Da Morbius a Strange World: i peggiori flop del 2022

Chiudiamo l'anno cinematografico con una classifica che trasuda aspettative tradite, remake indegni e disastri al botteghino.

Da Morbius a Strange World: i peggiori flop del 2022
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Proprio come il tempo che rimargina ogni tipo di ferita, ripensare all'ultimo anno cinematografico quando siamo ormai giunti alla sua conclusione fa tornare alla mente soltanto i momenti migliori, i film più emozionanti e le grandi sorprese spuntate dal nulla. Eppure il 2022 è stato un periodo colmo di ombre fittissime, dimenticate soltanto in parte grazie alle immense luci di pellicole straordinarie (basti pensare ai migliori film del 2022): riguardando con attenzione a tutte le opere distribuite quest'anno (al cinema o in streaming), appare evidente come un mare di titoli mediocri abbia quasi soffocato la bellezza di un anno comunque da ricordare.

Sotto l'albero di questo 2022 ci sono doni magnifici che porteremo con noi per tutta la vita, ma anche regali raffazzonati, inopportuni, o semplicemente deludenti, perché li attendevamo con un'attesa spasmodica che adesso ci fa sentire un po' sciocchi. Abbiamo navigato tra questi ultimi per fornirvi l'elenco dei peggiori flop dell'ultimo anno, così da poter imparare qualcosa anche dagli sbagli più cocenti nella speranza che certi errori non vengano mai più ripetuti.

Non Aprite Quella Porta

Il titolo di questo film è ormai diventato un monito per chiunque si accinga a riproporre un classico dell'horror ai giorni nostri, perché dal capolavoro di Tobe Hooper sono trascorsi quasi cinquant'anni, e da allora sono state partorite altre otto pellicole per questo franchise: tra remake, sequel e re-immaginazioni, quasi nessuno di questi figli illegittimi si salva da una triste mediocrità. Non ci riesce nemmeno l'ultimo arrivato, quel film Netflix che vi abbiamo raccontato a febbraio con la recensione di Non Aprite Quella Porta, un'opera che aveva l'ardire di configurarsi come un sequel diretto dell'omonimo datato 1974.

Il collegamento con quella gemma del terrore si ritrova davvero soltanto nel nome perché, tra un salto temporale lungo decenni e personaggi calati nel contesto social dei nostri giorni, le sensazioni grottesche latitano e la paura non irrompe mai sullo schermo. Qualcuno potrebbe crogiolarsi in una sana dose di goduria horror durante la visione, grazie al numero elevato di squartamenti ed omicidi efferati, ma chi si aspettava un successore degno di quel nome pesantissimo per il cinema di genere non può che rimanere deluso dalla pellicola di David Blue Garcia.

Morbius

Non Aprite Quella Porta era anticipato da un'attesa minima e preoccupata, proprio a causa dei tanti film scialbi presenti nello stesso franchise, mentre il Morbius di Sony Pictures veniva considerato un gigantesco fallimento ancor prima della sua distribuzione al cinema, affossato da un pubblico che ancora non aveva digerito i due disastri targati Venom. Di solito le prese di posizione precoci sono ingiustificate, ma questa volta la rabbia dei fan era ben riposta, perché il film dedicato all'antieroe del Ragnoverso si è rivelato un minestrone di idee già vecchie portate sullo schermo senza alcuna originalità.

Come vi dicemmo con la nostra recensione di Morbius, la pellicola non può essere definita come un "brutto film" perché non soffre di errori evidenti - a parte una sezione centrale troppo lenta -, ma la sua scrittura mediocre solleva numerose domande sull'effettiva necessità di una pellicola che nessuno voleva. Grazie ad un assurdo gioco di delusione cocente ed ironia, l'opera è diventata famosa per i meme che le venivano dedicati, convincendo addirittura Sony a programmare una seconda distribuzione al cinema nel tentativo di sfruttare questa inaspettata popolarità, condannando Morbius ad una seconda umiliazione mondiale al botteghino.

Diabolik: Ginko all'Attacco

Non possiamo assolutamente parlare di umiliazione in questo caso, ma nemmeno il secondo capitolo della nuova avventura al cinema di Diabolik ha riempito le casse dei cinema, anche a causa della ricezione contrastata che ha tenuto al palo il primo film. Uscita in concomitanza con Spider-Man: No Way Home, l'opera dei Manetti Bros venne snobbata da una larga fetta di utenza di riferimento, ma fu apprezzata per il suo approccio peculiare al mondo dei cinecomic.

