Ritorno a Hollywoodland: quando Ben Affleck uccise Superman

Quindici anni fa veniva mostrato a Venezia uno dei migliori neo-noir degli anni 2000, su una delle morti più misteriose di Hollywood.

Ritorno a Hollywoodland: quando Ben Affleck uccise Superman
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Una morte misteriosa, un attore in un momento difficile della sua carriera che si toglie la vita, nessuno che vuole parlare dei retroscena, delle dinamiche poco chiare dietro quel gesto. Cominciò così Hollywoodland, raccontando la morte del primo Superman, ma proseguendo distrusse la retorica della fama hollywoodiana, portandoci tra le ville di Beverly Hills, dentro gli Studios e per le strade dell'America anni '40 e '50.

Sono passati 15 anni dal debutto in sala di un film che (oggi possiamo tranquillamente dirlo) fu ampiamente sottovalutato dalla critica e anche dal pubblico dell'epoca.
Eppure andrebbe riscoperto, rivalutato, non solo per la grande qualità della regia, delle interpretazioni o per la straordinaria fotografia.
Hollywoodland è stato un film tra i più onesti, crudi e interessanti del genere neo-noir nel XXI secolo, capace di unire verità a plausibilità, mistero a una mancanza di certezze uniche nel suo genere.

Hollywoodland: un neo-noir sottovalutato

Nel primo decennio degli anni 2000 i film sui supereroi non erano ancora dominatori del mercato e ben pochi potevano prevedere la rivoluzione che avrebbero creato nello storytelling moderno.

Un tempo infatti, indossare una calzamaglia o un mantello poteva stroncare una carriera attoriale, i personaggi dei fumetti erano visti come qualcosa a metà tra il banale e l'infantile, e ogni attore che sul piccolo o grande schermo interpretasse Batman, Superman e soci, fino a un certo punto fu visto come ridicolo.
Nel 2006, in apertura al festival di Venezia di quell'anno, Allen Counter ci riportò all'epoca in cui Hollywood era ancora una Mecca dorata, il regno dei sogni per la gente comune, a cavallo tra gli anni '40 e '50, quando la settima arte era al servizio di divi eleganti e donne fatali.
Hollywoodland poteva contare su un cast d'eccezione, che annoverava Adrien Brody, Ben Affleck, Diane Lane e Bob Hoskins, chiamati a riportarci a quando un virile e avvenente ragazzo dell'Iowa conobbe per un brevissimo tempo la gloria, diventò, grazie a una serie tv, idolo per un'intera generazione di bambini, prima di morire in circostanze misteriose.

George Reeves è stato il primo vero Superman della storia, il primo a prestare il proprio viso squadrato e il fisico possente all'uomo d'acciaio. Lo fece in una serie di lungometraggi ben poco fruttuosi, poi debuttando in uno show, Le Avventure di Superman, che ancora oggi è indicato come uno dei primi veri appuntamenti seriali globali, capace di produrre un impatto profondissimo sul pubblico.

La sua morte, a soli 45 anni, avvenuta in circostanze mai del tutto chiarite, ha dato adito a sospetti, teorie, misteri che ne fecero uno dei momenti più tragici di quegli anni e allo stesso tempo uno dei più rivelatori sulla spietata realtà dietro le quinte della Fabbrica dei Sogni.
E in quel mondo fatto di apparenze e ricatti, di falsi amici e psicosi, trovammo infine la reale dimensione dell'isolamento, dell'egocentrismo tossico che parte dello star system richiede ancora oggi.

Il racconto di un'incompiutezza

Inutile dire come Hollywoodland fosse molto distante dall'essere ottimista o consolatorio, qualità che di solito si connettono nell'immaginario pubblico a Kal-El, uno dei personaggi più iconici della storia dei fumetti.

Ben Affleck, forse per la prima volta nella sua carriera, dimostrò di essere qualcosa di più di un fusto con il sorriso da copertina.
Vi era del talento, grezzo e poco controllabile se si vuole, ma vedendo a 15 anni di distanza questo film appare incredibile che nessuno al tempo si fosse reso conto di quanto Affleck fosse stato capace di donare umanità, imperfezione e visceralità a uno dei divi più dimenticati dell'America che fu.
Coincidenza o frutto del destino, Affleck ebbe al suo fianco, per interpretare la sua amante, la moglie del potentissimo produttore Eddie Mannix, quella Diane Lane che avrebbe poi interpretato la madre di Kal-El a partire da Man of Steel.

