Shang-Chi ha i migliori combattimenti del MCU, tra arti marziali e wuxia
Nello spettacolare cinecomic diretto da Destin Daniel Cretton ci sono quattro sequenze d'azione coreografate e dirette con mano ineccepibile. Parliamone.
Forse grazie al nuovo modello distributivo (cinema e dopo 45 giorni su Disney+ senza costi aggiuntivi), forse perché in effetti Shang-Chi e la Leggenda dei Dieci Anelli di Destin Daniel Cretton è una bella e gradita sorpresa, il nuovo cinecomic Marvel Studios si sta comportando divinamente al box office mondiale. Specie in patria, il film con protagonista Simu Liu sta registrando incassi significativi: Shang Chi ha battuto persino un record detenuto da Halloween per ben 14 anni, triplicando il risultato dell'horror di Rob Zombie con 94 milioni di dollari. Un successo tanto economico quanto di sostanza e qualità, essendo stato accolto dal plauso convinto e caloroso di pubblico e critica un po' ovunque, compreso il nostro (come potete leggere nella recensione di Shang-Chi e la Leggenda dei Dieci Anelli).
In effetti, la new entry del Marvel Cinematic Universe è davvero un prodotto energico e portentoso sotto molti punti di vista, primo su tutti un sensazionale comparto action. Sorvolando infatti sull'importanza del titolo in termini d'inclusività e d'impatto culturale in chiave mainstream, ma anche sulla dimensione emozionale da pater familias del Mandarino di un bravissimo Tony Leung, Shang-Chi vive, respira e trasuda veemenza e spettacolarità soprattutto negli scontri corpo a corpo, primo valore ineccepibile del cinecomic e punto di partenza concettuale del suo sviluppo.
La danza del Mandarino in Shang-Chi e la Leggenda dei Dieci Anelli
Il primo impatto con l'azione di Shang-Chi è già un portento. Il prologo del film è infatti tutto dedicato a Wenwu e alla sua storia, da feroce condottiero conquistatore a leader dei Dieci Anelli. Se esiste il colpo di fulmine, il suo salto da cavallo per entrare in battaglia contro un intero esercito avversario deve essere per forza amore. Cretton si tiene stretto al corpo di Tony Leung, fluendo con la telecamera insieme a lui in un piccolo piano sequenza (immerso in una necessaria CGI) che lo vede scontrarsi contro i suoi nemici sfruttando il potere delle armi saldate agli avambracci, estraibili come fruste e anche lanciabili.
La scena permette allo spettatore di entrare subito nella profondità coreografica e registica del film, che poi esplode in un impeto di eleganza e poesia nell'incontro tra il Mandarino e la sua futura moglie, Jiang Li. Qui si fa prepotente e primaria la delicata ispirazione wuxia ("cappa e spada") del film, con questo scontro leggiadro tra i due che di fatto è come una danza d'accoppiamento, un modo di conoscersi e studiarsi fino a innamorarsi. Sono come acqua e vento, Wenwu e Jiang Li: si sfiorano e si toccano con naturale dolcezza, ripresi da un Cretton dalla visione romantica e consapevole del da farsi: quando inserire il giusto rallenty, quando accelerare il combattimento. È davvero la prima stanza d'azione di una poesia cinematografica che il Marvel Cinematic Universe non aveva mai sperimentato. Ed è gloriosa ed emozionante nella sua fine meraviglia stilistica.
Come Jackie Chan
Dal wuxia riletto in chiave occidentale e mainstream, il film passa poi a uno sguardo citazionista rispetto agli anni '90 con la fenomenale sequenza del bus a San Francisco. Il primo riferimento che viene in mente è al Mr. Nice Guy con il mitico Jackie Chan, cosa peraltro vera, dato che il coreografo di Shang-Chi è il leggendario Andy Cheng, uno dei membri più prominenti dello stunt team dello stesso attore.
E lo abbiamo già detto in recensione, ma fa bene ripeterlo: per espressione e agilità, Simu Liu rappresenta di per sé un nuovo Jackie Chan della generazione millennial, elemento che traspare poi in tutta la sua forza proprio in questa sequenza, la cui virtù principale è l'utilizzo al dettaglio di ogni centimetro del campo di scontro.
Due dettagli sono importanti: il movimento e la struttura. Shang-Chi è un titolo che, pur sfruttando un'ottima CGI per coadiuvare il risultato su schermo dell'azione, basa molto del suo lavoro sulla preparazione dei combattimenti e sull'impalcatura della scena.
