Rick Deckard e Agente K, il confronto dell'eroe in Blade Runner 2049

Insieme sullo schermo Harrison Ford e Ryan Gosling danno vita a due eroi tormentati ben diversi tra di loro. Per natura, carattere e sentimenti.

Rick Deckard e Agente K, il confronto dell'eroe in Blade Runner 2049
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Pioggia e neve. Vita e sacrificio. Speranza e illusione. Due personaggi, due identità, due diverse rappresentazioni dell'eroe solitario si incontrano (e si scontrano) in Blade Runner 2049, lì dove l'eredità del capolavoro di Ridley Scott raggiunge l'umanesimo geometrico di Denis Villeneuve. Una figura torna dal passato per scrivere un nuovo presente familiare e un'altra a quel passato vuole ritornare e ricostruire la memoria dell'infanzia: sono Rick Deckard - il cacciatore di taglie interpretato qui e nel film del 1982 da Harrison Ford - e l'agente K, replicante di ultima generazione che ha il volto triste e tormentato di Ryan Gosling. E non potevano essere più distanti, per fisionomia, carattere e pensiero questi protagonisti attraverso cui il racconto si dispiega lungo l'anno 2049, un'avventura filosofica di grandi scenari e drammatiche riflessioni su ciò che siamo e saremo che però non rifiuta il coinvolgimento emotivo ma anzi, proprio grazie ai due eroi perfettamente inquadrati, porta lo spettatore ad immedesimarsi nei loro percorsi. Ognuno può individuare nel vecchio Deckard o nel giovane K un'interpretazione del film, una chiave di lettura; due strade parallele destinate a intrecciarsi e a fondersi "come lacrime nella pioggia".

Pioggia e neve

Se diamo per scontato che il cinema sia un'arte prima di tutto visiva, la composizione dell'immagine e della messa in scena in Blade Runner 2049 descrivono benissimo le diversità che intercorrono tra i due eroi, a partire dall'elemento climatico e paesaggistico su cui insistono Villeneuve e il direttore della fotografia Roger Deakins: il replicante K è spesso associato al freddo della neve e all'impersonalità del bianco, una sorta di ode al candore della sua anima (appunto replicata, creata da zero in serie e modificata instillando ricordi di qualcun altro) che al tempo stesso denuncia la quasi totale assenza di umanità; al contrario Deckard, in 2049 introdotto dalla sezione gialla-aranciata nella deserta Las Vegas, suggerisce la presenza di un sentimento e di una ricerca che andrà ad accendersi (senza rivelare troppo della trama). Ecco allora che una semplice scelta cromatica e "stagionale" - l'inverno di Villeneuve contro l'autunno di Scott - portata avanti sin dalla pellicola del 1982, chiarisce la forte differenza di fondo tra i due "cacciatori" (e tra i due registi, entrambi molto legati ai paesaggi della loro vita) mettendoli a paragone; e mentre la pioggia acida della Los Angeles del 2019 lavava via i peccati di una società dispotica e capitalista, stavolta la neve sembra congelare quel passato nel rinnovo degli stessi delitti.

Vita e sacrificio

Noi siamo strumenti in mano di un potere superiore: lo stato, la politica, l'economia, la religione, in una società moderna esercitano quel potere sulle persone, talvolta sfruttandole come risorse. Alla base della riflessione di Blade Runner c'era proprio il tema dello sfruttamento di forme sviluppate di schiavi per generare profitto e benessere, ma lo stesso discorso si potrebbe applicare alle figure dei due eroi nei film che sono a tutti gli effetti "strumenti" in mano della narrazione, dell'autore e del messaggio finale. Prendiamo Deckard: nel 1982 è un umano (o forse no...) che ci accompagna nella comprensione della natura degli androidi, innamorandosi della replicante Rachel; la sua ricerca non termina allo scadere del tempo del film ma continua in uno slancio di vitalità, che poi è il senso del suo viaggio interiore e che lo spinge a superare gli ostacoli. Opposto è il racconto di K: replicante senz'anima, non è che un oggetto intelligente prigioniero della sua stessa natura e del mondo in cui vive, non può andare avanti né indietro (invano cercherà di ricostruire l'infanzia perduta) e nel frattempo, come tragica consolazione, abbraccia un fugace desiderio di sessualità amando l'ologramma Joi (perversa declinazione dei rapporti virtuali nell'era contemporanea). Grazie all'agente K di Ryan Gosling, abile nel trattenere le emozioni e dotato di una fisicità quasi immobile, statuaria, l'indagine principale di 2049 viene risolta, i nodi vengono sciolti, la missione compiuta.


Speranza e illusione

Stretti nei loro cappotti lunghi (uno impermeabile alla pioggia, l'altro voluminoso per proteggersi dalla neve), Rick Deckard e l'agente K si avviano verso una resa dei conti assolutamente coerente al senso del film: ricongiungersi a ciò per cui sono nati. Ancora una volta la netta distanza tra i due è evidente, separati dalla speranza di un futuro ancora da scrivere e dall'illusione di un'esistenza vissuta sempre al servizio, mai realmente indipendente e felice; fragile e sottile come un vetro che lascia guardare ma impedisce il contatto umano, questo confronto degli eroi è una delle cose più belle e interessanti di Blade Runner 2049, dettaglio che forse rimarrà inosservato, sepolto dallo spettacolo delle luci e dell'immagine di cui la pellicola fa sfoggio, a buon ragione, ma che non deve essere sottovalutato.

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