Un giorno di ordinaria follia: la scena cult del fast food

Analizziamo una delle scene che meglio descrivono l'alienazione dell'uomo moderno in rapporto alla nostra società turbocapitalista.

Un giorno di ordinaria follia: la scena cult del fast food
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Un giorno di ordinaria follia, il film cult uscito nelle sale nel 1993 diretto da Joel Schumacher, è un'opera che tratta il delicato tema dell'alienazione dell'uomo moderno usando la violenza (sia fisica che psicologica) come vero e proprio catalizzatore per gli eventi mostrati.
La pellicola, data anche la sua progressione narrativa tutto sommato semplice e priva di sovrastrutture articolate, è riuscita in breve tempo a raggiungere un grande successo soprattutto per le tematiche trattate, ancora oggi molto attuali e assimilabili facilmente da una grande platea di persone.
Una particolare sequenza, cioè quella in cui vediamo il protagonista William "Bill" Foster (interpretato da Michael Douglas) entrare in un fast food per fare colazione, rappresenta se vogliamo la quintessenza del film, capace di mostrare allo spettatore in maniera cristallina tutte le sfaccettature della psiche disturbata del personaggio principale, senza ovviamente lesinare anche una critica alla nostra società turbocapitalista, colpevole anch'essa di spingere l'uomo verso lo scollamento dalla realtà.

Che cosa desidera signore?

Nei primi secondi della scena il protagonista è impegnato nell'ordinare una ricca colazione all'interno di un fast food; da subito però qualcosa sembra non andare per il verso giusto, dato che la commessa gli fa presente che ormai nel locale può essere servito solo il pranzo. L'entrata in scena del direttore del locale non fa che peggiorare la situazione, dato che non sembra voler sentire alcun tipo di replica.
In questo preciso momento la pellicola decide di focalizzarsi sul tema dell'infantilismo, con i due interlocutori intenzionati più che mai a portare avanti le proprie convinzioni a spada tratta senza curarsi di nient'altro.
Bill è infatti determinato più che mai a fare colazione, seppur per la policy interna del locale dopo le undici e trenta si serva solamente il pranzo, mentre il direttore del locale (nonostante siano passati solo pochi minuti dalla fine del momento colazione) continua imperterrito a negare al protagonista quanto chiede.
In una manciata di secondi viene quindi mossa una forte critica all'enorme numero di regole e imposizioni (talvolta semplicemente folli) che tutti quanti siamo chiamati a seguire all'interno della società in qualsiasi contesto pubblico.

Il fast food diventa quindi una semplice metafora di una situazione comune che moltissime persone hanno vissuto almeno una volta nella vita, cioè il ritrovarsi davanti a un impiegato e/o dipendente eccessivamente legato al far rispettare le regole in modo intransigente senza apparente motivo.
Seppur infatti il direttore della catena abbia di fatto ragione - dato che si preoccupa semplicemente di far rispettare il regolamento interno - dall'altra parte si ha comunque l'impressione che il protagonista stia subendo in realtà un torto.
Ed è proprio questa forse la particolarità maggiore del film; nonostante infatti il personaggio principale agisca via via semplicemente come un folle (dato che in realtà è proprio lui stesso la causa originaria di tutti i suoi problemi), lo spettatore viene in qualche modo spinto a stare dalla sua parte (almeno durante tutta la prima metà dell'opera), quasi come se la sua inclinazione alla violenza fosse a tratti giustificata dai soprusi che - grandi o piccoli che siano - subisce fin dall'inizio del film.

Lo stesso direttore è infatti raffigurato come una persona non troppo sveglia, impegnato più che mai a seguire passivamente le regole senza porsi nessuna domanda e, soprattutto, incapace di chiudere un occhio di fronte a una questione di poco, pochissimo conto.
Anche la cassiera è raffigurata in un primo momento come la classica dipendente annoiata a cui in realtà il proprio lavoro non interessa minimamente, salvo poi cambiare di fatto atteggiamento di fronte a una situazione imprevista.
In sostanza, il protagonista delle vicende si ritrova a vivere una semplice situazione quotidiana vista innumerevoli volte anche in altri contesti; la richiesta di cibo al fast food non è nient'altro che un pretesto per focalizzarsi su un vero e proprio sistema sociale/burocratico che ormai non funziona più e in cui i normali cittadini non sono nient'altro che un piccolo numero insignificante all'interno di un sistema molto più grande che li ignora sistematicamente.
Nonostante l'intero film sia in realtà ammantato da una forte vena populista, in alcune sequenze (come quella presa in esame) il concetto relativo all'alienazione dell'uomo moderno viene sviscerata in maniera soddisfacente.

Non è successo niente

L'ordinaria follia presente nello stesso titolo italiano non può quindi che diventare il vero e proprio centro nevralgico di ogni cosa durante la prosecuzione della scena.
La mitraglietta tirata improvvisamente fuori dal protagonista per rimettere le cose in ordine diventa quindi uno strumento di potere capace di farlo balzare nel gradino più alto della piramide sociale senza sforzi particolari.
Bill, nonostante la sua instabilità di fondo - rimarcata dal momento in cui spara una raffica di proiettili sul soffitto in maniera accidentale - riesce in breve tempo a riprendere il controllo della situazione, sentendosi al tempo stesso galvanizzato dal suo nuovo ruolo di comando appena ottenuto.
Il momento in cui la camera si sofferma sugli sguardi impietriti di tutte le altre persone presenti nel fast food regala all'intera sequenza un tono molto più serioso rispetto a quanto visto in precedenza; per quanto infatti tutta la scena sia in realtà ammantata anche da un sottile velo d'ironia, nel preciso istante in cui Bill si muove tra i presenti - facendo anche alcune battute - lo spettatore non può che trovarsi destabilizzato di fronte a quello che vede.

Il silenzio spettrale della sala accresce così in maniera esponenziale l'indole folle e schizofrenica del protagonista, ormai sempre più vicino a un punto di non ritorno.
L'imporre le proprie convinzioni attraverso la violenza diventa quindi per il personaggio principale l'unico modo per farsi accettare da quella società che lo ha respinto e sbeffeggiato in più occasioni.
Il protagonista si muove quindi su un piano differente rispetto al mondo che lo circonda; qualcosa, ormai, si è rotto e non è più possibile aggiustarlo in alcun modo.
La stessa scena in cui tiene tra le mani l'hamburger ordinato (totalmente dissimile da quello più corposo e succulento mostrato nel cartellone di anteprima davanti a lui) non fa che rimarcare la feroce critica verso il turbocapitalismo imperante, vera e propria colonna portante della società in cui viviamo, folle almeno quanto Bill. Forse anche di più.

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