Speciale Trieste Science+Fiction 2015

Dalle vicende ispirate a L'isola del dottor Moreau ai cari vecchi zombi in salsa Mad Max, non è mancato proprio nulla a Trieste Science+Fiction 2015, Festival Internazionale della Fantascienza.

Speciale Trieste Science+Fiction 2015
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Si è svolta dal 3 all'8 novembre 2015 la quindicesima edizione del Trieste Science+Fiction, Festival Internazionale della Fantascienza.
Un'edizione particolarmente ricca e interessante, a cominciare dagli ospiti che hanno spaziato dallo scrittore statunitense Joe R. Lansdale - il quale ha presieduto la Giuria internazionale del Premio Asteroide - all'autore di fantascienza Bruce Sterling, cui è stato assegnato il premio Urania d'Argento alla carriera.
Senza dimenticare i Goblin di Claudio Simonetti, i quali hanno celebrato i quarant'anni di Profondo rosso tramite uno show per festeggiare la Golden Méliès Ceremony, nel corso di sei giorni pullulanti di succose anteprime cinematografiche rientranti nell'horror e nella fantascienza da schermo.
Anteprime tra cui, purtroppo, abbiamo perso il Frankenstein di Bernard Rose, ambientato nella Los Angeles odierna e interpretato da Xavier Samuel, Carrie-Ann Moss e Danny Houston, The zero theorem di Terry Gilliam e il dramma post-apocalittico The survivalist di Stephen Fingleton, ma delle quali, al di là delle quattro che trovate in questo speciale, potete trovare recensite qui sul portale Andron - The Black Labyrinth di Francesco Cinquemani, aTurbo Kid di François Simard, Anouk Whissell e Yoann-Karl Whissell, Rec 4: Apocalipsis di Jaume Balagueró, Dio esiste e vive a Bruxelles di Jaco Van Dormael, The whispering star di Sion Sono, Deathgasm di Jason Lei Howden, Goodnight mommy di Veronika Franz e Severin Fiala, Polder di Samuel Schwarz e Julian M. Grünthal, Howl di Paul Hyett, Stung di Benni Diez, It follows di David Robert Mitchell e Summer camp di Alberto Marini.

Men & chicken

Rispettivamente con le fattezze di Mads"Casino Royale"Mikkelsen e del David Dencic di Regression, i fratelli Elias e Gabriel si rincontrano per seppellire il padre, scoprendo, però, che il loro genitore biologico è, in realtà, qualcuno che non hanno mai conosciuto.
Da questa esile idea di partenza, il danese classe 1972 Anders Thomas Jensen - autore de Le mele di Adamo - costruisce una sorta di moderna rivisitazione del classico su carta L'isola del dottor Moreau di H.G. Wells immergendo i due protagonisti in un viaggio che, alla ricerca di indizi che li riconducano alle origini delle rispettive psicosi, li conduce presso la fatiscente villa paterna nell'isola quasi disabitata di Ork.
Isola dove non solo incontrano altri tre ancor più stravaganti fratelli, ma, mentre viene osservato che piante ed animali sono tutti vittime del caso, non mancano fauna mutata e bizzarri ibridi, a cominciare da una cicogna con piedi umani e labbro leporino.
Solo per concretizzare su schermo, però, un dramma a tinte grottesche che, puntando in maniera particolare sulle lodevoli performance del cast e sulla a suo modo inquietante ambientazione rurale, mira in maniera evidente a ricordare che qualsiasi creatura è stata creata da qualcuno e che la vita non è altro che vita.

Idila

Sotto la regia dell'esordiente sloveno classe Tomaz Gorkic, Nina Ivanisin è la modella non professionista Zina, che, dopo una notte di baldoria, parte per un servizio fotografico in mezzo alla natura affiancata dall'ambiziosa Mia, dall'apatica Dragica e dal fotografo snob Blictz, rispettivamente incarnati da Nika Rozman, Manca Ogorevc e Sebastian Cavazza.
Come il cinema horror insegna fin dai tempi del mitico Non aprite quella porta diretto nel 1974 da Tobe Hooper, però, ogni volta che qualcuno si allontana dai caotici centri urbani per passare alla quiete campagnola finisce per invadere territori già occupati da gente molto poco ospitale e tutt'altro che rassicurante.
Infatti, le protagoniste non impiegano molto tempo a finire nelle grinfie di disgustosi individui probabilmente parenti della mostruosa combriccola della serie Wrong turn, tanto più che, proprio come i suoi componenti, non esitano ad imprigionarle per sottoporle a sadiche torture.
Ed è proprio a partire da questo momento che, ovviamente, il tutto non si basa altro che sulla tensione generata dal voler sapere cosa accadrà loro; man mano che si sguazza tra teste tagliate ed altre sfondate a colpi d'ascia per sfociare in immancabile fuga nel bosco.
Al servizio di un esercizio di stile che, seppur non privo di difetti di script e non troppo originale, può anche riuscire nell'impresa di lasciare soddisfatto il meno esigente fan dello splatter.