Il suo sequel, come vi dicevamo nella recensione di Diabolik 2 Ginko All'Attacco, non riesce a replicare la magia e annega in un oceano di stereotipi e caricature, portati inoltre sul grande schermo da interpretazioni non all'altezza dei grandi nomi del cast. Il Ginko di Valerio Mastandrea si prende le luci della ribalta in questo secondo capitolo, ma lascia in un'ombra crudele i suoi comprimari costringendoli a partecipazioni poco sentite, per nulla aiutati da una scrittura che - sebbene tenga fede ai fumetti delle sorelle Giussani - si rivela banale e prevedibile. L'ultimo capitolo della saga non è in discussione, essendo stato girato in contemporanea a questo sequel, ma la tiepida ricezione di pubblico e critica lo mette già in una situazione molto complicata.

Occhiali Neri

Rimaniamo in tema di delusioni tricolore, spostandoci dal nero di una calzamaglia storica a quello di un paio di occhiali indossati da una non vedente, perché il 2022 è stato l'anno che ha segnato l'inatteso ritorno come regista di Dario Argento. Il maestro dell'horror che il mondo intero ci invidia, autore di pellicole semplicemente inarrivabili per stile ed inventiva, era scomparso dai radar per dieci lunghissimi anni a seguito di opere ben poco memorabili, di sicuro indegne di un paragone con Suspiria o Phenomena.

Occhiali Neri era perciò atteso con un certo grado di timore, e ancora una volta è stato davvero meglio non fidarsi, perché la storia di Diana e di un serial killer di escort - ve l'abbiamo descritta nella recensione di Occhiali Neri - si rivela troppo antiquata per il pubblico moderno, ma sono soprattutto gli estimatori del Maestro del Brivido a sentirsi traditi da un'opera che cerca di accalappiarli soltanto nella forma di un thriller all'italiana, dimenticando gli altri numerosi elementi che avevano reso la sua filmografia fondamentale per il nostro cinema.

Don't Worry Darling

Di Dario Argento continueremo a discutere ancora a lungo, nonostante tutti i suoi inciampi passati e futuri, così come si è parlato molto dell'ultimo lungometraggio diretto da Olivia Wilde, al centro di un vero e proprio ciclone di notizie che poco o nulla c'entravano col film in sé.

Dal controverso e combattuto licenziamento di Shia LaBeouf agli evidenti contrasti con la sua attrice protagonista, quella Florence Pugh che ha limitato al massimo il suo coinvolgimento nella promozione della pellicola presentandosi soltanto al red carpet di Venezia, mentre la stessa regista affermava nelle interviste che la pellicola era incentrata soltanto sulle donne, e che per gli uomini non c'era alcuno spazio.

Ogni pubblicità è una buona pubblicità, non a caso furono in molti ad essere attratti dall'opera anche senza sapere di cosa trattasse: Don't Worry Darling meritava tutto questo clamore? Decisamente no, come vi abbiamo detto nella recensione di Don't Worry Darling, perché non propone nulla di nuovo nel macrogenere dei film distopici, e ha senso di esistere soltanto per l'ennesima grande interpretazione di Florence Pugh.

Strange World

Da un ciclone di notizie, gossip e recriminazioni passiamo al suo triste opposto, perché l'ultimo classico Disney - che vi abbiamo descritto nella recensione di Strange World - ha fallito l'appuntamento al cinema ancor prima della sua distribuzione, promosso in sordina (per usare un eufemismo) e condannato all'oblio a prescindere dalla sua effettiva qualità.

A conti fatti la pellicola di Don Hall, pur senza puntare alle vette quasi irraggiungibili di altri classici Disney, si rivela un'esperienza piacevole e familiare, pregna di buoni sentimenti e di una intrigante dinamica padre-figlio. Purtroppo il silenzio totale che ha accompagnato l'uscita al cinema ha originato uno dei più grandi flop della Casa di Topolino, perché soltanto i più attenti appassionati di animazione sapevano dell'esistenza di Strange World. Non conosceremo mai le ragioni di questo abbandono pubblicitario, ma la presenza del film in questo elenco di fallimenti è tutta da attribuire alla scarsa risonanza che l'ha condannato alla catastrofe.