In questo caso, il bus risulta uno stretto e affollato corridoio dove è necessario sapersi muovere, e Cretton sfrutta al 100% insieme all'aiuto di Cheng ogni piccola parte del veicolo per creare una storia all'interno dello scontro, come un percorso in costante evoluzione. È così che l'azione è concepita di base nel cinema orientale, ed è in realtà così che dovrebbe nascere e crescere un racconto in senso diegetico con un combattimento. Il regista conosce poi la sua tradizione e i film da citare (nel particolare c'è appunto Mr. Nice Guy, ma anche The Raid e soprattutto Old Boy) e tra interno ed esterno, cambi di visuale, spostamenti e prima esplosione muscolare di Simu Liu, Cretton confeziona un'impressionante ed elaborata sequenza cinematografica che alza non poco l'asticella della resa action su schermo del cinema Marveliano.
Shang-Chi in verticale
Tempo di alzare l'asticella, comunque, che il regista riesce a raggiungerla nuovamente trasferendosi a Macau. Ci troviamo "nel regno" della sorella di Shang-Chi, Xialing, e l'arrivo dell'esercito dei Dieci Anelli costringe i due alla fuga insieme a Katy. Shang-Chi sfonda la vetrata e si porta all'esterno, aggrappandosi a una gigantesca impalcatura di bambù che copre l'intera facciata dell'edificio.
È proprio questo il terreno di scontro tra il protagonista e i Dieci Anelli, con l'aggiunta di una distrazione che rende ancora più rocambolesco un combattimento studiato in verticale e carico di complessità e dettagli. Lo spazio ridotto voluto dal regista costringe le coreografie a le telecamere a trovare respiro in soluzioni tecniche e stilistiche virtuose, che sfruttano piccoli piani sequenza, movimenti in asse verticale e distacchi in campo lungo che calibrano alla perfezione ritmi e tempistiche della sequenza, creando un mordente non indifferente sul grande pubblico, che viene catturato e immerso nella scena.
È anche la prima volta che vediamo combattere fianco a fianco Shang-Chi e Xialing, il loro duetto in arte marziale è il punto di svolta narrativo della sequenza, almeno fino all'arrivo del braccio destro del Mandarino. Qui il racconto dell'azione si sposta nuovamente all'interno dell'edificio, arrivando fino a un micidiale corpo a corpo tra Shang-Chi e il sicario dei Dieci Anelli che sembra anche guardare allo Skyfall di Sam Mendes, creando un gioco di luci e ombre di grande impatto visivo. Siamo a metà del secondo atto del film e questa di Macau è la terza scena madre action pensata, coreografata, inquadrata e rifinita con dedizione maniacale da Destin Daniel Cretton, Andy Cheng e dal direttore della fotografia William Pope. Ma non è l'ultima.
La Marvel viaggia in oriente
Il terzo e conclusivo atto di Shang-Chi e la Leggenda dei Dieci Anelli sembra cambiare poderosamente la caratura fantasy del titolo, miscelando insieme uno dei classici essenziali della letteratura cinese (Il viaggio in Occidente) con sensibilità direttamente provenienti dagli anime giapponesi. E no, non è un'esagerazione, considerando che è la stessa sceneggiatura a mettere in bocca a Katy la parola "kamehameha" per spiegare nel modo più chiaro possibile l'esplosione di energia finale generata da uno Shang-Chi ormai in possesso dei dieci anelli e in grado di cavalcare (sì, cavalcare!) il drago.
Ma in questo spazio non vogliamo discutere di questo particolare aspetto, oppure di come la presenza di strani animali fantasiosi abbia convinto qualche astante in sala che la Marvel stesse citando per chissà quale motivo i Pokémon di casa Nintendo. L'intenzione è quella di parlare dell'evoluzione dello scontro finale tra Shang-Chi e Wenwu, creata non solo come faccia a faccia fisico conclusivo ma anche e soprattutto come confronto decisivo tra padre e figlio.
La coreografia resta eccezionale e la prima parte dell'incontro vede il Mandarino attaccare con i suoi dieci anelli e Shang-Chi rispondere con un bastone realizzato con scaglie di drago. L'intenzione di Wenwu è allontanare il ragazzo per raggiungere il portale al centro di Ta Lo, quella di Shang-Chi è uccidere il padre. Il confronto è intenso e la chiave psicologica spinge il Mandarino ad avere la meglio, sommerso da rabbia, sensi di colpa e un malsano obiettivo da perseguire.
