Men in Black, l'iconico film cult diretto da Barry Sonnenfeld nel 1997 che, tra l'altro, ha fatto entrare nella leggenda l'intramontabile battuta "l'unico scarafaggio buono è uno scarafaggio morto", ha dato vita a una serie di sequel più o meno gradevoli, riuscendo comunque a mantenere un ottimo livello qualitativo in un'ottica generale. Nonostante lo scivolone del recente reboot Men in Black: International, il brand ha continuato a rimanere nel cuore di milioni di appassionati, ed è proprio per questo che oggi proveremo ad analizzare una delle scene forse più divertenti del primo indimenticabile capitolo, cioè quella legata al test d'intelligenza.
Perché siamo qui esattamente?
Uno dei protagonisti del film, l'agente di polizia James Edwards, viene da subito usato all'interno dell'opera per creare un profondo legame empatico con lo spettatore, così da farci scoprire via via tutti i segreti che la stessa organizzazione dei Men in Black ha continuato gelosamente a custodire nel corso del tempo. Un reparto, quello dei MIB, intenzionato a selezionare i migliori individui possibili da far entrare in squadra, organizzando un particolare test, suddiviso in numerose prove da superare, così da decretare l'agente più adatto nello svolgere le loro particolari, anzi, particolarissime, missioni. Fin dai primi secondi James ci viene presentato come un vero e proprio pesce fuor d'acqua, spiazzato tanto dall'ascensore in cui si trova (le cui porte si aprono alle sue spalle) quanto dalla situazione a tratti assurda che deve affrontare, costretto, per così dire, a superare un test d'intelligenza a cui partecipano anche numerose persone dei più prestigiosi reparti speciali statunitensi.
Il protagonista, mostrato anche a livello visivo come un virus all'interno del contesto in cui si trova (la sua giacchetta rosso fuoco risulta un vero e proprio pugno in un occhio rispetto all'outfit molto più serioso e inquadrato dei suoi colleghi) non sembra però curarsi più di tanto dell'aura formale che vige all'interno della stanza, ignorando anche il fatto di essere l'ultimo a essersi presentato all'evento. La sua indole sopra le righe e per certi versi sfrontata lo porta però a fare una semplice domanda a Z, uno dei membri del MIB, particolare che lo pone di fatto in modo diverso rispetto a tutti gli altri partecipanti. La stessa battuta riguardante Capitan America (fatta per indicare l'eccessiva compostezza e precisione del militare che decide di rispondergli) non fa altro che confermare la stessa psicologia del personaggio, letteralmente in grado di pensare fuori dai soliti schemi precostituiti preferendo i fatti alla teoria. Lo sguardo del tenente verso il protagonista, capace di tradire una sorta di superbia da parte sua riguardo a quello che da tutti viene considerato l'anello debole del gruppo, non fa altro che confermare la poca stima e considerazione che, implicitamente, le altre persone chiamate a fare il test provano per lui.
Questo lo prendo io
Quando il test d'intelligenza vero e proprio comincia (che prevede la risposta corretta a un questionario) i momenti esilaranti si sprecano, grazie al susseguirsi di brevi scene in cui vediamo tanto James, quanto gli altri personaggi, provare a rispondere alle varie domande. Da subito però salta all'occhio una cosa: il problema principale, per tutti quanti, non sembra infatti legato alla difficoltà o meno del test cartaceo, quanto invece nell'inserire semplicemente le risposte sul foglio. Per via di strane sedie scomodissime, oltretutto prive di qualsivoglia punto di appoggio per scrivere in maniera ottimale, i numerosi candidati non riescono fisicamente a compilare il modulo, particolare che mette tutti quanti in una situazione di reale difficoltà, nonostante i numerosi sforzi compiuti per trovare una soluzione.
