Mostra del Cinema di Venezia 2020: la Biennale al tempo del Covid

Ora che questa 77esima Mostra del Cinema di Venezia è finita, facciamo un bilancio su com'è andata questa particolare edizione ai tempi del Covid.

Mostra del Cinema di Venezia 2020: la Biennale al tempo del Covid
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Fuor di dubbio che questa Mostra del Cinema di Venezia 2020 sarà ricordata a lungo, sia per l'importanza, in era Covid-19, di avere comunque portato il grande cinema al Lido, sia per ciò che ha significato per una settima arte alle prese con mutamenti profondi.
"L'edizione delle donne" è stato detto, ed è innegabile che Venezia 77 si sia colorata di rosa come nessun'altra, abbia visto il trionfo di registe, attrici, che nei film più importanti hanno avuto un ruolo preponderante.
Forse in nessuna edizione la Coppa Volpi femminile è stata così contesa, così incerta, con quattro attrici che potevano rivendicarne l'assegnazione in virtù di performance di assoluto livello. Perciò facciamo assieme una panoramica di quello che è stato presentato alla settantasettesima Mostra del Cinema di Venezia.

La terra dei nomadi

Sicuramente il protagonista annunciato di questo festival è stato Nomadland, diretto da Chloé Zhao, che già con The Rider aveva mostrato l'America abbandonata delle Grandi Pianure, il "Grande Paese" naufragato nella povertà e solitudine.
Un Leone d'Oro che alcuni avevano definito già assegnato prima dell'inizio del Festival, ma che dire di fronte a una tale performance da parte di Frances McDormand? Formidabile nei panni di Fern, vedova che negli USA impoveriti di fine anni '80 è costretta a un'esistenza nomade da fantasma, come molti altri in quegli anni.
Tratto dall'inchiesta svolta a suo tempo dalla giornalista Jessica Bruder, il film della Zhao ha proposto una prospettiva inedita sull'America "bianca" dilaniata ancora oggi da crisi e conflitti, quella che ha votato Trump e che a novembre chissà che farà, quella che il cinema raramente ci mostra e men che meno la televisione. Nomadland è un film intenso, doloroso, vero, sulla fine della civiltà.

Macellerie messicane e russe

La fine della civiltà è stata al centro anche di Nuevo Orden, il film certamente più sorprendente e coraggioso di Venezia 2020, vincitore del Gran Premio della Giuria, diretto con mano fenomenale da Michel Franco. Un'opera corale e feroce, distopica ma meno di quanto si pensi.
Il matrimonio di due rampolli dell'alta borghesia di Città del Messico diventa il tempio di una rivolta sanguinolenta e caotica, il primo atto di uno stravolgimento della società, dei valori e della legalità.
L'eversione come conseguenza di questa e di tutte le rivoluzioni di sempre fa della pellicola di Franco un film sulla fine della politica, sulla morte dello Stato, della cosa pubblica, del patto tra uomini, distrutto molto prima dei corpi e delle vite.
Lo vediamo ovunque: le masse non sono ascoltate, le elite ingenuamente si chiudono nei loro castelli, ma così facendo cedono alla forza bruta, al potere militare. Un film sulla Storia.

Qualcosa di simile, connesso allo stesso modo alla morte della democrazia, lo ha portato il fuoriclasse russo della cinepresa Andrei Konchalovsky. Dear Comrades! , che ha ricreato in un bianco e nero sontuoso il Massacro di Novoerkassk, si è preso un meritato Premio speciale della Giuria.
La Russia del 1962 è sinistramente simile a quella odierna, in cui i dissidenti e la verità finiscono sotto terra, dove il "sistema" protegge sé stesso, mentre le diverse componenti combattono l'una contro l'altra.
Ma è anche simile alle democrazie decadenti di oggi, in cui la forza è la sola risposta del potere costituito alle proteste delle masse.

