Non Aprite Quella Porta: perché la saga non sarà mai come l'originale

Con la release del sequel Netflix, cerchiamo di capire perché in cinque decenni non troviamo un film che regga il confronto col classico di Hooper.

Non Aprite Quella Porta: perché la saga non sarà mai come l'originale
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Gli anni Settanta sono stati un periodo seminale per la storia del cinema. Hanno visto la nascita di registi che oggi consideriamo veri e propri pilastri della Settima Arte ma che allora erano solo ragazzi che volevano girare film a modo loro e con una visione che si opponeva al sistema degli studios (Coppola, Friedkin, Scorsese e Spielberg per citarne solo alcuni). Tutto ebbe inizio con Easy Rider e con la nascita di un nuovo approccio nel fare cinema che presto i vari colossi di Hollywood impareranno ad apprezzare e ad abbracciare, quando verranno gettate le basi per i moderni blockbuster (da Lo Squalo, passando per la consacrazione definitiva di Star Wars).

La prima metà degli anni '70 fu di capitale importanza anche per l'horror come è evidente dalle vere e proprie icone prodotte dalla filmografia di quel decennio, dalla Linda Blair de L'Esorcista al Michael Myers di Halloween, passando per Leatherface, l'iconico antagonista di Non Aprite Quella Porta, tornato pochi giorni fa su Netflix con quello che si prefigurava un sequel diretto, ma che si è rivelato tale solo nelle intenzioni come scrivevamo nella nostra recensione di Non Aprite Quella Porta. Una saga che tra prequel, seguiti, remake e reboot conta ben nove capitoli all'attivo, nessuno dei quali è all'altezza dell'originale.

Un franchise che non esiste

Forse è bene togliere subito un ingombrante elefante dalla stanza per essere il più diretti e onesti possibile: non esiste ad oggi un franchise di Non Aprite Quella Porta. Ciò che abbiamo sono diversi start and stop che hanno più volte cercato di riavviare da zero la saga e un paio di tentati di prequel e di sequel più o meno diretti del titolo del 1974.

Uno dei motivi principali del perché la saga di Non Aprite Quella Porta è un disastro risiede nel continuo passaggio di mano dei diritti che ha visto gli interessati darsi da fare per ricontestualizzare il racconto degli anni Settanta. Un racconto nato come secondo tentativo da regista di Hooper, dopo l'insuccesso del 1969 di Eggshells, primo lungometraggio realizzato con l'aiuto di Kim Henkel, che scriverà poi insieme a lui un film liberamente ispirato al serial killer Ed Gein (già musa nera per Psycho, come lo sarà anche per Il Silenzio degli Innocenti), che creava manufatti di pelle umana tra i quali anche una maschera strappata dal volto di una vittima. Al loro antagonista, chiamato per l'occasione Leatherface, misero in mano una motosega dopo che Hooper adocchiò qualche volta di troppo l'attrezzo nel reparto ferramenta di un supermercato fantasticando di raggiungere più velocemente l'uscita in mezzo alla folla. Inserirono la controcultura e una potente satira dell'America degli anni Sessanta e Settanta calandola nel profondo sud degli Stati Uniti. Il risultato fu The Texas Chainsaw Massacre, il film scandalo bandito da molti paesi a livello internazionale.

Non Aprite Quella Porta costò poco meno di centomila dollari all'epoca e ne incassò trenta milioni solo in patria; un successo esorbitante superato solo dall'Halloween di Carpenter quattro anni dopo. Leatherface era nato, aveva conquistato il botteghino, e diviso pubblico e critica con la sua motosega ma, nonostante ciò, ci vorranno ben dodici anni prima che un sequel approdi nelle sale. E non un sequel qualsiasi.