James, una volta compreso che è di fatto impossibile (o comunque difficilissimo) compilare il test senza fare affidamento a una struttura dove appoggiare il foglio, decide, con una nonchalance davvero invidiabile, di attirare a sé l'unico tavolo disponibile nella stanza. La sequenza, realmente spassosa, decide di focalizzarsi ancora una volta sull'indole realmente sfrontata del protagonista che, nonostante il fastidioso rumore generato dallo spostamento del pesante tavolo verso la sua posizione, decide di continuare come se nulla fosse nell'incredulità generale.
Nonostante in un primo momento James appaia come un folle, una volta ottenuto ciò che vuole la prospettiva generale si ribalta facendo partecipe anche lo spettatore del vero scopo del test: usare il tavolo. L'azione da svolgere, che in realtà non è stata presa in considerazione da nessuno a parte il protagonista, ci fa così comprendere la capacità dello stesso di aver saputo sfruttare appieno il proprio spirito critico per analizzare a fondo l'ambiente circostante, in modo da trovare la soluzione al suo problema.
Un'abilità, da questo punto di vista, in grado di farlo svettare anche sui suoi colleghi all'apparenza più prestanti tanto dal punto di vista fisico che culturale, traditi però proprio dal loro modo di pensare esageratamente incline alle regole, funzionale appunto per un tipo di ambiente didattico quanto accademico, ma sicuramente non sufficiente per far parte dei MIB. Lo stesso consiglio del protagonista per i colleghi a usare il tavolo denota un altro aspetto del suo carattere, sicuramente sfrontato, sopra le righe e a tratti pieno di sé ma comunque di buon cuore. Il concetto legato al pensare fuori dagli schemi verrà anche riproposto nella scena del tiro al bersaglio, in cui solo James sceglierà di colpire il cartonato della bambina senza curarsi del resto. Una sequenza atta quindi a presentarci una delle qualità tipiche del protagonista, cioè quella legata al suo straordinario spirito di adattamento, semplicemente fondamentalmente per chiunque voglia anche solo pensare di entrare a far parte dei Men in Black.
Men in Black: riviviamo la scena del test d'intelligenza
Analizziamo insieme una delle scene più spassose del primo, storico, film della saga sci-fi Men in Black: quella del test d'intelligenza.
Men in Black, l'iconico film cult diretto da Barry Sonnenfeld nel 1997 che, tra l'altro, ha fatto entrare nella leggenda l'intramontabile battuta "l'unico scarafaggio buono è uno scarafaggio morto", ha dato vita a una serie di sequel più o meno gradevoli, riuscendo comunque a mantenere un ottimo livello qualitativo in un'ottica generale.
Nonostante lo scivolone del recente reboot Men in Black: International, il brand ha continuato a rimanere nel cuore di milioni di appassionati, ed è proprio per questo che oggi proveremo ad analizzare una delle scene forse più divertenti del primo indimenticabile capitolo, cioè quella legata al test d'intelligenza.
Perché siamo qui esattamente?
Uno dei protagonisti del film, l'agente di polizia James Edwards, viene da subito usato all'interno dell'opera per creare un profondo legame empatico con lo spettatore, così da farci scoprire via via tutti i segreti che la stessa organizzazione dei Men in Black ha continuato gelosamente a custodire nel corso del tempo.
Un reparto, quello dei MIB, intenzionato a selezionare i migliori individui possibili da far entrare in squadra, organizzando un particolare test, suddiviso in numerose prove da superare, così da decretare l'agente più adatto nello svolgere le loro particolari, anzi, particolarissime, missioni.
Fin dai primi secondi James ci viene presentato come un vero e proprio pesce fuor d'acqua, spiazzato tanto dall'ascensore in cui si trova (le cui porte si aprono alle sue spalle) quanto dalla situazione a tratti assurda che deve affrontare, costretto, per così dire, a superare un test d'intelligenza a cui partecipano anche numerose persone dei più prestigiosi reparti speciali statunitensi.
