Oscar 2022: quale regista vincerà la statuetta?

Uno sguardo ad una delle categorie più importanti degli Academy Awards, alla scoperta dei cineasti in lizza per la prestigiosa statuetta.

Oscar 2022: quale regista vincerà la statuetta?
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Manca sempre meno ad uno degli eventi più attesi dagli appassionati di cinema e dagli addetti ai lavori (ma dove vedere gli Oscar 2022 in Italia?). Tra le tante certezze e le inaspettate sorprese, una delle categorie che ha fatto più discutere sin dall'annuncio delle nomination degli Oscar 2022 è sicuramente quella che premia il miglior regista, dominata da John Ford con le sue quattro statuette (per Il traditore, Furore, Com'era verde la mia valle e Un uomo tranquillo). L'esclusione di Denis Villeneuve (Arrival, Blade Runner 2049) ha da subito indignato moltissimi, nonostante Dune abbia ottenuto ben dieci candidature (perlopiù per premi tecnici, che ha buone possibilità di portare a casa).

Se è vero che l'assenza del canadese stupisce e disorienta, va considerato l'altissimo livello dei cinque nomi in gara: un gruppo di tutto rispetto, in cui ognuno si darà battaglia fino all'ultimo voto per riuscire a spuntarla. Dopo aver fatto un po' di chiarezza sui favoriti all'Oscar 2022 al Miglior Film, proviamo a comprendere chi sembra favorito dai pronostici in questa categoria e perché, tenendo a mente i premi di categoria già assegnati e le preferenze dell'Academy.

Il potere di Jane

Accade molto spesso che il titolo più avanti nei sondaggi nella categoria più importante porti con sé una scia di entusiasmo che investe ogni aspetto legato ad esso, dalle performance attoriali fino ad elementi come, ad esempio, fotografia e montaggio. Non devono sorprendere perciò le ultime due vittorie: sia Parasite che Nomadland hanno stravinto sia per il miglior lungometraggio che per la regia, portando al trionfo per la prima volta rispettivamente Bong Joon-ho e Chloé Zhao. Quest'anno il ruolo di frontrunner sembra essere interpretato da Il potere del cane, nuovo tentativo di Netflix di spuntarla sulle altre major. Se molto si è discusso circa la sua qualità (e le parole di Sam Elliot su Il potere del cane hanno generato numerosi dibattiti), è innegabile che l'eccitazione per la pellicola con protagonisti Benedict Cumberbatch e Kirsten Dunst sia alle stelle.

Merito soprattutto del lavoro fatto della sua autrice, la straordinaria Jane Campion. La regista neozelandese ha già messo le mani su un Oscar nel 1993 con il suo lavoro più celebre, Lezioni di piano (che vinse la Palma d'Oro a Cannes e che le portò anche una nomination alla miglior regia), anche se quella volta si trattò della miglior sceneggiatura originale.

Al momento è certamente lei il nome da battere: ad avvalorare ciò ci sono le vittorie ai Golden Globe, ai BAFTA, ai Critics Choice Awards, agli AACTA, il Leone d'argento a Venezia e, soprattutto, il successo ai DGA assegnati dalla guild dei registi, che spesso indirizzano notevolmente le previsioni per gli Academy Awards. Ci sono tutte le carte in regola per spuntarla sui suoi quattro rivali, anche tenendo conto del fatto che spesso, con poche significative eccezioni, le grandi produzioni polarizzano le attenzioni dei votanti. Ma mai dire mai: il clamoroso colpo si scena ai PGA Awards - che ha visto CODA prevalere - rischia di ridimensionare all'ultimo minuto le ambizioni de Il potere del cane e, di conseguenza, della cineasta favorita.

Gli inseguitori, tra Giappone e Irlanda del Nord

Più che lecita è una domanda che genera non poche criticità: se non Jane Campion, chi? Non è facile riuscire a rispondere e capire quale sia la reale griglia di partenza, chi ha acquisito un vantaggio sugli avversari. Il primo da citare è Kenneth Branagh: l'artista britannico è ben visto dall'Academy e il suo Belfast ha pian piano scalato le gerarchie ponendosi come uno degli outsider principali in tutte le categorie nelle quali risulta nominato.

La critica non ha riservato pareri unanimi (qui trovate la nostra recensione di Belfast) e la mancata presenza nella cinquina ai BAFTA, in casa propria (dato da sottolineare) non è una delle migliori presentazioni. A suo vantaggio il premio del pubblico al Toronto International Film Festival, ritenuto spesso importante in ottica Oscar. Tra gli altri spicca, come sempre, Paul Thomas Anderson. Colui che ad ogni edizione in cui figura una sua opera sembra non essere, per una serie di contingenze, mai il favorito ma costantemente l'outsider di prestigio. La mente dietro Il petroliere e Il filo nascosto non ha mai vinto un Oscar (a fronte delle undici candidature) pur avendo ormai da anni certificato il suo status di grandissimo cineasta, tra i più influenti della sua generazione. È improbabile che proprio adesso si possa rompere questa sorta di maledizione: Licorice Pizza è una gemma ma forse poco ordinario per i gusti dell'Academy (e il confronto con i titoli già citati esemplifica il concetto). L'occasione di PTA è circoscritta alla sceneggiatura originale.

Nel 1993 la Campion non riuscì a trionfare e il premiò andò a Steven Spielberg per l'indimenticabile Schindler's List: nel 2022 la sfida si ripeterà, anche se la nuova versione di West Side Story sembra avere meno estimatori rispetto alla proposta di Netflix. Spielberg ha compiuto un'impresa, rifilmando un classico del cinema hollywoodiano e non perdendo la brillantezza che lo contraddistingueva. Ciò è già incredibile e basterebbe per convincere. Ma la sua perizia tecnica, tra una padronanza della macchina da presa sbalorditiva e un ottimo lavoro sugli attori, così come l'aura leggendaria che porta con sé, potrebbero non bastare per farlo salire nuovamente sul palco del Dolby Theatre.

Il quinto nome poteva (e a detta di moltissimi doveva) essere quello di Villeneuve. A sorpresa, però, il posto è andato al prolifico regista giapponese Ryusuke Hamaguchi grazie a Drive my car, meraviglioso adattamento dell'omonimo racconto del suo connazionale Haruki Murakami. La presenza tra i nominati dell'autore de Il gioco del destino e della fantasia è l'ennesimo traguardo per il lungometraggio valutato da tantissimi come uno dei migliori del 2021: una nomea acquisita grazie al tocco di Hamaguchi, che è riuscito a rendere accessibile un progetto recitato in più lingue e della durata di quasi tre ore. Come per gli altri quattro outsider non resta che aggrapparsi alla speranza: le ultime cerimonie hanno già offerto clamorosi capovolgimenti dell'ultima ora. La nomina a miglior film internazionale però, dovrebbe comunque aggiungerlo alla già lunga lista di film giapponesi che hanno vinto agli Oscar.

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