Quando il protagonista torna ad affrontare nuovamente il padre davanti al portale, poi, le cose cambiano. Shang-Chi sembra aver fatto finalmente propri gli insegnamenti della madre e della zia Jiang Nan, aprendo finalmente il suo cuore all'arte marziale di Ta Lo, concepita e raffinata nel corso dei millenni per essere difesa e risposta, non attacco. Lo si nota dalle mani aperte di Shang-Chi che lottano contro i pugni chiusi di Wenwu: apertura al nuovo contro chiusura a tutto. Qui Cretton e Cheng sembrano invece guardare al valore narrativo nell'azione di Kung Fu Panda, dove il protagonista fa proprie alcune lezioni di vita per riversarle poi nell'arte marziale. E infatti i suoi movimenti cambiano e diventano più sinuosi e fluidi, come se dovessero adattarsi all'aria che lo circonda per dominare il terreno di scontro. Qui il regista si fa più insistente sull'aggressività del Mandarino e ripropone in chiave meno poetica la "danza" dell'inizio, come a chiudere un cerchio intorno alla verità che la Famiglia e l'amore sono destinate a sconfiggere la parte più marcia dell'uomo.
È però solo quando i dieci anelli scelgono il loro naturale possessore che Wenwu sembra aprire gli occhi. Un incontro che rispetto ai precedenti non vuole puntare alla poesia, al citazionismo o al virtuosismo, perché il cuore è l'emozione e il senso stesso della vita raccontati da prospettive diverse che per forza di cose arrivano a collidere. Nel caso particolare, lo fanno negli ultimi istanti del Mandarino, quando non ripensa alla sua intera esistenza millenaria (vuota, fatta di sangue, conquiste e dolore) ma alla pienezza della vita raggiunta solo dopo l'incontro con Jiang Li e la nascita di Shang-Chi. E poi ai suoi peccati, scegliendo di redimerli con il sacrificio e lasciando in eredità praticamente se stesso al figlio.
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Shang-Chi ha i migliori combattimenti del MCU, tra arti marziali e wuxia
Nello spettacolare cinecomic diretto da Destin Daniel Cretton ci sono quattro sequenze d'azione coreografate e dirette con mano ineccepibile. Parliamone.
Forse grazie al nuovo modello distributivo (cinema e dopo 45 giorni su Disney+ senza costi aggiuntivi), forse perché in effetti Shang-Chi e la Leggenda dei Dieci Anelli di Destin Daniel Cretton è una bella e gradita sorpresa, il nuovo cinecomic Marvel Studios si sta comportando divinamente al box office mondiale. Specie in patria, il film con protagonista Simu Liu sta registrando incassi significativi: Shang Chi ha battuto persino un record detenuto da Halloween per ben 14 anni, triplicando il risultato dell'horror di Rob Zombie con 94 milioni di dollari. Un successo tanto economico quanto di sostanza e qualità, essendo stato accolto dal plauso convinto e caloroso di pubblico e critica un po' ovunque, compreso il nostro (come potete leggere nella recensione di Shang-Chi e la Leggenda dei Dieci Anelli).
In effetti, la new entry del Marvel Cinematic Universe è davvero un prodotto energico e portentoso sotto molti punti di vista, primo su tutti un sensazionale comparto action. Sorvolando infatti sull'importanza del titolo in termini d'inclusività e d'impatto culturale in chiave mainstream, ma anche sulla dimensione emozionale da pater familias del Mandarino di un bravissimo Tony Leung, Shang-Chi vive, respira e trasuda veemenza e spettacolarità soprattutto negli scontri corpo a corpo, primo valore ineccepibile del cinecomic e punto di partenza concettuale del suo sviluppo.
La danza del Mandarino in Shang-Chi e la Leggenda dei Dieci Anelli
Il primo impatto con l'azione di Shang-Chi è già un portento. Il prologo del film è infatti tutto dedicato a Wenwu e alla sua storia, da feroce condottiero conquistatore a leader dei Dieci Anelli. Se esiste il colpo di fulmine, il suo salto da cavallo per entrare in battaglia contro un intero esercito avversario deve essere per forza amore. Cretton si tiene stretto al corpo di Tony Leung, fluendo con la telecamera insieme a lui in un piccolo piano sequenza (immerso in una necessaria CGI) che lo vede scontrarsi contro i suoi nemici sfruttando il potere delle armi saldate agli avambracci, estraibili come fruste e anche lanciabili.