Il protagonista, mostrato anche a livello visivo come un virus all'interno del contesto in cui si trova (la sua giacchetta rosso fuoco risulta un vero e proprio pugno in un occhio rispetto all'outfit molto più serioso e inquadrato dei suoi colleghi) non sembra però curarsi più di tanto dell'aura formale che vige all'interno della stanza, ignorando anche il fatto di essere l'ultimo a essersi presentato all'evento.
La sua indole sopra le righe e per certi versi sfrontata lo porta però a fare una semplice domanda a Z, uno dei membri del MIB, particolare che lo pone di fatto in modo diverso rispetto a tutti gli altri partecipanti.
La stessa battuta riguardante Capitan America (fatta per indicare l'eccessiva compostezza e precisione del militare che decide di rispondergli) non fa altro che confermare la stessa psicologia del personaggio, letteralmente in grado di pensare fuori dai soliti schemi precostituiti preferendo i fatti alla teoria.
Lo sguardo del tenente verso il protagonista, capace di tradire una sorta di superbia da parte sua riguardo a quello che da tutti viene considerato l'anello debole del gruppo, non fa altro che confermare la poca stima e considerazione che, implicitamente, le altre persone chiamate a fare il test provano per lui.
Questo lo prendo io
Quando il test d'intelligenza vero e proprio comincia (che prevede la risposta corretta a un questionario) i momenti esilaranti si sprecano, grazie al susseguirsi di brevi scene in cui vediamo tanto James, quanto gli altri personaggi, provare a rispondere alle varie domande.
Da subito però salta all'occhio una cosa: il problema principale, per tutti quanti, non sembra infatti legato alla difficoltà o meno del test cartaceo, quanto invece nell'inserire semplicemente le risposte sul foglio.
Per via di strane sedie scomodissime, oltretutto prive di qualsivoglia punto di appoggio per scrivere in maniera ottimale, i numerosi candidati non riescono fisicamente a compilare il modulo, particolare che mette tutti quanti in una situazione di reale difficoltà, nonostante i numerosi sforzi compiuti per trovare una soluzione.
James, una volta compreso che è di fatto impossibile (o comunque difficilissimo) compilare il test senza fare affidamento a una struttura dove appoggiare il foglio, decide, con una nonchalance davvero invidiabile, di attirare a sé l'unico tavolo disponibile nella stanza.
La sequenza, realmente spassosa, decide di focalizzarsi ancora una volta sull'indole realmente sfrontata del protagonista che, nonostante il fastidioso rumore generato dallo spostamento del pesante tavolo verso la sua posizione, decide di continuare come se nulla fosse nell'incredulità generale.
Nonostante in un primo momento James appaia come un folle, una volta ottenuto ciò che vuole la prospettiva generale si ribalta facendo partecipe anche lo spettatore del vero scopo del test: usare il tavolo.
L'azione da svolgere, che in realtà non è stata presa in considerazione da nessuno a parte il protagonista, ci fa così comprendere la capacità dello stesso di aver saputo sfruttare appieno il proprio spirito critico per analizzare a fondo l'ambiente circostante, in modo da trovare la soluzione al suo problema.
Un'abilità, da questo punto di vista, in grado di farlo svettare anche sui suoi colleghi all'apparenza più prestanti tanto dal punto di vista fisico che culturale, traditi però proprio dal loro modo di pensare esageratamente incline alle regole, funzionale appunto per un tipo di ambiente didattico quanto accademico, ma sicuramente non sufficiente per far parte dei MIB.
Lo stesso consiglio del protagonista per i colleghi a usare il tavolo denota un altro aspetto del suo carattere, sicuramente sfrontato, sopra le righe e a tratti pieno di sé ma comunque di buon cuore.
Il concetto legato al pensare fuori dagli schemi verrà anche riproposto nella scena del tiro al bersaglio, in cui solo James sceglierà di colpire il cartonato della bambina senza curarsi del resto.
Una sequenza atta quindi a presentarci una delle qualità tipiche del protagonista, cioè quella legata al suo straordinario spirito di adattamento, semplicemente fondamentalmente per chiunque voglia anche solo pensare di entrare a far parte dei Men in Black.
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