Speciale Non aprite quella porta 3D - Non aprite quelle porte!

Viaggio nella saga di Leatherface & co!

Speciale Non aprite quella porta 3D - Non aprite quelle porte!
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Con quell'imperativo usato per mettere in guardia nei confronti di un pericolo che, s'intende, può essere scaturito da una banalissima azione, "Non aprite quella porta" è un titolo rimasto sicuramente nella storia, tanto da influenzarne, senza dubbio, altri posti successivamente dalle distribuzioni tricolori a produzioni horror straniere; da Non entrate in quella casa a Non aprite quel cancello, passando per Non aprite prima di Natale! e Non entrate in quel collegio.
Un titolo italiano che, in realtà, non ha nulla a che vedere con quello originale della pellicola a cui è stato attribuito, ovvero The Texas chainsaw massacre, il cui significato è, letteralmente, "Il massacro della motosega texana".
Pellicola che, diretta nel lontano 1974 - con pochi mezzi e moltissima fantasia - dal Tobe Hooper in seguito autore, tra l'altro, di Poltergeist-Demoniache presenze e Il tunnel dell'orrore, non solo ha dato vita a ben tre sequel realizzati tra il 1986 e il 1994, ma, rispettivamente ventinove e trentadue anni dopo la sua uscita, ha avuto anche un rifacimento e il prequel Non aprite quella porta-L'inizio.
Quindi, una vera e propria macchina cinematografica sforna-soldi, quella creata da Hooper, che, nel secolo della visione tridimensionale, non poteva fare a meno di essere sfruttata anche in un Non aprite quella porta 3D, con gran sorpresa non un remake del capostipite, ma il suo diretto sequel, a firma di John"Takers"Luessenhop.
Nell'attesa di vederlo nelle sale cinematografiche dello stivale, dove approderà il 28 Febbraio 2013, facciamo un ripasso dell'intera saga.

Non aprite quella porta (1974)

Una didascalia ci avvisa che il film che sta per seguire è ispirato a un fatto realmente accaduto: cinque ragazzi, in viaggio su un furgone il 18 agosto del 1973, finirono per essere coinvolti nel crimine divenuto poi noto come "Massacro del Texas".
In realtà, la figura da cui Hooper - che firma anche lo script del lungometraggio insieme a Kim Henkel - è partito sembrerebbe essere quella del contadino necrofilo e cannibale Ed Gein, il quale usava fabbricare maschere di pelle ed oggetti vari sfruttando i resti delle proprie vittime.
La stessa figura cui fece in precedenza riferimento Alfred Hitchcock per il Norman Bates del suo Psycho e che viene in questo caso trasformata in colui divenuto poi noto come Leatherface, qui interpretato da Gunnar Hansen: sorta di imponente ritardato, abbigliato da macellaio e con il volto celato dietro una maschera in pelle umana che, armato di motosega, fa a pezzi le proprie prede umane da servire in tavola come pietanze per la sua famiglia, costituita da altri due fratelli e da un malandatissimo nonno.
Quindi, tra martellate in pieno cranio e ganci per la carne conficcati nella schiena, lo sterminio di giovani viaggiatori altro non è che una vicenda di pura fantasia che, due anni dopo lo shockante L'ultima casa a sinistra di Wes Craven, ha contribuito non poco a influenzare tutta la produzione slasher, inaugurata tra il 1974 e il 1978 da Black Christmas-Un Natale rosso sangue di Bob Clark e Halloween-La notte delle streghe di John Carpenter.
Anche se gli aspetti più interessanti del capolavoro hooperiano, che non rientra propriamente nel citato sottogenere, vanno individuati nella capacità di risultare tanto violento quanto disturbante senza ricorrere a eccessi splatter e, soprattutto, nel manifestare un certo retrogusto socio-politico; testimoniato sia dal modo in cui viene colpita l'istituzione familiare che dal fatto che gli orrori rappresentati sembrano quasi essere una proiezione di quelli contemporanei della guerra del Vietnam.

