Robert Pattinson dopo Twilight: l'attore è davvero pronto per Batman?

Robert Pattinson potrebbe diventare il nuovo Batman nel film di Matt Reeves, ma il pubblico ha già deciso che non è adatto al ruolo per colpa di Twilight.

Robert Pattinson dopo Twilight: l'attore è davvero pronto per Batman?
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Che nel 2019 un grandissimo attore come Robert Pattinson debba ancora essere considerato "quello di Twilight", con tutta la supponenza e lo sprezzo che tale definizione si porta dietro, la dice lunga non tanto sulle qualità attoriali di un professionista che negli ultimi undici anni è cresciuto tantissimo, mettendosi continuamente alla prova con ruoli sempre più difficili in progetti sempre più complessi e (spesso e volentieri) bellissimi, quanto purtroppo sui limiti di analisi, di valutazione e di conoscenza del grande pubblico.
Per molti Robert Pattinson è "quello di Twilight". Per alcuni è quello di Good Time. O di Civiltà Perduta. O di The Rover. O de L'Infanzia di un Capo.
Il problema, come sempre, sta nella generalizzazione: chiaramente non possiamo avere sotto mano le statistiche matematiche da presentare a favore della nostra tesi, ma a grandi linee siamo pronti a scommettere che la maggior parte di chi continua a criticare Pattinson nel 2019 - ancora e ancora - lo abbia davvero visto lavorare solo nella saga young adult a tema vampiresco e che ignori totalmente i lavori coi Werner Herzog, i David Cronenberg (x2), i David Michôd, i Brady Corbet, le Claire Denis, i James Gray vari ed eventuali.

L'unica spiegazione a voler continuare a definirlo, nel 2019 - ancora, ancora, ancora - come "quello di Twilight", è che la propria cultura cinematografica sia ferma al 2012, anno di uscita di The Twilight Saga - Breaking Dawn: Parte 2 di Bill Condon. Anzi, al 2011, quando uscì Parte 1, dato che già nel 2012 arrivò la prova in Cosmopolis: non stupisce che un genio del ‘900 come David Cronenberg abbia avuto la lungimiranza di trovare nell'interprete di Edward Cullen il grande attore che era, così tanto nascosto sotto quell'assurdo taglio di capelli e quel colorito smorto, (come un Michelangelo che estrapola le sue opere da un blocco di marmo grossolanamente tagliato), a sorprendere è semmai l'accanimento gratuito che nell'era social fa scadere tutto in protesta.

Il ragionamento è inattaccabile, se ce lo permettete: piaccia o non piaccia come attore, qualora si fossero visti tutti i film della carriera di Pattinson non lo si potrebbe relegare esclusivamente a Twilight, quindi chi si ostina a sostenere il contrario è rimasto indietro coi compiti a casa. Abbiamo perciò pensato di aiutarvi a ripassare, proponendo i migliori ruoli della carriera di Robert Pattinson.


The Rover di David Michôd

Nel post-apocalittico film australiano creato da Michôd, un western sui generis anticipatore dell'osannato Logan di James Mangold (il look di Hugh Jackman è preso in copia e incolla), che nichilisticamente ci racconta una società senza legge che crede ancora negli scambi commerciali dominati dalla valuta cartacea, quello di Pattinson, un fratello abbandonato perché creduto morto e spinto dal protagonista (Guy Pearce) a vendicarsi della propria famiglia, è il ruolo più difficile chiesto dal regista.
In un mondo crudele, spietato e letale come quello in cui Michôd trasporta lo spettatore, Pattinson incarna l'ingenuità, la purezza, mescolandola però con tratti di grigio e nero fatti di sguardi inquietanti, tic nervosi ed espressioni equivoche. È il cuore emotivo di un film che vuole essere senza cuore.


Cosmopolis di David Cronenberg

Il ventesimo (e finora penultimo) film del regista di Videodrome e Crash è probabilmente quello che ha convinto la Warner Bros. a scegliere Pattinson come Bruce Wayne, dato che in Cosmopolis "quello di Twilight" viene chiamato a vestire i panni di un giovane ricco e bellissimo.
Non siamo dalle parti del miglior cinema di Cronenberg ma il film offre comunque spunti incredibilmente interessanti, ed è soprattutto Pattinson ad incarnarli: ogni volta che la trama sembra iniziare a girare a vuoto, il protagonista fa qualcosa per risvegliare l'attenzione del pubblico.

È glaciale e distaccato ma anche estremamente affascinante, che poi sono esattamente le tre caratteristiche dell'impianto filmico pensato da Cronenberg.
Volutamente algido ma solo apparentemente privo di emozioni e sfumature, il corpo fattoriale di Pattinson (all'epoca ancora coinvolto nella saga di Twilight) viene riplasmato dal regista, che un paio di cose sulle potenzialità espressive del corpo umano le conosce: la bellezza bronzea e pallida (quasi non-morta) dell'attore diventa una tabula rasa su cui proiettare ogni genere di ansia, tanto quelle private del regista quanto quelle del pubblico.

Good Time di Ben e Joshua Safdie

Top 3 del Festival di Cannes 2017 e tra i migliori indie del XXI secolo, Good Time dei Safdie Brothers è l'opera che ha sdoganato definitivamente il talento di Pattinson, che ha fatto incetta di nomination ai premi festivalieri e nei circuiti della critica: dire che è il picco della sua carriera (finora) sarebbe un eufemismo.
Il lavoro di Pattinson nel film eclissa tutte le sue altre performance, è il suo personale (e con le dovute proporzioni) Taxi Driver, dove l'impegno dell'attore per il personaggio fa il film stesso: nei panni del malvivente Connie Kikas "quello di Twilight" fa l'egoista, il pigro, ma anche lo scaltro, l'oscuro, il manipolatore.