La scena permette allo spettatore di entrare subito nella profondità coreografica e registica del film, che poi esplode in un impeto di eleganza e poesia nell'incontro tra il Mandarino e la sua futura moglie, Jiang Li. Qui si fa prepotente e primaria la delicata ispirazione wuxia ("cappa e spada") del film, con questo scontro leggiadro tra i due che di fatto è come una danza d'accoppiamento, un modo di conoscersi e studiarsi fino a innamorarsi. Sono come acqua e vento, Wenwu e Jiang Li: si sfiorano e si toccano con naturale dolcezza, ripresi da un Cretton dalla visione romantica e consapevole del da farsi: quando inserire il giusto rallenty, quando accelerare il combattimento. È davvero la prima stanza d'azione di una poesia cinematografica che il Marvel Cinematic Universe non aveva mai sperimentato. Ed è gloriosa ed emozionante nella sua fine meraviglia stilistica.
Come Jackie Chan
Dal wuxia riletto in chiave occidentale e mainstream, il film passa poi a uno sguardo citazionista rispetto agli anni '90 con la fenomenale sequenza del bus a San Francisco. Il primo riferimento che viene in mente è al Mr. Nice Guy con il mitico Jackie Chan, cosa peraltro vera, dato che il coreografo di Shang-Chi è il leggendario Andy Cheng, uno dei membri più prominenti dello stunt team dello stesso attore.
E lo abbiamo già detto in recensione, ma fa bene ripeterlo: per espressione e agilità, Simu Liu rappresenta di per sé un nuovo Jackie Chan della generazione millennial, elemento che traspare poi in tutta la sua forza proprio in questa sequenza, la cui virtù principale è l'utilizzo al dettaglio di ogni centimetro del campo di scontro.
Due dettagli sono importanti: il movimento e la struttura. Shang-Chi è un titolo che, pur sfruttando un'ottima CGI per coadiuvare il risultato su schermo dell'azione, basa molto del suo lavoro sulla preparazione dei combattimenti e sull'impalcatura della scena.
In questo caso, il bus risulta uno stretto e affollato corridoio dove è necessario sapersi muovere, e Cretton sfrutta al 100% insieme all'aiuto di Cheng ogni piccola parte del veicolo per creare una storia all'interno dello scontro, come un percorso in costante evoluzione. È così che l'azione è concepita di base nel cinema orientale, ed è in realtà così che dovrebbe nascere e crescere un racconto in senso diegetico con un combattimento. Il regista conosce poi la sua tradizione e i film da citare (nel particolare c'è appunto Mr. Nice Guy, ma anche The Raid e soprattutto Old Boy) e tra interno ed esterno, cambi di visuale, spostamenti e prima esplosione muscolare di Simu Liu, Cretton confeziona un'impressionante ed elaborata sequenza cinematografica che alza non poco l'asticella della resa action su schermo del cinema Marveliano.
Shang-Chi in verticale
Tempo di alzare l'asticella, comunque, che il regista riesce a raggiungerla nuovamente trasferendosi a Macau. Ci troviamo "nel regno" della sorella di Shang-Chi, Xialing, e l'arrivo dell'esercito dei Dieci Anelli costringe i due alla fuga insieme a Katy. Shang-Chi sfonda la vetrata e si porta all'esterno, aggrappandosi a una gigantesca impalcatura di bambù che copre l'intera facciata dell'edificio.
È proprio questo il terreno di scontro tra il protagonista e i Dieci Anelli, con l'aggiunta di una distrazione che rende ancora più rocambolesco un combattimento studiato in verticale e carico di complessità e dettagli. Lo spazio ridotto voluto dal regista costringe le coreografie a le telecamere a trovare respiro in soluzioni tecniche e stilistiche virtuose, che sfruttano piccoli piani sequenza, movimenti in asse verticale e distacchi in campo lungo che calibrano alla perfezione ritmi e tempistiche della sequenza, creando un mordente non indifferente sul grande pubblico, che viene catturato e immerso nella scena.