Il ritorno alla regia di Hooper (con un budget cinquanta volte maggiore dell'originale) portò sul piatto The Texas Chainsaw Massacre 2, seguito diretto, ambientato poco più di un decennio dopo la fuga di Sally Hardesty, quando suo zio (interpretato da Dennis Hopper) decide di vendicare i delitti di Leatherface con l'aiuto di una DJ locale. L'approccio di Hooper è diametralmente opposto. La tragedia di Non Aprite Quella Porta diviene così una farsa colma di black humor; una catarsi che amplifica tutti i temi dell'originale dissacrandoli in maniera sinistra e al limite dell'assurdo, come ben esemplificano i paragoni sessuali con lo strumento di morte preferito da Faccia di Cuoio o le motoseghe incrociate in duello.

Purtroppo, in pochi capirono e apprezzarono l'operazione di Hooper, a partire dalla stessa casa di produzione, e il risultato fu evidente dal botteghino. Il demiurgo dell'opera originale aveva intuito che la via del disagio opprimente aveva raggiunto un climax completo nel primo capitolo e che serviva una forza uguale e contraria per riuscire ad eguagliare e amplificare le intenzioni di dodici anni prima in un'operazione che semina ante litteram molte trovate meta cinematografiche che oggi riconosciamo nell'opera di Craven, ad esempio, nel dualismo insito nella saga di Scream.

Tutto il resto è noia

Cosa rimane di questa saga horror così seminale per l'intera industria, se non una serie di tentativi più o (soprattutto) meno riusciti di replicare il successo economico di Non Aprite Quella Porta, compreso il film di David Blue Garcia che ha scalato le classifiche Netflix e porterà probabilmente ad un nuovo capitolo sull'implacabile Leatherface? Il prequel del 2017 intitolato come l'omonimo antagonista, oltre ad essere dimenticato dai più, pecca costantemente di superficialità non andando oltre il rilassato divertimento che pare l'unico elemento in comune tra tutte queste operazioni.

Interessante sulla carta l'idea del terzo capitolo, sempre nell'ottica reboot/sequel (al timone c'è la New Line che vuole aggiungere frecce alla sua faretra dopo il successo di Nightmare, sembra già abbastanza, no?), ma l'intento non è mai quello di scavare nel marciume della famiglia Sawyer, nella psiche malata di questo uomo-bambino che sbraita, si impaurisce e aggredisce smembrando le sue vittime. Stesso discorso praticamente per tutti gli altri titoli, compreso l'interessante esperimento del quarto film, che vede lo stesso Kim Henkel alla regia, ma che cade vittima di un mood fin troppo anni '90, con un invito più allo sbadiglio che allo spavento e si salva forse più per la presenza di Renee Zellweger e Matthew McConaughey, nonostante le intenzioni e i tentativi di mettersi sulla falsariga di Hooper, anche formalmente, siano sottotraccia. Una chance potrebbe essere data ai rispettivi tentativi di rimettere in moto la saga negli anni Duemila, dal Non Aprite Quella Porta del 2003 all'apprezzato omonimo 3D del 2013.

Entrambi contengono spunti interessanti e frangenti riusciti, ma non riescono ad essere oltraggiosi come il primo lungometraggio degli anni Settanta (sebbene, almeno dal punto di vista formale, il capitolo prodotto da Michael Bay benefici della fotografia di Daniel Pearl, lo stesso DOP del 1974). Chi ha capito un po' meglio il concetto è il prequel del 2006, Non Aprite Quella Porta: L'Inizio, che contiene anche una vena più politica, se vogliamo, ma si adagia presto su quella tendenza all'horror a tutti i costi che ha fatto perdere di vista per anni la macabra e malata parabola di Hooper.

Il peccato capitale dei continui rimaneggiamenti alla trama è stato trasformare Leatherface in un'icona slasher immortale e implacabile al pari di Freddy Kruger e Michael Myers, senza considerare il semplice fatto che Faccia di Cuoio è tutto tranne questo. Un continuo tentativo di mantenere in vita un corpo in disfacimento che meriterebbe ben altra linfa e che ricorda piuttosto il patetico gesto della famiglia cannibale di far rinsavire il nonno imbalsamato nel glorioso titolo del ‘74, vivendo del riflesso della motosega di Leatherface che è ancora là a scintillare per la disperazione e la rabbia in un tramonto infinito.

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