La Profezia dell'Armadillo: un esempio lampante di errore di linguaggio

Scopriamo come l'adattamento cinematografico dell'opera di Zerocalcare si sia rivelata una scelta errata in termini di trasposizione e non solo.

La Profezia dell'Armadillo: un esempio lampante di errore di linguaggio
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La Profezia dell'Armadillo usciva nelle sale cinematografiche italiane nel 2018 minato alla base da un essenziale errore di trasposizione. Per dirla come Aldo, Giovani e Giacomo, "se nasci tondo non puoi morire quadro", e infatti l'adattamento filmico del primo e straordinario fumetto di Michele Rech in arte Zerocalcare non è assolutamente andato come sperato. L'intenzione sfumata di creare un'opera che avrebbe in qualche modo dimostrato che anche in Italia si potevano compiere operazioni rischiose e interessanti, ovvero un cinecomic nostrano basato su uno dei racconti a fumetti più belli e conosciuti dell'ultimo ventennio del Bel Paese.

Annunciato nel gennaio del 2014, il film ha avuto una gestazione complessa, cresciuto sulla carta sotto le penne di quattro sceneggiatori: lo stesso Zerocalcare, Valerio Mastandrea, Oscar Glioti e Johnny Palomba. Compito arduo tradurre in live-action una serie di situazioni, di personaggi e un linguaggio astratti dalla realtà, che nelle tavole di Zero andavano e vanno tuttora a contestualizzare dei pensieri e delle verità dell'autore in chiave romanza, prendendo proprio il concreto e la vita di tutti i giorni per renderla altro. Il problema fu proprio la scelta di trasporre un romanzo grafico così particolare, dal tratto e dal contenuto unico e riconoscibile, in una "vera" commedia pseudo-indipendente un po' generica e fuori fuoco, sbagliando quasi su tutta la linea.

Sbandare lungo i bordi

Si legge in terza di copertina de La Profezia dell'Armadillo (edito da Bao Publishing): "Si chiama profezia dell'armadillo qualsiasi previsione ottimistica fondata su elementi soggettivi e irrazionali spacciati per logici e razionali, destinata ad alimentare delusione, frustrazione e rimpianti, nei secoli dei secoli, amen".

Se andiamo ad analizzare il valore traspositivo dell'opera di Emanuele Scaringi (come avevamo fatto anche nella nostra recensione de La Profezia dell'Armadillo), notiamo subito come in effetti, e forse involontariamente, il regista abbia rispettato alla lettera la definizione appena riportata, cercando di raggiungere un buon risultato con previsione ottimistica ma generando soprattutto delusione e rimpianto. Gli elementi "soggettivi e irrazionali" in gioco erano i seguenti: l'idea di poter traslare di peso, con poco budget e troppe incertezze un fumetto come quello di Zerocalcare in live-action, credendolo anche solo fattibile; coinvolgere appena marginalmente l'autore nello sviluppo del film (ha partecipato a una prima bozza e scritto un paio di dialoghi). Obiettivamente e razionalmente, invece, era chiaro che La Profezia dell'Armadillo non potesse essere adattato in quel formato, sotto l'egida di un medium e di un linguaggio che di per sé non appartengono in senso formale a Zero, non più della struttura seriale e della forma animata.

D'altronde, per esempio, come riuscire a portare in "carne e ossa" revisioni in chiave Calcare di personaggi come Super Mario o Darth Vader? Come farlo senza averne i diritti nello specifico ambito? Fosse stato solo questo il problema, a quest'ora nemmeno la serie animata Netflix potrebbe dirsi riuscita (e invece è un capolavoro, come dimostra la nostra recensione di Strappare Lungo i Bordi), dato che nemmeno lì sono presenti tali personaggi; solo quelli a marchio Netflix, per ovvie ragioni. L'errore è invece più profondo e affonda le proprie radici nella totale impossibilità del cinema commediato all'italiana di rispondere a determinate esigenze creative o traspositive, a meno che alle spalle non vi sia un autore destinato a controllare passo dopo passo l'evolversi del progetto - uno su tutti, Gabriele Mainetti.

Questione di medium

Spogliato dunque delle sua verve più citazionista e nerdo-centrica, e per estensione dell'anima stessa del lavoro di Calcare, considerando pure la mancata presenza di ogni virtuosismo visivo come valido sostituto del riconoscibile aspettato grafico dell'autore, il titolo ha tentato di aggrapparsi agli unici appigli ancora possibili: gli elementi reali della vita di Michele Rech e ovviamente il romanesco "de borgata".

In questo senso, La Profezia dell'Armadillo ha avuto qualcosa di interessante da dire e mostrare, scegliendo anche un interprete adatto come Pietro Castellitto per vestire i panni di Secco, eppure la parte più emotiva dell'adattamento, così come quella legata alla "rebibbianità" di Zero, non sono state sufficienti a salvare un progetto dove il massimo picco creativo era rappresentato da un Valerio Aprea in costume da Armadillo (stranota personificazione della coscienza di Calcare), per altro tra le cose migliori del film.

Strappare lungo i bordi ha in definitiva vendicato sotto giusta forma animata il fallimento live-action dell'opera di Zerocalcare, mettendo tutto al posto giusto e nel modo giusto, che si tratti di Mastandrea come Armadillo, della valorizzazione del talento dell'artista o della sua stessa voce, finalmente forte, presente e più concreta di quella inesistente in un film detto "reale". Era solo questione di medium, di forma e linguaggio, e in fin dei conti non possiamo volere poi così male al titolo di Scaringi, che rappresenta a suo modo un edisoniano insuccesso verso la ricerca della lampadina, passaggio necessario per arrivare al traguardo e alla luce.

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