Taika Waititi, dalla Nuova Zelanda con amore: chi è il regista di Thor Ragnarok?

Scopriamo vita, stile e opere di uno dei registi più interessanti della sua generazione, tra genio, improvvisazione e una bella dose di follia.

Taika Waititi, dalla Nuova Zelanda con amore: chi è il regista di Thor Ragnarok?
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Ha un sorriso sornione, Taika Waititi, che non riesce neanche a nascondere bene dietro alla sua poco folta ma curatissima barba brizzolata che tanto piace alle donne e che, nel caso del regista neo-zelandese, fa pendant con i capelli corti e riccioluti. Si capisce subito, a prima vista, che non è un tipo che vuole prendersi troppo sul serio, virtù, se vogliamo, che riversa anche con intelligenza e sagacia nel suo lavoro. Di madre russa di religione ebraica, Waititi è da parte di padre un discendente diretto di una delle più grandi e famose tribù Maori dell'Isola del Nord, conosciuta come Te Whanau-a-Apanui, anche se difficilmente troverete sulla sua carnagione scurissima qualche tatuaggio tipico delle popolazioni polinesiane. Radici differenti, quindi, che trovano però un connubio perfetto in Taika, che nel corso degli anni ha persino deciso di adottare il cognome della madre, Cohen (tipico!), in alcuni dei suoi film, forse per onorare a modo proprio queste due culture così agli antipodi che convivono al suo interno, tra cuore e anima. Nato nell'area di Raukokore, il regista è cresciuto in realtà nella ben più vivibile e ospitale Wellington, dove ha trscorso l'adolescenza e ha mosso i suoi primi passi nel mondo del cinema e del teatro, sempre con uno sguardo alla commedia, suo genere d'appartenenza e primo, vero grande amore. Mentre studiava infatti alla Victoria University di Wellington, Waititi si unì al famoso quintetto comico So You're Man, girando in un tour di successo tra la Nuova Zelanda e l'Australia nella metà degli anni '90. Del gruppo facevano parte anche i meno conosciuti David Lawrence e Carey Smith e i ben più noti Bret McKenzie e Jemaine Clement, altro enorme talento adesso conosciuto soprattutto per Men in Black 3 e Legion in tv.

Il connubio artistico con Clement e i primi successi

Scioltosi il quintetto dopo anni di divertimento, Waititi e Clement, i più affiatati del gruppo, decidono però di continuare come duo l'esperienza comico-cabarettistica. Dopo So You're Man ecco nascere quindi i The Humorbeats, che imitando in parte lo stile sarcastico misto a black e demential humor già sfruttato in precedenza riescono a riscutore forse ancora più successo che in passato, vincendo addirittura nel 1999 il prestigioso Billy T Award, il premio più importante assegnato ai comici in Nuova Zelanda. Questo è forse il momento in cui decolla la carriera di Waititi, che tra il 2000 e il 2004 comincia anche a recitare in piccoli ruoli in progetti semi-sconosciuti come Scarfies, Snakeskin e Tongan Ninja. Questa è però quella che possiamo chiamare un'iniziazione al percorso da filmmaker, che vede il suo decollo nel 2003 con il corto da lui scritto e diretto Two Cars, One Night, che viene persino nominato agli Oscar 2005 come Miglior Cortometraggio. Il suo stile irriverente ma emotivamente pacato e attento alle sfumature drammatiche è già molto preponderante e pronto a esplodere in tutta la sua maturità, ma prima di compiere il grande passo verso il lungometraggio, il giovane autore viene scelto per dirigere alcuni episodi della serie cult HBO Flight of the Conchords, interpretata ovviamente dall'amico Clement. Nel mentre della serie, però, Waititi sforna il suo primo film, Eagle vs Shark, una dramedy di appena 88 minuti da lui scritta e diretta con protagonista sempre l'affiatatissimo Clement e nella quale si ritagliò anche un piccola parte.

Il titolo non venne accolto a braccia aperte dalla critica, che ne riconobbe l'interessante portata comica ma ne sottolineò anche la somiglianza con altre perle cinematografiche dello stesso periodo, una tra tante Napoleon Dynamite. Con la chiara voglia di sorprendere e ammaliare il grande pubblico, stampa compresa, con il suo intelligentemente ponderato mix di toni, l'autore torna così nel 2010 con il bellissimo Boy. Qui Waititi interpretata anche uno dei due personaggi principali, il padre del protagonista, un criminale buono a nulla. E alla sua uscita in Nuova Zelanda, il film frantumò il precedente record come miglior incasso di sempre per una produzione locale, andando anche oltre e vincendo importanti riconoscimenti internazionali, tra cui il Grand Prix per il Miglior Film Straniero al Festival di Berlino. Praticamente una grande rivincita!

Ombre, Boschi e Dei

Waititi è considerato ormai un piccolo autore straniero da tenere d'occhio, e dato il passaggio di Boy al celebre Sundance Film Festival, dove è stato accolto con affetto dal pubblico, adesso il suo nome interessa anche in America nel circuito delle produzioni indipendenti. Il regista deve quindi sfornare un altro piccolo gioiello di humor e tenerezza, e dato il suo estro creativo, accompagnato dall'inseparabile Clement, già nel 2014 il filmmaker scrive, dirige e interpreta insieme all'amico e collega il meraviglioso What We Do in the Shadow. Sorvolando questa volta sulle vene drama, Waititi e Clement decidono di scavare più a fondo nella commedia, contaminandola però con il genere horror e girando il tutto in stile mokumentary. La storia del film è ambientata a Wellington e segue una troupe televisiva che deve girare un documentario su un gruppo di vampiri coinquilini, tali Viago, Vladislav, Deacon e Patyr. Ricco di spirito e battute pungenti, tra doppi sensi ricercati e alcune trovate artiginali interessanti, What We Do in the Shadow colpisce immediatamente tutti per la sua verve comica e l'originalità, vincendo anche il premio alla miglior sceneggiatura al nostro Torino Film Festival. Waititi cresce così film dopo film, raggiungendo la sua maturità artistica ed esprimendo il suo lavoro tra risate e sentimento, e il simpatico e toccante Selvaggi in fuga con Sam Neill non si distacca da questo suo specifico credo autoriale, regalando anzi forse la massima espressione dello stesso in termini stilistici e nei toni, a volte davvero surreali e molto vicini in questo caso a quelli di Wes Anderson. Un percorso registico che ha portato quindi l'autore neo-zelandese dalle ombre dell'orrore ai boschi dell'avventura, sempre con quel sorriso sornione in faccia, lo stesso che mai è scomparso anche durante le riprese dell'atteso Thor: Ragnarok, passo decisivo verso il Valhalla hollywoodiano.

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