In linea con l'apocalisse norrena di cui porta il nome, Thor: Ragnarok è stato un vero terremoto cinematografico per i fan del Dio del Tuono Marvel. Ci siamo soffermati più volte sul valore del cinecomic scritto e diretto da Taika Waititi, ragionando tanto sull'esercizio autoriale del regista di Selvaggi in Fuga, quanto sull'elemento della destrutturazione della figura del supereroe in chiave ironica. Un'idea, questa, che ha diviso molto il fandom del MCU, polarizzando due parti ben distinte: i sostenitori del cambio di rotta di Thor e i conservatori dello spirito aulico e divino del personaggio.
Guardando l'evoluzione del Dio del Tuono in Avengers: Endgame e tutti i progetti che Waititi ha in cantiere (tra cui un nuovo Star Wars), Hollywood sembrerebbe aver dato manforte e un significativo appoggio produttivo alla visione e alla caratura creativa dell'autore, rendendo Thor l'eroe al momento più controverso dell'Universo Cinematografico Marvel e Waititi tra i registi più dibattuti del 2020. E il fatto che spetti nuovamente a lui la guida di Thor: Love and Thunder spaventa non poco i fan del personaggio, che non sono detrattori del cineasta ma appassionati poco convinti della curiosa scelta dei toni da questi adoperata. Tutto ciò rende molto interessante una breve riflessione sull'approccio al genere di Taika Waititi, filmmaker rivoluzionario e profondamente anti-dogmatico.
Osare, osare, osare!
Non c'è parola d'ordine migliore di "osare" per descrivere il modus scribendi e operandi del regista in ambito cinecomic. Waititi osa mettere in discussione alcuni dictat di quello che è il supereroe venalmente e intrinsecamente più drammatico dell'intero parterre Marvel, almeno in senso poetico e prosaico. Perché un Dio deve essere serio, austero, rigoroso e potente. Questa era ed è tuttora la figura di Thor che ci viene infatti raccontata nei fumetti, al netto di un carattere che nel tempo ha assimilato comportamenti molto più umani e schizofrenici, adattandosi di volta in volta alle situazioni che aveva davanti. Waititi ha però fatto di più per il personaggio, stavolgendone completamente una certa compostezza di fondo e tirando fuori quella che possiamo definire l'anima del Dio, rendendolo in sostanza più umano ed emotivamente reale. L'azzardo è stato proprio questo: cambiare radicalmente dei bias comportamentali del personaggio così da trasformarlo nel profondo, visceralmente, come un'epifania interiore senza possibilità di ritorno.
Il tentativo è stato quello di inserire una chiave di lettura estremamente ironica in un franchise dove a funzionare su tutto e prima di tutto era proprio l'elemento commediato, però ristretto, tenuto in gabbia e rimesso tanto ai personaggi secondari e poco a Thor. Il regista neozelandese ha invece intercettato questo potenziale inespresso e ne ha fatto il cardine tonale e narrativo della sua visione, spingendosi oltre per arrivare al non sense e all'improvvisazione, trovate paradossali e significative se accostate ancora una volta all'ideale comune, generico e pre-costruito che l'uomo ha di un Dio.
Il risultato è stato sconvolgente e inatteso, tanto da cogliere impreparati tutti. Thor: Ragnarok è stato il film apoteosi della libertà creativa Marvel, il film che più di tutti ha sottolineato l'evidenza della concettualità alla base di un progetto MCU. È stato anche il cinecomic che ha ridato slancio passionale a Chris Hemsworth, che ha recentemente ricordato "quanto all'epoca fosse ormai annoiato dal personaggio e della sua serietà". Lo erano in verità tutti, dopo il fallimentare The Dark World e il non così apprezzato Avengers: Age of Ultron, tanto che sia i produttori che il protagonista hanno definito Waititi il grande salvatore del franchise di Thor, il grande game changer di un destino incerto e poi ri-plasmato, ri-fondato e ri-lanciato.
Stiamo parlando di un intero reparto creativo e di importanti capi d'azienda che sentivano all'unisono la necessità di modificare in modo significativo il brand. L'insoddisfazione era a monte e al vertice: un edificio di frustrazione e malcontento che rischiava di franare rovinosamente e invece salvaguardato proprio dal più pretenzioso degli azzardi. Da lì, al contrario, la caduta del divino e l'ascesa dell'umano, fino ad arrivare all'estremizzazione totale vista in Endgame ma fedele al percorso intrapreso dal personaggio. Ora sono tutti felici: Hemsworth, Feige, Waititi e anche Natalie Portman, che pur di lavorare con l'autore ha scelto di tornare nel ruolo di Jane Foster per ricevere lo stesso trattamento del collega maschile. E il regista sembra già promettere scintille, dato che Thor: Love and Thunder sarà per sua stessa ammissione "più impavido, più luminoso e più grande". Un gioco al raddoppio con se stesso e con la propria ambizione. Quel gioco a cui non vediamo l'ora di partecipare come spettatori.
Thor: Love and Thunder, l'ambizione e il coraggio di Taika Waititi
Perché l'autore Premio Oscar è ormai una firma essenziale per il franchise? Cosa lo rende tanto amato e al contempo divisivo? Scopriamolo insieme.