Pinocchio

Non è stato affatto un anno facile per l'animazione targata Disney, che - oltre al già citato flop di Strange World - ha subito le critiche feroci rivolte ad un altro titolo di punta, questa volta addirittura pubblicizzato dalla società. C'erano grandi aspettative per il live-action diretto da Robert Zemeckis, forte di un cast che vantava Tom Hanks nel ruolo di Geppetto ma, come vi dicemmo nella recensione di Pinocchio, il film si rivela essere soltanto l'ennesima riproposizione di un classico che ormai tutti conoscono a memoria.

Privo di spunti originali e ancorato agli stilemi di una narrazione che ha fatto il suo tempo, il Pinocchio di Zemeckis sembra una copia carbone dell'indimenticabile classico datato 1940, capace di lasciare perplessi nella sua definizione di live-action: una CGI onnipresente allontana il film dal realismo ed al tempo stesso spoglia la storia di quella cornice magica che l'aveva resa una delle favole più amate di sempre. Al termine della visione sono stati in molti a ritenere che il capolavoro di Collodi di per sé non fosse più sufficiente a giustificare lo sviluppo di una pellicola, e che la trama avesse bisogno di una decisa svecchiata per rapportarsi con nuovi temi e con un nuovo pubblico.

Spiderhead

Se Disney piange Netflix non ride perché, nel mare di opere appena sufficienti che come sempre ha rinfoltito un catalogo pronto a fare della quantità un vanto (nessuna delle quali è stata presa in considerazione per questa classifica, non potendo parlare di attese tradite), c'era un film sul quale erano state riversate parecchie aspettative, soprattutto da parte di una produzione che non ha badato a spese per ricreare un setting distopico ed affascinante.

Joseph Kosinski e Miles Teller si portano dietro un po' della magia di Top Gun: Maverick, ma Spiderhead abbandona in fretta il suo piglio intrigante perdendolo nell'inconcludenza di una trama fiacca e banale, che sembra quasi incapace di articolare per bene le idee da portare sullo schermo. Come vi dicevamo nella recensione di Spiderhead, l'opera con protagonista Chris Hemsworth si rivela un esperimento finito male, capace a stento di intrattenere un pubblico disinteressato, nonostante le intenzioni della piattaforma fossero quelle di renderlo l'ennesimo gioiello del catalogo.

Halloween Ends

Anche il terzo capitolo del nuovo corso di Michael Myers potrebbe essere definito un esperimento finito male, visto che - proprio come vi dicevamo nella recensione di Halloween Ends - la deriva intimista e psicologica di questo storico serial killer potrebbe lasciare l'amaro in bocca a tutti gli appassionati di uccisioni e agguati nel buio.

Il lavoro di restaurazione di David Gordon Green aveva saputo convincere con due titoli iniziali oscuri, sanguinolenti e soprattutto rispettosi del capolavoro firmato Carpenter, ma la trilogia non si chiude con i tanto attesi fuochi d'artificio a causa di un allontanamento troppo drastico dalle classiche sensazioni della serie. Halloween Ends racconta una particolare saga familiare, ed anche la discesa nel baratro di un uomo diventato assassino, rivelandosi un capitolo indubbiamente coraggioso e fuori dagli schemi, ma imperfetto nella sceneggiatura ed a tratti superficiale nel voler proporre tanti spunti di discussione.

Amsterdam

E tanti spunti di discussione li ha proposti anche Amsterdam, non tanto per la riuscita generale di una sceneggiatura dimenticabile, quanto per l'annosa questione che viene sollevata ogni qualvolta ci si ritrova con un eccesso di apparente positività: è proprio vero che "il troppo storpia", perché l'ultimo film di David O. Russell sembra collassare sotto il peso di un cast allucinante, incapace di infondere la giusta importanza ad ognuno dei suoi attori stellari.

La fotografia di Lubezki e l'ennesima prova attoriale di spessore da parte di Christian Bale sono gli unici elementi che abbiamo salvato nella recensione di Amsterdam, mentre una narrazione prolissa e confusionaria hanno decretato un insuccesso al botteghino che si è tradotto in una perdita da 100 milioni di dollari per la New Regency.

Un flop colossale da parte di un regista che prima di Amsterdam non aveva tradito le attese, sebbene le sue ultime uscite non fossero all'altezza dei fantastici film degli esordi, continuando a regalare ottime storie ad un pubblico che lo seguiva con vivo interesse. Come accade in ogni altro ambito lavorativo ed artistico, anche i migliori possono sbagliare, per questo speriamo che il duro colpo accusato nel 2022 non si riveli mortifero per la carriera di David O. Russell.

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