George Reeves era un giovane ragazzo di belle speranze, che già si era segnalato per diverse partecipazioni minori in molti film di varia natura e genere, andando dal kolossal all'adventure, dal poliziesco alla commedia.
Molto spesso però finiva tra i ruoli non accreditati, altre volte doveva semplicemente accontentarsi di piccole parti, quasi di comparsate.

Eppure non gli mancava il talento, la presenza scenica nemmeno, aveva il fisico e il volto giusti, semplicemente non aveva gli appoggi e le amicizie adatte.
Il detective Simo a poco a poco si rende conto che la svolta della sua carriera era stata dovuta soprattutto all'essersi legato sentimentalmente alla Mannix. La donna aveva cominciato non solo a mantenere economicamente il suo amante, ma anche a cercare di spingerne in tutti i modi la carriera, che appariva alquanto traballante.

Il film di Coulter era perfetto per ritmo e ambientazione, mostrava un protagonista che mano a mano cercava di avvicinarsi alla verità, a dipanare il velo di misteri che copriva la vita di quell'uomo, che andava incontro a un viaggio abitato dai propri stessi fantasmi, dalle proprie paure, dalle proprie manchevolezze.
A metà tra thriller psicologico e giallo, questo neo-noir per tutta la sua durata evitava di darci una certezza, di dare una sola verità o anche solo una parvenza di essa allo spettatore.
Piuttosto decideva di mostrarci la tragedia di un uomo perennemente irrealizzato, diventato in breve gretto ed egoista appena afferrata un po' di quella notorietà che bramava.

Il volto oscuro della Fabbrica dei Sogni

Superman e Clark Kent. Anche in Kill Bill di Quentin Tarantino si era parlato della straordinaria diade, del contrasto geniale tra i due diversi volti di questo personaggio.

In Hollywoodland a un certo punto questa dimensione si fa prismatica, George Reeves è Superman sul set, lo è per milioni di bambini americani che in lui avevano visto un eroe, lo è in una serie tv pioneristica che farà la storia.
Tuttavia nella vita privata egli è come Clark Kent, è un codardo, un egoista, un indeciso, pieno di rancore verso la vita.
Contemporaneamente lo è anche il detective Simo, alcolizzato e senza nerbo, su cui la sceneggiatura di Bernbaum crea uno straordinario iter di degrado e assieme riscatto, collegandosi ai malinconici perdenti che avevano fatto la fortuna di Humphrey Bogart.
In ultima analisi, entrambi cercano traccia di quel superuomo con il mantello dentro se stessi, cercano di abbracciare un ideale, ma alla fine trovano solo l'uomo, con le sue debolezze e difetti, ma anche con la sua verità e il suo destino.

Il film di Coulter è quindi esemplare nel mostrarci il lato più feroce del sogno americano, del successo, del self made man, della scalata verso la gloria nel cinema.
Reeves era come sono stati e saranno migliaia di altri aspiranti attori, magari non poveri di talento ma di fortuna o astuzia.

La sua caduta, all'alba della mezza età, quel video in cui Simo lo vede arrancare appesantito, ridotto l'ombra di se stesso, altro non è che la personificazione della fine di un mito, della cesura tra realtà e finzione.
Anche per questo, più che a Ellroy, Hollywoodland è connesso a Don Tracy, a Hemingway, a quella letteratura che parla di fallimenti, nega la gloria della Frontiera, sovverte l'happy end consolatorio e balsamico.

George Reeves, oggi come oggi, sarebbe stato una star milionaria. All'epoca era incatenato, era costretto in un archetipo da un mondo spietato e violento, che ha in Hoskins il totem perfetto anche esteticamente, con il suo fare pingue e feroce, la voce grossa sul corpo compresso e abbassato.
Sfiorisce la giovinezza di Diane Lane e dopo quella di Reeves, prigioniero di un limitato successo, che il Simo di un bravissimo e nevrotico Brody intuisce e comprende nel malinconico finale.
Superman era già morto da tanto tempo, la kriptonite era stato il suo sogno. Quel colpo di pistola, chiunque l'abbia sparato, non fece che sancire l'inevitabile epilogo di un attore che nel suo piccolo aveva fatto la storia senza che nessuno, neppure lui, se ne accorgesse.

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