Seven, Zodiac e Millennium: la trilogia della biblioteca di David Fincher

Per il nostro viaggio nella filmografia di David Fincher analizziamo la Trilogia della Biblioteca composta da Seven, Zodiac e Millennium.

Seven, Zodiac e Millennium: la trilogia della biblioteca di David Fincher
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Nei due macro-filoni della filmografia di David Fincher possiamo evidenziare come The Social Network, Gone Girl e l'ultimo arrivato Mank rappresentino una ideale trilogia tematica sulla post-verità, basata sulla manipolazione della realtà e il rapporto di sudditanza che esiste tra fatti oggettivi e opinione pubblica.
Questa nostra analisi individua invece quella che abbiamo ribattezzato Trilogia della Biblioteca ed è composta dal trittico di pellicole di cui fanno parte Seven, Zodiac e Millennium, il remake che Fincher ha diretto basandosi sulla celebre saga di thriller svedesi Uomini che odiano le donne.
Vero e proprio contraltare tematico della Trilogia della Post-verità, la Trilogia della Biblioteca è costantemente alla ricerca di verità inconfutabili nei libri, negli archivi, nelle biblioteche appunto, luoghi analogici e tangibili non manipolabili col digitale e quindi contenitori di segreti sepolti da tempo ma indissolubili.

Indagini d'archivio

Che siano nomi di persone o di antichi volumi, perizie calligrafiche o articoli di giornale, vecchie fotografie o retroscena aziendali, questi materiali d'archivio sono in grado di condurre alla verità assoluta perché non compromissori, impossibili da confutare e soprattutto, da oggetti fisici quali sono, lontani dalle post-verità digitali.
Insieme Seven e Zodiac costituiscono il massimo esempio del cinema fincheriano.
I due film sembrano muoversi attraverso le scrivanie e le redazioni care alle pellicole di Alan J. Pakula ma tutta la paranoia serpeggiante degli anni '70 nelle opere di David Fincher sembra ormai deflagrata, spargendosi in giro per gli Stati Uniti come un vaso di Pandora scoperchiato che è andato ad alimentare un mostro fino ad allora solo dormiente. Un mostro che per il cineasta fa parte dell'umanità da sempre, del quale la Storia ha scritto e di cui si possono riscontrare tracce tanto nei libri quanto nei film.
Questi due esempi da mitologia del cinema, generatori di un epigonismo infinito che a quanto pare sfocerà addirittura nel prossimo The Batman, con Matt Reeves che ha dichiarato di voler rifiutare il digitale per il suo Bruce Wayne e farne un investigatore analogico, non sono soltanto degli esempi perfetti da cinema d'indagine vecchio stampo, sono anche una riflessione profonda sull'importanza delle tracce che l'umanità si lascia dietro.

Più che i racconti delle cacce a serial killer o la storia delle persone che li hanno inseguiti, i due film rappresentano l'eterno rapporto dialettico che lega la modernità e il passato.
A connettere gli interlocutori attraverso il passaggio del tempo c'è la posterità, i cui esempi più affidabili vengono sempre conservati nelle biblioteche deserte e silenziose, negli archivi impolverati, nei depositi aperti fino a tarda notte.
In Zodiac, in una delle scene più emblematiche, il personaggio di Robert Downey Jr. rivolgendosi alla televisione di un bar si complimenta con l'ex collega interpretato da Jake Gyllenhaal perché "è andato in biblioteca", una battuta che all'inizio del film veniva utilizzata con toni irrisori ma che assume via via sempre più rilevanza.

Del resto il tempo è il peggior nemico possibile per chi investiga, sempre in Zodiac è il personaggio di Mark Ruffalo che lo sottolinea, spiegando che i ricordi appassiscono e la memoria sbiadisce.
L'inchiostro sui fascicoli però rimane, le locandine dei film conservano prove inconfutabili per le perizie calligrafiche e le diapositive, anche quelle vecchie di decenni, possono celare tutto quello che è stato dimenticato.
In Seven il confronto tra modernità e passato è incarnato dai personaggi di Brad Pitt e Morgan Freeman, uno sbrigativo e sempre in affanno nel perseguire i suoi obiettivi, l'altro meditabondo e affamato di sapere.
In Millennium ci sono Daniel Craig e Rooney Mara a simboleggiare questo tema, e per quanto le vie digitali di Lisbeth Salander siano sempre un passo avanti non riescono comunque a ricomporre il puzzle nella sua interezza.
Sarà la stessa Lisbeth, pilastro della digitalizzazione, ad accettare i metodi di Mikael e scendere tra i vecchi volumi a sfogliare libri contabili fino a tarda notte.
Ancora una volta si scava nel passato, si affonda nei tomi e nei negativi delle foto, si fruga nella penombra degli archivi alla ricerca di verità sepolte e ancora una volta lo si fa con una forza vibrante che sa di certezza: solo tramite quei mezzi analogici si potrà giungere alla risoluzione dell'enigma.
Nella sequenza di montaggio in cui Rooney Mara si muove tra gli scaffali della Vanger c'è l'apoteosi di cosa voglia dire "indagine" per David Fincher e il punto culminante di una trilogia incredibilmente affascinante e preziosa.

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