The Irishman, la trinità dei gangster movie alla corte di Scorsese

Robert De Niro, Joe Pesci e Al Pacino: i tre pilastri del sottogenere crime riuniti per la prima volta in un film del Re dei gangster movie.

The Irishman, la trinità dei gangster movie alla corte di Scorsese
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Si continua a parlare di Martin Scorsese nel modo sbagliato, ultimamente. Senza giustificare o assecondare le sue recenti uscite sui cinecomic, il regista di Taxi Driver o The Wolf of Wall Street sta continuando una crociata contro i Mulini a Vento del tutto sterile, come d'altronde inutili sono le lamentele dei fan o dei diretti interessati. Purtroppo e per fortuna ognuno ha diritto a dire la sua, mentre la verità sul cinema odierno è incontrovertibile: è in trasformazione e sempre più multimediale.

Questo Scorsese lo sa bene, tanto che dopo anni di fallita ricerca di investitori per un film d'animo nobile ma di budget cospicuo, ha deciso di accettare l'offerta di Netflix e di farsi produrre in toto il suo The Irishman, già disponibile sulla piattaforma streaming.
Una volta fatto, è finalmente riuscito a dirigere un passion project di vecchia data che sancisce uno dei massimi apici dei gangster movie, costruito cinematograficamente da uno dei più grandi maestri del genere vivente e interpretato dalla Trinità del genere per eccellenza: Robert De Niro, Joe Pesci e Al Pacino. Al di là delle discussioni e le sentenze che lasciano il tempo che trovano, è forse meglio parlare di un film che setta nuove vette introspettive nel sottogenere crime.

Il Sicario, Il Boss e il Sindacalista

È proprio nell'intimità dei rapporti tra i protagonisti che Martin Scorsese trova la chiave di lettura principale del suo ultimo lavoro. Non è poi questa la struttura del libro da cui è tratto (più discorsivo e documentale), rimodellata per essere invece più personale, dal ritmo lento e interamente incentrata sulle relazioni di Frank Sheeran, Russell Bufalino e Jimmy Hoffa dall'affilata penna di Steven Zaillian, che riesce nel difficile compito di rendere quasi esistenzialista ed emozionante una storia fatta di tradimenti, ricatti e malavita.
Come già spiegato nella recensione di The Irishman, il film è il C'era una volta in America di Scorsese perché ugualmente riflessivo su di un'epoca ormai sbiadita e raccontata attraverso un'amicizia pluri-decennale. Essendo proprio l'intimità delle relazioni criminali al centro dell'opera, il cineasta non ha potuto fare a meno di scegliere per i tre ruoli principali due suoi attori feticcio e un terzo con cui non aveva mai lavorato, tutti drasticamente importanti nel mondo dei gangster movie. Superando la soglia di esaltazione del crimine tracciata con Casinò o Quei Bravi Ragazzi, Scorsese si adatta con serafica pazienza ai ritmi narrativi imbastiti da Zaillian, andando a comporre un lungometraggio paziente che vive e muore con i suoi protagonisti, con la sua eccezionale Trinità.

Il punto di vista principale è quello del Sicario, sempre filtrato dal tema dell'amicizia in contrasto con i doveri tipici del ruolo. È infatti grazie al personaggi di De Niro che The Irishman è inquadrabile soprattutto come un lungo ricordo di una vita fatta di dolorose conseguenze e pochi rimpianti, scelta che porta al silenzio come ultimo amico possibile, il solo capace di ascoltare una storia di peccati dimenticati.
Il volto dell'attore torna per pochi minuti ai fasti del Padrino II, invecchiando poi man mano insieme a quello degli altri colleghi per sottolineare la duratura amicizia tra i tre e l'ineluttabile forza del tempo che tutto deteriora.

Il Boss è invece rappresentato dal Bufalino di Joe Pesci, qui capo mafioso sereno e pacato, privo di eccessi e pensato da Zaillian e Scorsese per essere un perfetto contraltare agli esagitati ed entusiastici ruoli da gangster interpretati dall'attore in passato.
Sembra un po' il lavoro fatto da Tarantino con il Colonnello Landa e il Dottor Schultz di Christoph Waltz: un completo ribaltamento della stessa identica parte, solo qui pensato per adattarsi anche alla vecchiaia del personaggio.
Così com'è stato indimenticabile in Toro Scatenato, nello stesso C'era una volta in America, in Quei bravi ragazzi o in Casinò, Pesci è ugualmente incisivo nel ruolo di Bufalino, a cui dona un'aura perentoria e temibile, importante e di grande fascino senza sconfinare mai nella violenza fisica.

E infine c'è Al Pacino, nel ruolo più dinamico ed elettrizzante di The Irishman, quello dell'esuberante sindacalista Jimmy Hoffa, la grande e importante vittima della storia. La più grave colpa di Hoffa è stata quella di essere colluso con la mafia per fini personali, quelli cioè di mantenere forte l'ormai dimenticato labor union dell'International Brotherhood of Teamsters, vendendosi praticamente alla criminalità organizzata. L'amicizia raccontata nel film tra il sindacalista, Bufalino e Sheeran è frutto di una documentazione e di una ricerca successiva alla scomparsa di Hoffa, per cui nessuno è stato mai condannato.

Quando vediamo allora su schermo Frank uccidere a sangue freddo l'amico di una vita, padrino della sua famiglia, compagno di mille avventure indecorose, capiamo quanto difficile debba essere stata la confessione dell'Irlandese fatta al grande pubblico in un prodotto di finzione, la stessa mai fatta in un vero tribunale. Non c'è comunque appoggio o giustificazione da parte di sceneggiatore e regista, perché viene ampiamente sottolineata ogni colpa dei protagonisti, demitizzando a monte la fascinazione criminale del lungometraggio, che si chiude infatti con il solo testimone rimasto in vita di un'età omertosa ormai superata da tempo, pronta a morire nel silenzio da lei stessa creato.

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