La vittoria di Vanessa Kirby

Cinema della memoria civile anche quello di Quo Vadis, Aida!, di Jasmila Zbanic, sulla strage di Srbrenica: inizialmente partito come favorito, poi ridimensionatosi mano a mano che i nuovi titoli si accavallavano.
Jasna Duricic può recriminare qualcosa forse per la sua grande performance di attrice, ma nulla ha potuto di fronte a questa Vanessa Kirby, alla doppia prova con Pieces of a Woman e The World to Come.
Tragico, doloroso e potente affresco su una coppia distrutta dalla perdita della figlia, Pieces of a Woman ha avuto in Kornél Mundruczó un regista di grande sensibilità ed eleganza, capace di guidarci dentro due esistenze fuse in un solo dolore.
Di certo ha permesso all'attrice britannica di mettere in mostra il suo straordinario talento espressivo, capace di far comprendere fino in fondo il dramma della perdita della maternità.
La Kirby ha stregato con la sua luminosità anche in The World to Come, dramma familiare nell'America di metà Ottocento, incentrato su una relazione saffica negata e distrutta da mariti o troppo vili o troppo crudeli per farsi da parte.
Film forse un poco pretenzioso nella sostanza ma splendido nella forma, diretto con eleganza da Mona Fastvold.

Nicchiarelli e Kurosawa

Bravissima comunque anche Romola Garai con la sua Miss Marx, diretta con grande maestria da Susanna Nicchiarelli.
L'attrice però è rimasta limitata da un film troppo legato alla dimensione melò, piuttosto che a quella politica ed emancipatrice del personaggio storico.
I bei costumi, i dialoghi, la raffinatezza della costruzione non sono bastate per compensare il peccato originale alla base di quest'opera, che tradisce il nome e l'eredità della sua protagonista, davvero troppo "rockeggiante".
Ha lasciato di stucco non pochi tra gli italiani vedere Kurosawa premiato come Miglior Regista, per il suo Moglie di Una Spia, accolto in modo tiepido dalle nostre penne rispetto a una stampa straniera che invece ne ha colto la grandezza del racconto e la maestria della composizione.
Ma la differenza di valutazione tra la critica italiana e quella internazionale è una diatriba che probabilmente non avrà mai fine, che anche quest'anno ha prodotto visioni veramente opposte.

Un'Italia in chiaro-scuro

L'Italia esce non molto bene da questa rassegna. I Predatori del talentoso Pietro Castellitto ha vinto come Miglior Sceneggiatura nella sezione Orizzonti grazie a una commedia graffiante, irriverente, una sferzante scudisciata alle classi alte e basse della nostra società.
Fa rimanere davvero sorpresi constatare che per certa stampa estera il film inneggerebbe al fascismo, quando fa esattamente il contrario.
Ma per il resto non è andata molto bene. Padrenostro ha deluso, noi abbiamo apprezzato Lacci ma è stato accolto in maniera tiepida al festival.
Notturno, documentario fiume di Rosi, ha diviso e attirato sia complimenti che critiche non da poco, bene invece Le Sorelle Macaluso di Emma Dante, ma sperare in qualcosa di più dei complimenti, data la concorrenza, era veramente troppo.
La Coppa Volpi data a Favino profuma molto di consolazione nazional-popolare e di "furto" al bravissimo Alec Utgoff visto in Non ci sarà mai più la neve.

A ogni modo, è stato un Festival di qualità, forse più in Orizzonti che nella Selezione Ufficiale.
Eppure, in questa Venezia 2020 mascherata, risplende sempre e comunque la difesa della settima arte come profondità di visione, eterogeneità di sguardi e sentimenti. Sicuramente si può dire che il presidente Barbera sia stato il grande vincitore di questa scommessa.
Lui e la stampa, che pazientemente si è piegata alle necessità di un'emergenza che ha contribuito a tenere lontani grandi nomi e titoli della cinematografia anglosassone, a eccezione di One Night in Miami, che potremmo rivedere alla serata degli Oscar.

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