ha creato hype negli anni, nonostante si tratti poi di un prodotto tipicamente, genuinamente e ingenuamente alla Terry Gilliam.
In sostanza, Netflix ha velocizzato e unificato i tempi di distribuzione di un film a livello globale, in un mondo dove, se non esistesse Netflix, quello stesso film uscirebbe magari nelle sale francesi un anno dopo quelle americane, due in quelle italiane e mai in altri paesi. Questo in termini prettamente distributivi (ne abbiamo parlato anche nella recensione di Next Gen). Impossibile quindi, in termini commerciali, che una società come Netflix, che opera solo ed esclusivamente nel settore dello streaming online e che detiene i diritti di titoli di terze parti, possa rinunciare a visualizzazioni ed entrate immediate e sicure per un'uscita quasi sicuramente a perdere nelle sale, nonostante si trovi in una posizione aperta al rischio.

Eppure, con l'avvio di produzioni d'autore quali Roma o The Ballad of Buster Scruggs, le cose sembrerebbero incamminarsi lungo una strada leggermente aperta al compromesso, anche se a venire in aiuto sia di Netflix che degli esercenti dovrebbe essere la legislazione ordinaria, revisionando attivamente le leggi di cui sopra e aprendo quindi alla distribuzione cinematografica in sala e all'uscita immediata, o quasi, sulla piattaforma.
Sembra questo il metodo migliore per mettere d'accordo le due parti, così da rispettare anche le esigenze dei cinefili che vogliono continuare a vivere l'esperienza comunitaria al cinema e chi invece desidera comodità, telecomando e divano.
Proprio il Leone d'Oro al Roma di Alfonso Cuaron potrebbe essere l'inizio della svolta, dato che, come annunciato, Netflix lo distribuirà in modo selezionato in diverse sale, esattamente come farà con l'imminente Sulla mia pelle o poi con The Ballad of Buster Scruggs, eludendo in modo adeguato la legislazione e distribuendoli puntualmente anche sulla piattaforma.
Facciamo ben attenzione: questo è molto più di quanto farebbe qualsiasi altro distributore se si trovasse nella stessa situazione di Netflix. Come molti altri piccoli o grandi autori, Alfonso Cuaron si è rivolto alla piattaforma streaming per la libertà creativa che essa ha da offrire, priva di compromessi, senza censure, che gli ha poi dato modo di sviluppare l'opera esattamente come da lui pensata. Un titolo che il nostro Aurelio Vindigni Ricca ha definito "poetico, intimo e magistrale" che, se distribuito in sala, non avrebbe raggiunto il successo economico sperato, proprio come è stato per l'imponente e faticoso Lav Diaz, per il Dheepan di Jacuqes Audiard o per il Faust di Sokurov, tutti titoli che hanno trionfato agli scorsi Festival di Venezia o Cannes e che, puntualmente, sono stati dimenticati dal grande pubblico una volta usciti nelle sale.

Per tacere poi di quei film che invece non sono mai stati distribuiti nei cimema, come The Handmaiden o First Reformed, quest'ultimo in arrivo esclusivamente in Dvd il prossimo ottobre a un anno dalla sua presentazione (con accoglienza positiva) proprio a Venezia. Questo perché il ritorno sull'investimento su di un film di Paul Schreder con Ethan Hawke e Amanda Seyfried non è stato considerato adeguato se distribuito in sala, relegandolo alla versione homevideo oggi come oggi più obsoleta.
Ecco come gli altri distributori difendono il cinema nel totale silenzio degli esercenti, che punzecchiando Venezia con fare ironico, parlano di "un Leone ormai domato", quando l'unica cosa oggi doma è la coerenza e la passione delle masse per il cinema. E il problema non è certo Netflix.

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