Spider-Man: Homecoming è un grande film, soprattutto dopo No Way Home

A quattro anni dall'uscita del solo reboot ufficiale di Spidey nel Marvel Cinematic Universe, riviviamo insieme le emozioni di un grande teen cinecomic.

Spider-Man: Homecoming è un grande film, soprattutto dopo No Way Home
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Ricordate il Sony Gate? Per i meno navigati o i più dimentichi, si è tratto di un buco nella sicurezza informatica dello studio hollywoodiano, mediante il quale sono trapelate online email private e lavorative di molti executives o creativi coinvolti in diversi progetti della società, tra cui il franchise di Spider-Man. Questo accadeva alla fine del 2014, a pochi mesi dall'uscita nelle sale del deludente The Amazing Spider-Man 2 con Andrew Garfield, titolo che segnò anzitempo la fine del secondo Peter Parker cinematografico a causa di un'accoglienza di pubblico e critica pressoché disastrosa - al netto di un buon incasso e del fatto che forse Garfield è stato il miglior Spider-Man.

In pratica, grazie alla mole di materiale fuoriuscito dal Sony Gate, al tempo fu palese un chiaro problema di natura artistica in quel dello studio, che non sapeva assolutamente come muoversi con il personaggio di Spidey, se proseguire sulla strada mal asfaltata dai film di Marc Webb o cambiare del tutto l'andamento del franchise, arrivando addirittura a pensare allo sviluppo di un film in solitaria dedicato a Zia May.

In mezzo a tanta burrasca, comunque, trapelò anche l'idea di collaborare con i Marvel Studios per inserire finalmente Spider-Man nel MCU, e alla fine si riuscì a realizzare quello che sembrava fino a quel momento impossibile: vedere l'Uomo-Ragno al fianco di Iron Man e Captain America in Civil War - potete farvi mancare la nostra recensione di Captain AmericCivil War?. Un ruolo tutto sommato piccolo e introduttivo, atto a sostituire le origini del personaggio già raccontate due volte al cinema, pronto a tornare sul grande schermo con un nuovo volto e una diversa dimensione in Spider-Man: Homecoming di Jon Watts.

Tra liceo e periferia

Il primo capitolo della nuova trilogia Marvel/Sony dedicata all'Arrampica-Muri del Queens sta ri-spopolando in questi giorni su Netflix grazie all'uscita di Spider-Man: No Way Home in sala, idealmente e pure concretamente conclusione del percorso formativo adolescenziale dell'uomo e del supereroe.

Come già ampiamente approfondito nel nostro speciale sull'etica di Spider-Man, il concetto base di questo terzo e più grande e diverso progetto cinematografico è iniziato proprio con Homecoming nel 2017, un film che al primo impatto ha spiazzato non poco i fan della prima ora di Sam Raimi e pure i detrattori dei titoli di Webb. Spiazzò perché mise candidamente al centro dell'azione e della narrazione la vita liceale modalità generazione Z del Peter del nuovo decennio, quello destinato a divenire cardine importante del MCU, e saldare i legami collaborativi tra due giganteschi studios di Hollywood. L'elemento scolastico e i toni da commedia adolescenziale a tutto tondo erano e restano distanti dal romanticismo drammatico un po' twilightiano della versione Amazing e dalla visione prettamente autoriale con elementi anche orrorifici dello Spider-Man di Raimi, che resta ad oggi il più amato di sempre.

Il cammino verso casa

Un valore da approfondire ed esplorare, questo del teenager, specie guardando alle intenzioni originali di Steve Ditko, ai suoi racconti e alle sue tavole.

Un qualcosa che in effetti nei precedenti lavori era mancato o non era stato affrontato con criterio, sicuramente non costruendoci sopra un'intera impalcatura narrativa solida e ben ragionata, capace anche di andarsi a intersecare con gli eventi del MCU in modo encomiabile, addirittura arrivando a costruirci intorno e sulle macerie - letterali - della Battaglia di New York uno dei migliori villain dell'Universo Condiviso, l'Avvoltoio interpretato da un magnetico Michael Keaton. Col senno di poi e guardando soprattutto al terzo capitolo della saga (scopritelo leggendo la nostra recensione di Spider-Man No Way Home), risulta evidente come Homecoming fosse soltanto una piccola parte di un romanzo di formazione in tre parti, se vogliamo persino fuorviante nel farci credere che Peter avesse già ricevuto la grande lezione sui poteri e le responsabilità e che il suo coming of age fosse soprattutto umano o all'interno della coralità degli Avengers.

Sapientemente, invece, Chris McKenna, Jon Watts ed Erik Sommers sono riusciti con Homecoming a dare soltanto un assaggio della crescita del personaggio, mettendolo davanti a difficoltà tutto sommato alla sua portata - a questo punto non potete non rispolverare la nostra recensione di Spider-Man Homecoming. Sia in chiave amorosa che supereroistica, infatti, pensando a un nemico molto umano e senza poteri, forte degli scarti armamentari degli alieni e anche a un'azione che mai si svolge nel cuore di New York, ma solo ed esclusivamente in periferia, con Peter a volte persino in difficoltà nel muoversi tra i giardini delle villette a schiera o nei lunghi prati dei giardini pubblici con pochi alberi.

Un modo intelligente e riuscito per relegare Spider-Man alla sua culla iniziale, eroe amichevole e di quartiere, e trasportarlo da lì in poi lungo un tragitto d'evoluzione che dallo spazio alla cancellazione dall'esistenza lo ha infine condotto a gironzolare per il meraviglioso skyline di New York City, un vero e grande ritorno a casa, quello definitivo.

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