Non aprite quella porta parte 2 (1986)

Sebbene il capostipite terminasse con una didascalia che - poi eliminata nelle edizioni per l'home video - avvisava dell'arresto e della condanna a morte della temibile famiglia antropofaga, qui si parte da un'altra che, invece, mette al corrente lo spettatore del fatto che la polizia non trovò nessun responsabile del massacro.
Quindi, ancora sotto la regia di Hooper, si comincia con un'ottima sequenza volta a mostrare come, in piena epoca reaganiana, le vittime non siano più hippies, ma yuppies; dopo che due di essi, a bordo di un'automobile, tagliano dispettosamente la strada al veicolo che non immaginano appartenere a Leatherface, in questo caso incarnato da Bill Johnson.
Un Leatherface qui abbigliato con giacca e cravatta e affiancato dai fratelli Chop-Top e Cook, rispettivamente con i volti di Bill"La casa dei 1000 corpi"Moseley e del compianto Jim Siedow, già presente nel primo film.
E il fatto che quest'ultimo faccia della carne umana un vero e proprio business tende ad accentuare ancora di più la critica nei confronti di quello che fu il periodo d'oro del capitalismo; mentre la sadica combriccola sfrutta ora come rifugio un vecchio forte atto a testimoniare il modo in cui finiscano per rappresentare una vecchia America posta in ombra dallo sfrenato progresso tecnologico (il nonno-mummia ricordiamo che perse il lavoro al mattatoio in seguito all'introduzione delle macchine) e alla quale, quindi, non rimane che cibarsi di quella nuova per sopravvivere.
Peccato, però, che, al di là di questo interessante aspetto allegorico, l'insieme, ulteriormente impreziosito dai mai disprezzabili effetti gore di Tom Savini, non fatichi a lasciar emergere una certa pochezza di idee; costruendosi in maniera principale su una prima parte ambientata nella stazione radio di una disc jockey con il volto di Caroline"Il patrigno 2"Williams, per la quale Leatherface arriva anche a provare un sentimento, e su una seconda in cui la stessa, catturata e in fuga all'interno del citato forte, affronta i cannibali aiutata da un ranger incarnato dal mitico Dennis Hopper, che ha con loro un vecchio conto in sospeso.
Per un capitolo visivamente accattivante, ma al quale, oltretutto, non fa certo bene l'eccessiva tendenza all'ironia (citiamo solo la motosega usata come simbolo fallico).

Non aprite quella porta parte 3 (1990)

Kate Hodge - in seguito vista in Drago d'acciaio e L'alieno 2 - e William Butler, ucciso in diversi horror (citiamo solo il settimo Venerdì 13 e il remake datato 1990 de La notte dei morti viventi), sono due fratelli in viaggio che s'imbattono in un folle benzinaio che poi scopriamo appartenere alla famiglia di Leatherface.
Famiglia tutta nuova comprendente, tra gli altri, una mamma, una ragazzina che gioca con scheletri di neonati e un Viggo Mortensen ancora lontano dal successo della trilogia Il Signore degli anelli.
Mentre il gigante ritardato - in questo caso incarnato da R.A. Mihailoff e ormai trasformatosi in vera e propria icona del cinema horror - viene posto ancora più in rilievo, tanto che il titolo originale del film è Leatherface: Texas chainsaw massacre 3, ad aiutare i due protagonisti provvede il Ken Foree di Zombi, impegnato a concedere anima e corpo a un esperto d'armi che, in maniera evidente, strizza l'occhio ai muscolosi eroi del machismo reaganiano cinematografico.
Perché, in fin dei conti, ci troviamo dinanzi a un sequel tipicamente figlio della serialità cinematografica anni Ottanta, che, senza più dare troppa importanza ai sottotesti socio-politici dei due capitoli precedenti, punta soltanto a rimasticare quanto già detto per regalarlo ai fan della saga attraverso una nuova veste grafica (a partire dal nuovo look di Leatherface).
Un sequel che Jeff Burr, regista tre anni prima de Il villaggio delle streghe, dimostra, però, di saper gestire a dovere per quanto riguarda l'intrattenimento; tanto da renderlo non solo uno dei migliori appuntamenti della saga, ma anche quello che, maggiormente, sembra aver influenzato il remake del capostipite firmato nel 2003 da Marcus Nispel e diverso cinema horror d'inizio XXI secolo.
Con colonna sonora per amanti del thrash metal (si spazia da Death angel a Obsession), dalle nostre parti uscì direttamente in vhs nel 1994, in versione pesantemente tagliata; fortunatamente, però, l'edizione dvd Leatherface-Non aprite quella porta 3 offre il montaggio integrale della pellicola.

