Speciale Nobody wants the night: Tre donne alla conquista di Berlino

Isabel Coixet, Juliette Binonche, Rinko Kikuchi: tre personalità estremamente diverse conquistano il primo giorno di Berlinale.

Speciale Nobody wants the night: Tre donne alla conquista di Berlino
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C’è poco da dire, il 65° Festival Internazionale di Berlino lo hanno decisamente conquistato le donne, grandi protagoniste dentro e fuori dallo schermo del film d’apertura Nobody wants the night. Prima fra tutte la regista spagnola Isabel Coixet, ormai talmente a suo agio all’interno della kermesse berlinese (è alla sua sesta presentazione, più una comparsa come membro della giuria nel 2009) da permettersi un vero e proprio show in conferenza stampa: ad accompagnarla una splendida e non da meno Juliette Binoche e la deliziosa Rinko Kikuchi che molti ricorderanno, oltre che per Babel - ruolo che le valse una nomination all’Oscar come miglior attrice non protagonista nel 2006 - per il ruolo di Mako in Pacific Rim, diretta dal non proprio sconosciuto Guillermo Del Toro. Una spumeggiante, una determinata ed estremamente articolata, l’altra timida e tranquilla: tre personalità estremamente diverse eppure perfettamente incastonate rappresentano il lato tutto femminile del cinema, dalle mille sfaccettature interessanti da vedere e da ascoltare.

Isabel Coixet: “più potere alle donne nel cinema”.

La più agguerrita è sicuramente il timoniere di questa nave in rosa, la regista Isabelle Coixet: giubbotto nero da rocker ed atteggiamento tipico di chi si sente completamente a suo agio, spara a zero su qualsiasi argomento, senza preoccuparsi di zittire un giornalista che ha avuto l’ardire di argomentare riguardo le differenze di genere: « Parlare di differenza tra i sessi è così noioso, ho l’impressione che si parli sempre della stessa cosa, come in un circolo, e torniamo sempre allo stesso punto. Si dovrebbe parlare di meno e agire di più. » rincara poi la dose successivamente, rispondendo a chi le chiede come fa a girare a ritmi così elevati. La risposta arriva senza peli sulla lingua: « non lo so, forse ho il pisello! »

La regista trova anche il tempo di parlare delle varie coproduzioni che si sono alternate durante il periodo di riprese, e non sembra intenzionata ad edulcorare la verità riguardo i norvegesi: « Non ci siamo trovati bene in Norvegia, il cibo era scadente ed una volta non hanno nemmeno dato la colazione a Juliette (Binoche, ndr) ». A prendersi tutti i meriti arrivano invece i bulgari, le cui lodi non si risparmiano: « Mi sono trovata molto bene in Bulgaria, la produzione è stata molto accomodante e ci siamo sentiti a casa: spero di ripetere presto l’esperienza, voglio tornare a girare lì ». Ma tra una battuta e l’altra, l’agguerrita Coixet ha tempo anche per una riflessione più profonda che torna a parlare di nuovo di differenza tra i sessi: « Tentare di vivere girando film oggi significa percorrere una strada piena di buche. Io non voglio la strada spianata, ma pretendo lo stesso numero di buche di un regista maschio. »

Juliette Binoche: “grazie a Josephine sono tornata con i piedi per terra”.

Più garbata, metodica ed articolata si dimostra invece Juliette Binoche, a cui tocca il compito di rivelare immediatamente uno dei piccoli segreti del film che sta dietro alla sua performance: « Sono felice che abbiate sentito il freddo » afferma infatti in risposta a chi complimenta la sua performance, « perché in realtà noi stavamo morendo di caldo. Abbiamo avuto solo 10 giorni di set in esterna in Norvegia, il resto è stato girato tutto in studio sotto le luci. Ho dovuto creare i brividi in me, ed il fatto che siano credibili mi fa enormemente piacere, è questa la magia del film. » C’è spazio anche per un aneddoto divertente, raccontato dalla stessa Binoche: « Per qualche giorno ho avuto a disposizione una cella frigorifera, e mi chiudevo lì dentro per qualche minuto prima di girare! »
Riguardo alla sua performance ed al rapporto con Josephine Peary, la Binoche racconta: « Ho letto i libri scritti da lei, anche se le più grandi fonti di ispirazione sono state lo script ed il lavoro di Isabel Coixet. Da Josephine Peary ho ricevuto molto, ma più di ogni altra cosa mi ha insegnato ad avvicinarmi ad un mondo che non è il mio, e a stare più con i piedi per terra. Lei all’inizio è come un pavone, si sente padrona del suo universo e della sua cultura, ma con il tempo capisce che la natura non è domabile: in quel momento si abbassa, diventa come un cane a quattro zampe, si avvicina alla terra e ne trae un nuovo rispetto. »

Rinko Kikuchi: “è bello esplorare un personaggio non giapponese”

Più timida e meno comunicativa, ma non per questo meno interessante, Rinko Kikuchi si esprime più con i gesti che con le parole e cerca spesso l’aiuto di Isabel Coixet. Eppure, quando le parole arrivano, confermano il suo portamento ed il suo modo di esprimersi, aiutate dal tono di voce basso e delicato. « Ho sempre voluto lavorare con Isabel di nuovo, dopo Map of the sounds of Tokyo. È stato bello soprattutto avere la possibilità di raccontare un personaggio non di origine giapponese, ma inuit: ho dovuto cercare in me un modo autentico di raccontare questo personaggio, nello sguardo, nei movimenti. Mi è stato molto utile il consulente inuit che avevamo sul set ». A concludere, un’ultima battuta sul suo personaggio: « Quello che ho amato di Allaka è la sua purezza: è come una bambina che scopre un mondo nuovo, e si affaccia ad esso con estrema innocenza. »

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