Mechanic, da Charles Bronson a Jason Statham: come nasce un cult

Mentre Mechanic: Resurrection è nella top dei più visti su Netflix, riscopriamo insieme il film originale del 1972 diretto da Michael Winner.

Mechanic, da Charles Bronson a Jason Statham: come nasce un cult
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Entrato nella top 10 settimanale di Netflix - per le nuove uscite date un'occhiata a tutti i film Netflix di dicembre 2022 - Mechanic: Resurrection è il secondo episodio della saga con protagonista Jason Statham, che veste i panni dell'infallibile sicario su commissione Arthur Bishop. Ma l'interprete de I mercenari non è stato il primo ad interpretare quest'iconico personaggio che ha segnato la storia del cinema di genere, che ha esordito sul grande schermo nel 1972 con il volto di Charles Bronson, in un ruolo che anticipò di due anni quello altrettanto cult de Il giustiziere della notte (1974), capostipite che poi diede vita ad un famoso e numeroso franchise.

Come i fan di questo originale sanno, in questo caso, e a differenza del succitato remake, del Professione assassino originario non vi è stata continuazione ed era d'altronde difficile forzare la mano, dato che ci troviamo di fronte ad una sceneggiatura che chiude in maniera abbastanza netta il destino del personaggio: non facciamo spoiler diretti, ma chi è a conoscenza del finale sa bene di cosa stiamo parlando. Ma andiamo con ordine...

Mechanic: la stirpe degli assassini

La storia vede per appunto al centro della vicenda Arthur Bishop, assassino su commissione che lavora per un'organizzazione segreta su scala internazionale. L'uomo, raffinato e sofisticato, ha una morale rigida e non si fa scrupoli nell'eliminare le sue vittime, anche quando queste sono persone con cui ha rapporti di conoscenza più o meno informale. Uno dei suoi ultimi obiettivi è proprio uno degli ex leader dell'organizzazione, tale "Big Harry" McKenna, che viene ingannato da lui per poi cadere sotto i suoi colpi di pistola.

Senza alcun rimorso Bishop partecipa al funerale, dove incontra Steve, il figlio della vittima: un ragazzo viziato e sfacciato, che non guarda in faccia nessuno pur di coltivare i suoi interessi. Già dal primo incontro Bishop comprende come il ragazzo possa diventare un perfetto sicario e decide di prenderlo sotto la sua ala, per istruirlo all'arte di uccidere. Una scelta che rischia di attirargli il malcotento dei suoi superiori e che si rivelerà foriera di insidie nel procedere delle missioni, ormai compiute come una perfetta e spietata coppia di killer: ma di morte in morte, Bishop dovrà guardarsi alle spalle...

Azione e tensione in un impianto solido al punto giusto

Un inizio al cardiopalma, con la preparazione del primo omicidio che dura la bellezza di sedici minuti durante i quali non si ode un dialogo, come se ci si trovasse in una sorta di film muto. Un perfetto congegno di suspense nel quale i rumori ambientali fanno da sottofondo alle gesta di Bishop, che organizza il piano nei minimi dettagli e mette sin da subito in mostra delle doti inventive fuori dal comune, tanto è la meticolosa cura all'eccesso per realizzare un assassinio di "gran classe" che ha inoltre il fondamentale pregio di non lasciare nessuna prova tangibile per le successive indagini.

Il regista Michael Winner - storico collaboratore di Bronson, dai succitati episodi di Death Wish al western Chato (1972) e molti altri ancora - opta per una messa in scena nervosa e scattante, con la camera che si sposta spesso sui dettagli e l'oggettistica da camera nelle scene al chiuso salvo poi scatenarsi in avvincenti dinamiche action nelle numerose sequenze in esterni, che sfruttano di volta in volta i suggestivi contesti ambientali (l'ultima parte è proprio nel nostro Paese, con tanto di risaputa battuta-citazione su Napoli potenzialmente infelice) per dar vita a una certa varietà di situazioni. Inseguimenti su due o quattro ruote, sparatorie da breve o lunga distanza, combattimenti a mani nude - Bishop è iscritto ad una scuola di karate - in cento minuti ad alto tasso di adrenalina, dove la tensione è costante e vive in un raffinato equilibrio con un ludico intrattenimento di genere.

In Professione: Assassino si esalta inoltre la crescente bromance tra i personaggi principali, con il rapporto tra mentore e allievo creatosi tra Bishop e Steve che si ammanta di ulteriori sfumature fino a quella rivelazione - ampiamente prevedibile un po' per tutti - che cambia le carte in tavola e indirizza il futuro dei due verso una strada senza uscita, come poi confermato da quell'epilogo beffardo che chiude magnificamente il cerchio narrativo. Non è un caso che nella sceneggiatura originale, poi modificata, i due fossero dichiaratamente gay, elemento cambiato probabilmente per non scontentare il pubblico più bigotto dell'epoca.

Sfumature andate perdute nella versione con protagonista Jason Statham, così come quel finale che ha cambiato drasticamente le carte in tavola e aperto le porte al futuro sequel - per saperne di più leggete la nostra recensione di Mechanic: Resurrection - in attesa di un ipotetico terzo capitolo a venire. Il nostro consiglio è di approcciarsi all'originale senza pregiudizi, giacché ci troviamo davanti un film che non sente assolutamente i suoi cinquant'anni sul groppone e che è in grado di intrattenere con gusto ancora oggi.

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