Non aprite quella porta 3 (1990)

Diretto da Claudio Fragasso - futuro autore, tra l'altro, di Palermo Milano solo andata e del suo sequel Milano Palermo-Il ritorno - sotto lo pseudonimo Clyde Anderson, non è, ovviamente, il vero terzo capitolo della serie, ma una produzione italiana che, conosciuta anche come Night killer e Incubo, non ha nulla a che vedere con le cannibalistiche vicende di Leatherface e famiglia.
Inaspettatamente, ci si ispira, invece, alla serie di Nightmare, ponendo in scena un misterioso maniaco che, armato di pericoloso artiglio e con il volto nascosto sotto una maschera da mostruoso essere calvo che ricorda il Freddy Krueger di Robert Englund, tormenta sia telefonicamente che di persona una povera sventurata - e spesso svestita - con le fattezze della Tara Buckman già vista proprio nella serie televisiva Freddy's nightmares.
Quindi, fugacemente distribuito in sala nell'estate del 1991, uno dei tanti sequel apocrifi che la nostra celluloide di genere che fu sfornava spesso (ricordiamo, tra l'altro, che Fragasso diresse anche un La casa 5 e collaborò a un Terminator 2 di Bruno Mattei); in questo caso noiosamente orchestrato tra squartamenti di vittime femminili e indagine poliziesca, ma con notevole povertà di mezzi e l'identità dell'omicida facilmente intuibile.

Non aprite quella porta 4 (1994)

Di ritorno dal ballo scolastico, quattro ragazzi - tra cui una Renée Zellweger degli esordi - finiscono prima coinvolti in un incidente automobilistico nel bosco, poi, in cerca di aiuto, nelle mani della nuova famiglia di Leatherface, stavolta incarnato dal compianto Robert Jacks e che sembra in un certo senso manifestare tendenze omosessuali (!!!).
Alla sua unica regia, dietro la macchina da presa abbiamo il Kim Henkel produttore associato e co-sceneggiatore del capostipite, il cui intento era non quello di realizzare un quarto capitolo della saga, ma un sequel diretto del film di Hooper (nel finale vi sono anche, in brevi apparizioni, i tre interpreti originali Marilyn Burns, Paul A. Partain e John Dugan).
Non a caso, ne vengono riproposti diversi momenti memorabili, dall'omicidio con martellata in pieno cranio alla sequenza in cui la vittima femminile viene appesa con la schiena al gancio per la carne; senza contare il lungo inseguimento tra il gigante ritardato con motosega e la protagonista.
Tutti elementi che, però, non fanno altro che conferire all'insieme - decisamente fiacco per quanto riguarda il lato dell'intrattenimento - i connotati di un noiosissimo e scialbo remake del capolavoro di vent'anni prima; rispetto al quale, principalmente, differisce per quanto riguarda il nucleo di psicopatici (ora non più cannibali, chissà perché?): W.E. alias Joe Stevens, il meccanico con gamba elettrica Vilmer, superbamente interpretato da un Matthew McConaughey d'inizio carriera, e sua moglie Darla, ovvero Tonie Perensky, dal seno rifattissimo.
Del resto, sia quest'ultimo aspetto che il solo fatto che la maggior parte di essi non presenti più connotati mostruosi, lascia intuire il sapore di forte critica sociale aggiornato agli anni Novanta e rivolto in maniera principale all'ossessione per l'estetica e le apparenze... ma ciò non è sufficiente a togliergli il titolo di peggior tassello del franchise.