In linea con l'apocalisse norrena di cui porta il nome, Thor: Ragnarok è stato un vero terremoto cinematografico per i fan del Dio del Tuono Marvel. Ci siamo soffermati più volte sul valore del cinecomic scritto e diretto da Taika Waititi, ragionando tanto sull'esercizio autoriale del regista di Selvaggi in Fuga, quanto sull'elemento della destrutturazione della figura del supereroe in chiave ironica. Un'idea, questa, che ha diviso molto il fandom del MCU, polarizzando due parti ben distinte: i sostenitori del cambio di rotta di Thor e i conservatori dello spirito aulico e divino del personaggio.
Guardando l'evoluzione del Dio del Tuono in Avengers: Endgame e tutti i progetti che Waititi ha in cantiere (tra cui un nuovo Star Wars), Hollywood sembrerebbe aver dato manforte e un significativo appoggio produttivo alla visione e alla caratura creativa dell'autore, rendendo Thor l'eroe al momento più controverso dell'Universo Cinematografico Marvel e Waititi tra i registi più dibattuti del 2020. E il fatto che spetti nuovamente a lui la guida di Thor: Love and Thunder spaventa non poco i fan del personaggio, che non sono detrattori del cineasta ma appassionati poco convinti della curiosa scelta dei toni da questi adoperata. Tutto ciò rende molto interessante una breve riflessione sull'approccio al genere di Taika Waititi, filmmaker rivoluzionario e profondamente anti-dogmatico.
Osare, osare, osare!
Non c'è parola d'ordine migliore di "osare" per descrivere il modus scribendi e operandi del regista in ambito cinecomic. Waititi osa mettere in discussione alcuni dictat di quello che è il supereroe venalmente e intrinsecamente più drammatico dell'intero parterre Marvel, almeno in senso poetico e prosaico. Perché un Dio deve essere serio, austero, rigoroso e potente.
Questa era ed è tuttora la figura di Thor che ci viene infatti raccontata nei fumetti, al netto di un carattere che nel tempo ha assimilato comportamenti molto più umani e schizofrenici, adattandosi di volta in volta alle situazioni che aveva davanti.
Waititi ha però fatto di più per il personaggio, stavolgendone completamente una certa compostezza di fondo e tirando fuori quella che possiamo definire l'anima del Dio, rendendolo in sostanza più umano ed emotivamente reale. L'azzardo è stato proprio questo: cambiare radicalmente dei bias comportamentali del personaggio così da trasformarlo nel profondo, visceralmente, come un'epifania interiore senza possibilità di ritorno.
Il tentativo è stato quello di inserire una chiave di lettura estremamente ironica in un franchise dove a funzionare su tutto e prima di tutto era proprio l'elemento commediato, però ristretto, tenuto in gabbia e rimesso tanto ai personaggi secondari e poco a Thor. Il regista neozelandese ha invece intercettato questo potenziale inespresso e ne ha fatto il cardine tonale e narrativo della sua visione, spingendosi oltre per arrivare al non sense e all'improvvisazione, trovate paradossali e significative se accostate ancora una volta all'ideale comune, generico e pre-costruito che l'uomo ha di un Dio.
Il risultato è stato sconvolgente e inatteso, tanto da cogliere impreparati tutti. Thor: Ragnarok è stato il film apoteosi della libertà creativa Marvel, il film che più di tutti ha sottolineato l'evidenza della concettualità alla base di un progetto MCU. È stato anche il cinecomic che ha ridato slancio passionale a Chris Hemsworth, che ha recentemente ricordato "quanto all'epoca fosse ormai annoiato dal personaggio e della sua serietà". Lo erano in verità tutti, dopo il fallimentare The Dark World e il non così apprezzato Avengers: Age of Ultron, tanto che sia i produttori che il protagonista hanno definito Waititi il grande salvatore del franchise di Thor, il grande game changer di un destino incerto e poi ri-plasmato, ri-fondato e ri-lanciato.
Stiamo parlando di un intero reparto creativo e di importanti capi d'azienda che sentivano all'unisono la necessità di modificare in modo significativo il brand. L'insoddisfazione era a monte e al vertice: un edificio di frustrazione e malcontento che rischiava di franare rovinosamente e invece salvaguardato proprio dal più pretenzioso degli azzardi. Da lì, al contrario, la caduta del divino e l'ascesa dell'umano, fino ad arrivare all'estremizzazione totale vista in Endgame ma fedele al percorso intrapreso dal personaggio. Ora sono tutti felici: Hemsworth, Feige, Waititi e anche Natalie Portman, che pur di lavorare con l'autore ha scelto di tornare nel ruolo di Jane Foster per ricevere lo stesso trattamento del collega maschile. E il regista sembra già promettere scintille, dato che Thor: Love and Thunder sarà per sua stessa ammissione "più impavido, più luminoso e più grande". Un gioco al raddoppio con se stesso e con la propria ambizione. Quel gioco a cui non vediamo l'ora di partecipare come spettatori.
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