Spider-Man: No Way Home è il cinecomic più emozionante di sempre

L'importanza assoluta di No Way Home per Peter Parker è la stessa per noi, fan di sempre dell'Arrampicamuri che siamo cresciuti con lui.

Spider-Man: No Way Home è il cinecomic più emozionante di sempre
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Alzi la mano chi non ha mai provato a sparare ragnatele dal proprio polso. O chi non si è abbarbicato sul bordo del divano nella classica posa ragnesca, pronto a spiccare un balzo nel vuoto sognando di indossare quel costume. E poco importava che sotto ci fossero solo trenta centimetri e poi il pavimento di casa. Noi saltavamo lo stesso. Ed è proprio questo che fa Spider-Man: No Way Home: salta nel vuoto sperando di afferrarci tutti al volo. E già che ci siete fate un salto anche voi nella nostra recensione di Spider-Man No Way Home.

Perché noi volteggiamo con il film, trascinati tra passato, presente e futuro di uno dei nostri supereroi preferiti. Quello con cui siamo cresciuti, che ci ha sempre fatti sentire meno soli insegnando cosa significa davvero essere un eroe, persino nelle piccole cose. Ecco, No Way Home rappresenta il tassello emotivo finale di una maturazione psicologica collettiva. Quella di tutte le persone che alle feste in maschera da piccoli volevano sempre vestirsi da Spider-Man. E lo vorrebbero ancora.

Spider-Man: No Way Home è ciò che siamo

E ora però come lo spieghiamo cosa significa diventare adulti con Spider-Man? Anzi, diventarli anche grazie a Spider-Man, visto che No Way Home è anche una grande lezione di etica. Perché tutto è partito con i fumetti, sbocconcellando storie qua e là da piccoli, guardando la serie animata e infine sedendosi al buio della sala per il primo film di Raimi.

Da quel momento nulla è stato più lo stesso. Abbiamo capito che il nostro amichevole arrampicamuri di quartiere poteva "esistere", diventando un'icona da consumare tutte le volte che ne avremmo avuto bisogno. Poi lo abbiamo dovuto abbandonare con un passaggio di testimone da un Peter all'altro. E in quel momento si è inceppato qualcosa. Peter c'era sempre, forse addirittura più di prima. Mancava quasi tutto il resto. Però sono entrambi rimasti, assieme a villain che nel bene e nel male hanno lasciato un solco nei nostri pugni, stretti sulla tela che ci collegava allo schermo. Perché poi il Marvel Cinematic Universe ha reso possibile praticamente tutto, un nuovo Peter che ancora doveva esserlo, l'ennesimo inizio da zero che questa volta sapevamo sarebbe durato per sempre. C'era però una cosa che era veramente impossibile immaginare. Cioè riabbracciare il passato. E farlo tutti assieme.

La nostalgia della sala

Eravamo tutti lì, terrorizzati, immobili. Avendo schivato ogni spoiler possibile, o morendo nel tentativo. La sala pulsava. Perché Spider-Man: No Way Home stava facendo qualcosa che era riuscito giusto a Endgame. Ma forse senza la stessa partecipazione emotiva. Ci aveva riportati tutti lì, a darci di gomito nella stanza con gli occhi grandissimi che battevano forte. Aspettando con il fiato stretto in gola.

E poi, lentamente, succede. Iniziano ad arrivare. Prima quelli di cui eravamo già sicuri. Che sembrano averci lasciato soltanto ieri, tanto era forte l'eco che ancora risuonava. E poi, beh, loro. Il momento esatto in cui il Peter Parker di Andrew Garfield si è tolto la maschera ha cambiato ogni cosa. Come se qualcuno nella soffitta polverosa del nostro cuore avesse trovato un vecchio disegno un po' sgualcito e poi fosse sceso in cucina appiccicandolo sul frigo: solo in quel momento ci siamo resi conto di quanto ci era mancato. Vorremmo solo entrare nello schermo e abbracciarlo.

Garfield è letteralmente Peter Parker. Testa, cuore e spirito. Ci fa credere che è davvero tutto possibile. E con Tobey crollano gli argini. Arriva come a dire che non se n'è mai davvero andato. E noi vorremmo semplicemente non lasciarli per nessun motivo al mondo.

Tobey, Andrew e Tom

C'è sempre stato un "problema" per lo Spider-Man del Marvel Cinematic Universe. Cioè che non lo fosse ancora, non veramente. Gli mancava uno zio Ben, uno qualsiasi. Un errore dettato dall'immaturità pagato carissimo con il sangue, che lo portasse a essere finalmente quello per cui era nato. E Spider-Man: No Way Home è l'enorme zio Ben del Peter di Tom Holland.

Ricorda a tutti noi come si dovrebbe affrontare un dolore che ti avvelena e ti mangia da dentro. La morte di zia May è la pugnalata momentanea che sporca Peter di rabbia, ma è tutto il grande errore a cui Strange pone rimedio a trasformarlo definitivamente nel nostro amichevole Spider-Man di quartiere. La lenta presa di coscienza di un nuovo inizio è collettiva, quando i saluti svaniscono e non c'è più un altro giorno. Ma il lascito emotivo è lo stesso per Peter e per noi. Quello che ci fa capire l'importanza del passato, e dell'utilizzo che bisogna farne per fare il passo più difficile di tutti. Il primo. E forse serviva davvero ritrovare due vecchi amici per salutarli un'ultima volta, stringendoli forte visto che è anche grazie a loro se siamo arrivati fin qua. Rialzandoci sempre, anche quando sembrava impossibile. Non bisognerebbe vivere sempre di ricordi, ma quando un film te li fa abbracciare incrociando le dita dietro la schiena senza volerli lasciare mai, beh, tutto il resto passa davvero in secondo piano. Anche se alla fine abbiamo gli occhi lucidi perché devono andare via.

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