Nonostante gli indubbi aloni di sporcizia che macchiano l'anima del protagonista, però, in qualche modo misterioso Pattinson riesce a renderlo simpatico, il tipo per cui è facile fare il tifo, una sorta di Vagabondo di chapliniana memoria decostruito e privato di quel disincanto che contraddistingue la modernità. Good Time vi aspetta comodamente su Netflix e dovete recuperarlo a ogni costo, nel caso non l'abbiate ancora visto.

Damsel di David Zellner e Nathan Zellner

Per svincolarsi dall'ombra di Twilight, Pattinson in questi ultimi anni ha sempre prediletto interpretazioni drammatiche e spesso e volentieri estreme, incentrate su personaggi sfumati e difficilmente decifrabili, ma ha anche avuto modo di dare prova di ottime capacità di commedia (ancora più complesse di quelle serie) in Damsel, western declinato all'assurdo con carichi di black humor scritto e diretto dai fratelli Zellner.
Nel ruolo di Samuel Alabaster, un esploratore e cercatore di tesori intenzionato a sposare l'amore della sua vita a colpi di goffaggini, un ingiustificato senso di autoimportanza e un immancabile dente d'oro d'ordinanza, Robert Pattinson si getta in un ruolo molto difficile in un film altrettanto complesso, che cammina continuamente sulla linea sottile che separa la farsa cartoonesca dal commento sociale satirico.

Come evidente derisione della mascolinità tossica, il ruolo ha lo scopo di sovvertire le aspettative e giocare con i topoi narrativi e i personaggi maschili nel genere western, e l'equilibrio richiesto affinché un'operazione simili funzioni non è banale, anzi. Se il Pattinson di Good Time può ricordare Taxi Driver, allora Damsel è ispirato al lavoro di Robert De Niro ne Il Re della Commedia, ed è chiaro che se ti ispiri a De Niro devi proporre qualcosa di tuo senza limitarti a imitare (perché inevitabilmente perderesti il confronto). L'attore lo fa e sorprende, in un ruolo inedito per la sua carriera.

Civiltà Perduta di James Gray

Il gusto per il cinema classico che contraddistingue tutta la filmografia di James Gray viene esaltato nel più tradizionale dei suoi film, Civiltà Perduta, dal retrogusto così antico da essere stato completamente rigettato dal pubblico in termini di biglietti strappati.
Rimane il lavoro più complesso e interessante del regista (che infatti si è dato giustamente allo sci-fi nell'imminente Ad Astra con Brad Pitt per ottenere una sperata e attesa vittoria al box office) e Pattinson brilla nella parte del caporale Henry Costin, dimostrando di riuscire a essere un valore aggiunto anche con un ruolo secondario.

È una performance sobria ma sudaticcia e da barba sporca, che esplicita il suo talento nel saper dire molto senza dire quasi nulla: a parte la perdita di peso (dovrà fare il contrario nel caso in cui finirà con l'interpretare Batman ufficialmente), Pattinson dimostra una meticolosità pazzesca nel definire e comunicare i modi dell'epoca, caratteristica che dimostra la devozione per lo studio del personaggio e la volontà di metterne in discussione le caratteristiche salienti.

L'Infanzia di un Capo di Brady Corbet

Raramente sono stati realizzati dei debutti alla regia belli, complessi e sofisticati come quello di Brady Corbet: e ne L'Infanzia di un Capo, attraverso un altro ruolo secondario, Robert Pattinson incarna ancora una volta l'essenza del film, che racconta la storia di un bambino figlio di diplomatici che, circondato da influenze negative durante l'infanzia, diventerà un giorno... non vi diciamo cosa.
La prestazione dolorosa, intensa, emotiva, vulnerabile e quasi muta di Pattinson è uno dei rari cenni di umanità in un film che la perde progressivamente nel corso del suo incedere. Prestazione che si fa addirittura duplice negli agghiaccianti e sconvolgenti minuti finali. Con un solo sguardo Robert Pattinson si dimostra in grado di catturare l'attenzione di chi guarda e sbaragliarlo: è un gesto inedito (e finora unico) nella sua carriera, che dovrebbe tornare fondamentale nella Gotham noir pensata da Matt Reeves.


High Life di Claire Denis

High Life della geniale regista francese Claire Denis prende Interstellar di Christopher Nolan, gli sottrae tutta la spettacolarità da blockbuster d'intrattenimento e gli aggiunge tutta la filosofia, la poesia e l'introspezione che invece erano assenti (o presenti ma a un livello elementare) nel film con Matthew McConaughey.
Decisamente impegnativo, profondamente laconico, spietatamente nichilista e intellettualmente avvincente, il film racconta di un Robert Pattinson che vive su una navicella spaziale alla deriva insieme a sua figlia, prima piccola e poi, col passare degli anni, adolescente. Sono gli unici sopravvissuti di un equipaggio composto solo da ex detenuti, le cui sorti ci verranno raccontate in flashback: è quanto di più lontano possibile possa offrire il cinema da uno spettacolo "accessibile", con Pattinson che fa il giro completo e dal mainstream di Twilight finisce nei più remoti anfratti dello spazio profondo dell'art-house elitario.
Ancora una volta la performance piena di gravitas e sottilmente commovente dell'attore trasmette tutta l'aura mistica che avvolge il film della Denis, inquietante e malinconico commento sulla natura dell'umanità

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