Spider-Man al cinema: grandi poteri, grandi responsabilità, grande spettacolo

In attesa di Spider-Man: Homecoming, ripercorriamo l'evoluzione del più grande eroe della Marvel sul grande schermo.

Spider-Man al cinema: grandi poteri, grandi responsabilità, grande spettacolo
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L'excursus di Everyeye sulle versioni cinematografiche degli eroi della Marvel continua con Peter Parker alias Spider-Man, dallo scorso anno parte del Marvel Cinematic Universe e prossimamente in sala con Spider-Man: Homecoming di Jon Watts, dopo le precedenti trasposizioni affidate a registi come Sam Raimi e Marc Webb. Si sconsiglia la lettura di questo articolo a chi non ha visto tutti i precedenti film dedicati al personaggio, usciti tra il 2002 e 2014, e Captain America: Civil War.

Eterno ragazzo

Creato nel 1962 da Stan Lee e Steve Ditko, Peter Parker si è subito distinto dagli altri supereroi, non solo Marvel, in quanto per la prima volta un adolescente - nella maggior parte delle storie viene detto che Peter aveva quindici anni quando è stato morso dal ragno radioattivo che gli ha dato i suoi poteri - era il protagonista e non la semplice spalla dell'eroe adulto, come accaduto in precedenza con Robin o Bucky. Una caratteristica che per certi versi è rimasta intatta: a quasi sessant'anni dal suo debutto cartaceo Peter è ancora giovane (teoricamente under 30, se si aderisce alla regola che un anno nell'universo Marvel equivale a quattro o cinque anni per noi), e le sue preoccupazioni quotidiane, quando non combatte il crimine, sono rimaste le stesse: sua zia May, le relazioni tormentate con Gwen Stacy prima e Mary Jane Watson adesso e la situazione lavorativa tutt'altro che rosea. Un'apparente staticità occasionalmente messa alla prova, in particolare nella versione fumettistica di Civil War dove Peter accetta di rivelare la sua identità segreta in mondovisione, ma solitamente senza sconvolgimenti epocali, almeno fino agli ultimi anni segnati da alcune storyline particolarmente controverse, principalmente One More Day (dove Peter scende a patti col diavolo per salvare zia May, rinunciando al matrimonio con Mary Jane) e il mensile The Superior Spider-Man dove Parker muore e il suo corpo è abitato dalla mente di Otto Octavius, alias Doctor Octopus. Nel complesso le caratteristiche essenziali sono sempre le stesse, anche al cinema.

"Non sei mica Superman"

La frase di cui sopra, pronunciata da Zia May (Rosemary Harris) nei confronti di Peter (Tobey Maguire) nel primo Spider-Man cinematografico di Sam Raimi, non è una semplice frecciatina nei confronti della storica rivale della Marvel, la DC Comics, ma il riassunto perfetto dell'appeal del personaggio: nonostante i suoi poteri straordinari, è pur sempre innegabilmente umano. Ed è su quell'aspetto che si concentra maggiormente Raimi al primo giro, sacrificando un po' la componente "super" - soprattutto a livello visivo - per restituirci un ottimo dramma adolescenziale incentrato sui problemi di Peter, roso dai sensi di colpa per la morte di suo zio Ben (autore del celebre motto di Spider-Man, "Da grandi poteri derivano grandi responsabilità"), impacciato con le ragazze e, per quanto intelligente, lontano dallo statuto di genio che ha nei fumetti (nella versione di Raimi le sue ragnatele sono organiche). Questo è complessivamente il modello che molti film di supereroi seguono ancora oggi per la origin story, tenendo da parte le cartucce più potenti per un eventuale sequel. Così ha fatto anche Raimi: Spider-Man 2, più maturo e adrenalinico, coniuga perfettamente l'intimo - principalmente l'amore difficile con Mary Jane (Kirsten Dunst) - e l'epico (vedi il combattimento sul treno). Anticipando di un anno Batman Begins, Raimi e Maguire danno la prima vera prova del potenziale drammatico "autoriale" del cinecomic.

Balli oscuri

Dopo il trionfo, il tonfo (per così dire): pur incassando quasi un miliardo di dollari al box office globale, Spider-Man 3 non va particolarmente giù ai fan, delusi da una trama a dir poco bulimica a base di tre antagonisti (di cui il migliore, Sandman, è paradossalmente legato all'elemento narrativo più sacrilego, la riscrittura dell'omicidio di Ben Parker). Non aiuta neanche la caratterizzazione di Peter Parker, sottoposto ad un trattamento dark giustificato nel contesto del film (anche nei fumetti Peter è talvolta tentato da metodologie meno nobili, soprattutto quando affronta Green Goblin) ma eseguito in modo piuttosto maldestro, in particolare nella famigerata sequenza dove il protagonista cerca di emulare con pose ridicole il John Travolta ballerino de La febbre del sabato sera. Una parentesi dalla vita breve ma sufficiente a diluire considerevolmente l'apprezzamento globale della trilogia di Raimi, il quale si è allontanato dal quarto episodio in seguito a divergenze creative con la Sony. La reinvenzione era dietro l'angolo...

Ragno seriale

Con The Amazing Spider-Man si torna al liceo con un Peter più cool, incarnato da Andrew Garfield. Il regista Marc Webb, proveniente dal cinema indipendente, è più a suo agio con il lavoro sui personaggi che con le sequenze action, e difatti il suo dittico è notevole per la storyline romantica con protagonisti Peter e Gwen Stacy (Emma Stone), destinata a chiudersi tragicamente nel secondo film con la morte di lei. Un dettaglio di non poco conto che però non basta a rendere quello di Garfield uno Spider-Man radicalmente diverso: a livello narrativo il primo episodio si discosta dal prototipo di Raimi principalmente tramite alcuni personaggi, ma la trama ricalca pesantemente la formula del predecessore, nonostante le promesse dei trailer circa la "untold story" del supereroe. Una storia che doveva attraversare più episodi, secondo un piano con il quale Sony intendeva rivaleggiare con il Marvel Cinematic Universe, creando una trama orizzontale capace di giustificare, sulla carta, almeno quattro film. Così non è stato, e Garfield ha appeso il costume al chiodo dopo The Amazing Spider-Man 2, che pone le basi per i capitoli successivi con una logica strettamente televisiva, ignorando la necessità di rendere il singolo film un'unità drammatica a sé. E così ci congediamo dall'eroe in pieno combattimento, con lui che torna alla carica dopo essersi ripreso dal trauma della morte di Gwen. In un certo senso, una chiusura logica: i tempi cambiano, Spider-Man no.

E guerra civile fu

Dopo la cancellazione del franchise di Webb viene stretto un accordo tra la Sony e la Marvel per inserire Peter nel Marvel Cinematic Universe, a partire da Captain America: Civil War. È lì che incontriamo nuovamente un Parker teenager, con il volto di Tom Holland e l'entusiasmo del debuttante, contraltare ideale alla stanchezza dei veterani Tony Stark (Robert Downey Jr.) e Steve Rogers (Chris Evans), avversari in una lotta durissima dalla quale uscirà per lo più incolume solo Peter, in attesa di vederlo nuovamente in azione (e in contrapposizione a Stark) in Homecoming, film che dovrebbe sottolineare maggiormente l'elemento liceale, rimasto sullo sfondo nelle precedenti versioni. Ora non ci resta che aspettare per conoscere il futuro del nuovo "Bimbo Ragno", mentre la Sony è già al lavoro su un'alternativa: un lungometraggio animato, previsto per il 2018 e con protagonista Miles Morales, erede di Peter nell'Ultimate Universe fumettistico.

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