Non aprite quella porta (2003)

Nonostante le voci che volevano imminenti sia un quinto episodio della serie che avrebbe segnato il ritorno di Gunnar Hansen, Leatherface del primo film, che il progetto The last horror picture show, nel quale sarebbero stati riuniti il Freddy Krueger di Nightmare, il Jason Voorhees di Venerdì 13 e, appunto, Faccia di pelle, a inizio terzo millennio da poco avviato fece la sua apparizione questo rifacimento del capostipite, con una ancora sconosciuta Jessica Biel nel ruolo di protagonista.
Con un cast comprendente, tra gli altri, il Jonathan Tucker de Il giardino delle vergini suicide e la Erica Leerhsen de Il libro segreto delle streghe: Blair witch 2, un plot che riprende bene o male quello originale, seppur con qualche differenza; a partire dall'assenza del robusto paralitico e dal fatto che, al posto dell'autostoppista fratello di Leatherface alias Andrew Bryniarski, i ragazzi raccolgono per strada una giovane sfuggita alla combriccola di pazzi.
Mentre l'R. Lee Ermey di Full metal jacket interpreta uno sceriffo e i nuovi protagonisti fanno uso di droghe e parlano di LSD, probabilmente al fine di ricollegare l'insieme alle regole imposte dal filone slasher, secondo le quali chi pecca è destinato a morire.
E, sebbene il nome di Michael Bay tra i produttori e certe affermazioni anti-violenza sfoderate dal regista Marcus Nispel lasciassero pensare a uno dei soliti edulcorati remake hollywoodiani, l'insieme non sembra affatto lasciare a desiderare per quanto riguarda il gore; oltre a orchestrare alcune tra le più insostenibili e sanguinolente scene di morte viste al cinema nel periodo della sua uscita in sala.
Tanto che, linguisticamente diverso dal capolavoro hooperiano, tendente al realismo tramite uno stile quasi da documentario e lo splatter soltanto accennato, punta in maniera evidente alla spettacolarità, condensando, in circa cento minuti di visione, proprio i trent'anni di evoluzione del racconto su celluloide che lo separarono da esso.
Senza dimenticare l'attacco alle istituzioni e rivelandosi uno dei titoli che hanno contribuito alla rinascita del cinema horror più sanguinolento, prima dell'arrivo delle saghe di Saw e Hostel.

Non aprite quella porta-L’inizio (2006)

Sotto la regia del Jonathan Liebesman responsabile di Al calare delle tenebre, si comincia nel 1939, anno in cui il futuro Leatherface, incarnato come nel film precedente da Andrew Bryniarski, appena venuto al mondo viene abbandonato in un cassonetto della spazzatura dalla grassa mamma che lo ha partorito all'interno di un mattatoio, per poi essere recuperato e adottato dalla folle famiglia che ormai conosciamo.
Del resto, come il titolo stesso suggerisce, è di un prequel al film di Nispel che si tratta, ambientato nel 1969 e destinato a tirare in ballo i fratelli Taylor Handley e Matt Bomer che, prossimi all'arruolamento per il Vietnam, si concedono un'ultima vacanza in Texas insieme alle rispettive fidanzate, con i connotati della Diora Baird di Horror movie e della Jordana Brewster del franchise Fast and furious.
Perché, su sceneggiatura di Sheldon Turner e del David J. Schow che scrisse anche il terzo capitolo della serie originale, la critica sociale - più o meno visibile in essa - viene ora esplicitamente allo scoperto, mostrandoci le ragioni che hanno spinto un emarginato e, per questo, affamato nucleo familiare a divorare la società che non lo accetta.
E Liebesman, pur ricorrendo alla consueta struttura basata su una lenta attesa nei confronti del massacro, forte effetti speciali di trucco a opera della più che collaudata K.N.B. EFX Group privilegia gli omicidi già a partire dai primissimi minuti, tra martelloni spacca-cranio e la vibrante lama della sega a motore sempre in movimento.
Concretizzando un cupo e angosciante spettacolo che, non privo di disturbante sadismo stemperato, spesso, da un pizzico di grottesca ironia, non concede un attimo di tregua ai nervi dello spettatore... fino allo spiazzante ed inaspettato epilogo che non solo lo rende uno dei tasselli più felici conseguiti alla pellicola di Hooper, ma riconferma l'importanza che i trasgressivi connotati del cinema bis hanno assunto, nel XXI secolo, all'interno della solitamente edulcorata industria hollywoodiana.

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