We are still here

Dopo la morte del figlio ventenne, Anne e Paul Sacchetti - ovvero la Barbara Crampton di Re-Animator e l'Andrew Sensenig di Dylan Dog - Il film - si trasferiscono nella piccola Aylesbury, assonnato villaggio tra le nevi del New England; dove alcuni rumori sospetti e un certo senso di inquietudine, però, convincono la donna che lo spirito del figlio sia ancora vivo.
Da qui, con i due che, al fine di andare a fondo nella vicenda, invitano una coppia new age formata da May e Jacob Lewis, rispettivamente interpretati dalla ex fiamma di Tim Burton Lisa Marie e dal Larry Fessenden autore de La sindrome di Frankenstein e Wendigo, l'esordiente Ted Geoghegan mette in piedi il suo dichiarato omaggio al maestro dello splatter tricolore Lucio Fulci e, in particolare, a Quella villa accanto al cimitero.
Del resto, se il cognome dei protagonisti proviene dallo sceneggiatore Dardano Sacchetti, quello dei primi abitanti della casa in cui si ritrovano è Dagmar, come il nome della Dagmar Lassander che fece parte della pellicola del 1981 che concluse la ideale trilogia lovecraftiana iniziata tramite Paura nella città dei morti viventi e ...E tu vivrai nel terrore! L'aldilà.
Abitanti che pare vi dimorino ancora assetati di vendetta, in quanto un'oscurità primordiale si risveglia ogni trent'anni in cerca del sangue fresco di una nuova famiglia... peccato, però, che, tra bulbi oculari perforati ed emoglobina che schizza copiosa, sebbene le atmosfere del compianto cineasta romano vengano in parte riprese efficacemente e si avverta il sapore di nostalgia, la narrazione pecca in fiacchezza e il risultato appare a tratti confuso.

Wyrmwood

Ci risiamo: l'ennesima invasione di morti viventi (o, meglio, di infetti zombeschi) da schermo è cominciata.
Stavolta proviene dall'Australia e, prendendo dichiaratamente ispirazione dalla saga fantascientifica Mad Max, dai primi splatter di Sam Raimi e Peter Jackson e da Undead di Michael e Peter Spierig, ne sono artefici il regista Kiah Roache-Turner e il fratello co-sceneggiatore Tristan.
D'altra parte, si avverte non poco l'influenza della trilogia Evil dead/La casa e di Bad taste - Fuori di testa nel corso della quasi ora e quaranta di serrata visione che, come vuole il filone portato ai massimi livelli da George A. Romero, si concentra quasi esclusivamente sulla sequela di scontri con i cadaveri a passeggio affamati di carne umana.
Cadaveri a passeggio generati, in questo caso, da una pioggia di meteoriti e ad affrontare i quali - affiancato da un ristrettissimo gruppo di persone - provvede Barry alias Jay Gallagher, padre di famiglia che ha perso tutto ad eccezione della sorella Brooke, ovvero Bianca Bradley, finita nelle mani di un dottore psicopatico che la sottopone a una serie di folli esperimenti.
Man mano che, tra teste staccate tramite l'utilizzo di vanghe ed ironia non poco presente, a rendere il divertente insieme più originale dei migliaia di esempi che affollano il genere sono folli idee come quella delle fonti combustibili non più infiammabili a causa dell'epidemia e l'altra del gas sprigionato dalla bocca dei contaminati che può essere sfruttato a mo' di carburante per i corazzati automezzi.
Si è aggiudicato il premio Asteroide per il miglior lungometraggio di fantascienza.