È anche la prima volta che vediamo combattere fianco a fianco Shang-Chi e Xialing, il loro duetto in arte marziale è il punto di svolta narrativo della sequenza, almeno fino all'arrivo del braccio destro del Mandarino. Qui il racconto dell'azione si sposta nuovamente all'interno dell'edificio, arrivando fino a un micidiale corpo a corpo tra Shang-Chi e il sicario dei Dieci Anelli che sembra anche guardare allo Skyfall di Sam Mendes, creando un gioco di luci e ombre di grande impatto visivo. Siamo a metà del secondo atto del film e questa di Macau è la terza scena madre action pensata, coreografata, inquadrata e rifinita con dedizione maniacale da Destin Daniel Cretton, Andy Cheng e dal direttore della fotografia William Pope. Ma non è l'ultima.
La Marvel viaggia in oriente
Il terzo e conclusivo atto di Shang-Chi e la Leggenda dei Dieci Anelli sembra cambiare poderosamente la caratura fantasy del titolo, miscelando insieme uno dei classici essenziali della letteratura cinese (Il viaggio in Occidente) con sensibilità direttamente provenienti dagli anime giapponesi. E no, non è un'esagerazione, considerando che è la stessa sceneggiatura a mettere in bocca a Katy la parola "kamehameha" per spiegare nel modo più chiaro possibile l'esplosione di energia finale generata da uno Shang-Chi ormai in possesso dei dieci anelli e in grado di cavalcare (sì, cavalcare!) il drago.
Ma in questo spazio non vogliamo discutere di questo particolare aspetto, oppure di come la presenza di strani animali fantasiosi abbia convinto qualche astante in sala che la Marvel stesse citando per chissà quale motivo i Pokémon di casa Nintendo. L'intenzione è quella di parlare dell'evoluzione dello scontro finale tra Shang-Chi e Wenwu, creata non solo come faccia a faccia fisico conclusivo ma anche e soprattutto come confronto decisivo tra padre e figlio.
La coreografia resta eccezionale e la prima parte dell'incontro vede il Mandarino attaccare con i suoi dieci anelli e Shang-Chi rispondere con un bastone realizzato con scaglie di drago. L'intenzione di Wenwu è allontanare il ragazzo per raggiungere il portale al centro di Ta Lo, quella di Shang-Chi è uccidere il padre. Il confronto è intenso e la chiave psicologica spinge il Mandarino ad avere la meglio, sommerso da rabbia, sensi di colpa e un malsano obiettivo da perseguire.
Quando il protagonista torna ad affrontare nuovamente il padre davanti al portale, poi, le cose cambiano. Shang-Chi sembra aver fatto finalmente propri gli insegnamenti della madre e della zia Jiang Nan, aprendo finalmente il suo cuore all'arte marziale di Ta Lo, concepita e raffinata nel corso dei millenni per essere difesa e risposta, non attacco. Lo si nota dalle mani aperte di Shang-Chi che lottano contro i pugni chiusi di Wenwu: apertura al nuovo contro chiusura a tutto. Qui Cretton e Cheng sembrano invece guardare al valore narrativo nell'azione di Kung Fu Panda, dove il protagonista fa proprie alcune lezioni di vita per riversarle poi nell'arte marziale. E infatti i suoi movimenti cambiano e diventano più sinuosi e fluidi, come se dovessero adattarsi all'aria che lo circonda per dominare il terreno di scontro. Qui il regista si fa più insistente sull'aggressività del Mandarino e ripropone in chiave meno poetica la "danza" dell'inizio, come a chiudere un cerchio intorno alla verità che la Famiglia e l'amore sono destinate a sconfiggere la parte più marcia dell'uomo.
È però solo quando i dieci anelli scelgono il loro naturale possessore che Wenwu sembra aprire gli occhi. Un incontro che rispetto ai precedenti non vuole puntare alla poesia, al citazionismo o al virtuosismo, perché il cuore è l'emozione e il senso stesso della vita raccontati da prospettive diverse che per forza di cose arrivano a collidere. Nel caso particolare, lo fanno negli ultimi istanti del Mandarino, quando non ripensa alla sua intera esistenza millenaria (vuota, fatta di sangue, conquiste e dolore) ma alla pienezza della vita raggiunta solo dopo l'incontro con Jiang Li e la nascita di Shang-Chi. E poi ai suoi peccati, scegliendo di redimerli con il sacrificio e lasciando in eredità praticamente se stesso al figlio.
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