Ricordate Dragonheart? Alla riscoperta di un cult fantasy

Un fantasy senza fronzoli, preciso e accalorato nel suo racconto della lotta al male e capace di smuovere i sentimenti degli spettatori.

Ricordate Dragonheart? Alla riscoperta di un cult fantasy
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Un sovrano dispotico, un anziano drago saggio ed un cinico cacciatore di draghi che si riscopre valoroso condottiero: la ricetta alla base di Dragonheart è così semplice da flirtare col banale, eppure il risultato di un progetto così pericoloso si è rivelato molto maggiore della somma delle sue parti. Il destino che ha funestato pellicole molto simili, all'interno di un genere da sempre pericolosamente incline alla ripetitività, non riesce ad intaccare le scaglie dure del film diretto da Rob Cohen, perché sotto la scorza di un fantasy senza idee stravaganti risiede il cuore amorevole di un racconto votato alla crescita, dedicato ai più piccoli ma capace di regalare soddisfazioni anche agli adulti.

Così come siamo stati puntuali nel raccontarvi cosa andò storto nel film di Eragon, e come dovrebbe essere la prossima serie tv di Eragon, bisogna essere obbiettivi guardando ad un'operazione dalle apparenze commerciali, rivelatasi invece pregna di significati e graziata da una realizzazione tecnica per nulla insulsa, per un film che ci ha ricordato come soprattutto le storie più semplici siano in grado di incastonarsi nella memoria e diventare eterne.

La maledizione della cattiveria

Freyne, il sovrano del regno nel quale è ambientato questo racconto medievale, è un terribile dittatore che affama i sudditi e spadroneggia senza curarsi del benessere del popolo, per questo viene assalito da un manipolo di rivoltosi mentre cerca di reprimere nel sangue l'ennesimo colpo di stato.

L'attacco spezza la vita del tiranno e ferisce mortalmente anche il principe Einon, che però è soltanto un bambino senza colpa: la regina e il suo mentore Bowen lo soccorrono immediatamente ma la situazione è disperata, perché la ferita ha aperto uno squarcio nel cuore e la vita fluisce via dal suo corpo con terribile velocità. Non avendo alcuna possibilità di salvarlo con la medicina comune, Bowen decide di implorare il drago che dimora in una caverna affinché salvi la vita al piccolo morente. Draco accetta, ma ad una sola condizione: il principe deve giurare che regnerà con saggezza e benevolenza, seguendo i principi dei cavalieri di Camelot. Il bambino in fin di vita acconsente, quindi il drago gli dona metà del suo cuore permettendogli di sopravvivere alla ferita mortale. Una volta cresciuto, però, Einon si rivela un sovrano autoritario e privo di pietà, dedito ai vizi e agli eccessi diventando un re anche peggiore del padre. Il suo mentore capisce di aver fallito l'addestramento del principe, ma decide che la colpa è da attribuire al cuore donato da Draco, perché il sangue dell'antica bestia deve aver avvelenato l'anima di Einon rendendolo crudele. Per questo abbandona il ruolo del maestro e vota la propria esistenza allo sterminio dei draghi, alla costante ricerca dell'animale che ha rovinato la sensibilità del suo protetto.

I canoni classici del fantasy

La storia raccontata da Dragonheart si imposta subito sui toni più riconoscibili del fantasy, sia in fase di ambientazione che di sviluppo della trama, con tanto di evoluzione caratteriale che dipinge personaggi immediatamente identificabili e dagli sviluppi scontati. Come ogni opera di fantasia che si rispetti c'è una spalla comica ad appoggiare il testo tragico che fa da colonna portante della narrazione, così come una protagonista femminile da salvare dalle grinfie del detestabile sovrano.

Il film diretto da Rob Cohen non ha alcuna intenzione di rivoltare i preconcetti dello spettatore, ma li utilizza per accoglierlo comodamente in uno scenario inquadrabile con facilità e quindi familiare, nel quale far muovere una storia che punta ad insegnare ai più piccoli i valori della generosità attraverso un viaggio in compagnia di un drago che si credeva nemico. Bisogna evitare i giudizi frettolosi quando si guarda Dragonheart, perché essi sono spesso fuorvianti e incapaci di descrivere il contesto generale, proprio come quelli che guidavano Bowen nella sua inutile vendetta contro i draghi. La pellicola Universal è infatti dotata di una fine delicatezza, di un amore forse un po' ingenuo nel suo classicismo ma non per questo meno apprezzabile o accalorato, che spinge il racconto verso il suo amaro lieto fine sospinto da una ventata di passione e tenerezza che probabilmente ha spillato qualche lacrimuccia anche allo spettatore più navigato.

Interpretazioni indimenticabili

La rivolta contro la tirannia di Einon riaccende in Bowen il sacro fuoco della liberazione, appoggiato e soprattutto invogliato dal fedele Draco che gli ricorda gli onorevoli concetti con i quali ha sempre vissuto la sua esistenza, dimenticati troppo in fretta a causa del cinismo che ha sconvolto il suo mondo quando il principe, suo pupillo, si è rivelato un regnante disgustoso.

La lotta contro la razza dei draghi assume quindi i contorni di una squallida rabbia mal proiettata, con la contadina Kara che gli fa notare come il problema dell'uomo comune non sia affatto una bestia mitologica, ma il concretissimo tiranno che spadroneggia sul regno obbligando i sudditi alla fame. Il ribaltamento messo in atto dalla pellicola è di certo scontato, ma la prevedibilità non spoglia la trama dei reali concetti che cerca di trasmettere allo spettatore, rifugiandosi negli stilemi classici di un genere i cui maggiori esponenti hanno da sempre utilizzato narrazioni poco convolute per raccontare le proprie lotte tra il bene e male. Nonostante il grosso dell'opera diretta da Cohen si basasse sulla sua narrazione passionale, non si badò a spese per la realizzazione tecnica della pellicola, con una computer grafica di alta caratura a ricreare il drago protagonista - valevole di una candidatura agli Oscar per i migliori effetti speciali - modellata sulle espressioni di Sean Connery, il quale ha prestato anche la sua voce alla bestia leggendaria per la versione originale della pellicola. Per il Ben Paese fu invece Gigi Proietti a donare le corde vocali a Draco, pareggiando per bontà recitativa uno dei Bond più famosi di sempre (se non il più famoso in assoluto) grazie alla sua caldissima voce, adatta come poche altre a modellare i respiri covati nel fuoco che brucia nel petto di un drago.

Oltre ai due compianti doppiatori è da apprezzare anche il lavoro fatto da Dennis Quaid nei panni di un'astuta canaglia che si riscopre eroe, e quello di David Thewlis, perché se il suo Einon risulta immediatamente viscido e detestabile è proprio grazie alla certosina interpretazione di un attore dedito al progetto. Dragonheart non è il film più originale visto nel campo fantasy, né quello meglio realizzato dal punto di vista visivo, ma l'irresistibile bontà che trasuda dalla sua storia, unita a personaggi diventati iconici per numerose generazioni di spettatori, gli hanno fatto guadagnare di diritto un posto tra i film di fantasia più amati dal pubblico, diventando una stella senza tempo incastonata nell'indimenticabile Costellazione del Drago.

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