Makoto Shinkai: alla scoperta del Suo Nome

Una breve retrospettiva sulla filmografia e la poetica di Makoto Shinkai, autore di 5 cm per second e Your Name

Makoto Shinkai: alla scoperta del Suo Nome
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Makoto Shinkai non è l'erede di Hayao Miyazaki, benché gli slogan pubblicitari si ostinino a dire il contrario. Il paragone con il padre dello Studio Ghibli è quanto mai inopportuno non solo per una radicale differenziazione stilistica tra i due autori, ma anche - e soprattutto - perché rischia di privare Shinkai della sua identità di regista completamente "autosufficiente", dotato di un carattere tutto personale e capace di reggersi totalmente sulle proprie gambe. Laddove Miyazaki riflette il lato magico, fantasioso e folkloristico del Giappone, Shinkai ritrae invece quello più intimo e passionale. Perché - come sosteneva Jane Austen - "ci sono tante forme d'amore quanti attimi ci sono nel tempo" e Shinkai ne è senza dubbio consapevole.
Esiste, infatti, un nucleo tematico che, pur riproponendosi con costanza, viene declinato in modi sempre diversi all'interno delle sue produzioni: è quello della separazione e dell'incolmabile distanza tra due amanti. L'uscita nelle sale italiane di Oltre le nuvole, il luogo promessoci, primo lungometraggio di Shinkai, datato 2004, ci dà l'opportunità di compiere un rapido viaggio lungo i poetici sentieri della sua filmografia, così da (ri)scoprire il talento di un autore che, senza paura di iperbole, può tranquillamente essere annoverato tra i più grandi registi della moderna animazione nipponica.

NB: L'articolo non è una raccolta di recensioni, bensì una breve retrospettiva sulla poetica cinematografica di Makoto Shinkai. Per questo, nel testo potrebbero essere contenute anticipazioni sulla trama e sullo svolgimento delle opere citate.

Sogni e nuvole

Sin dal suo esordio sul grande schermo, Shinkai inizia a tratteggiare gran parte della poetica che caratterizzerà le sue produzioni future. Un flusso di coscienza in sottofondo, una riflessione sul passato, un dialogo interiore che ci permette subito di scavare nell'animo dei protagonisti: l'incipit di Oltre le nuvole, il luogo promessoci possiede la stessa, folgorante malinconia che, nei film successivi dell'autore giapponese, si farà sempre più intensa e pervasiva. Qui l'introspezione emotiva è centrale, ma non predominante: a cornice di un rapporto (o forse di un triangolo?) amoroso c'è una storia diversa, che s'impelaga nei complessi territori della fantapolitica.

È curioso constatare come il primo lungometraggio di Shinkai sia, a livello contenutistico, anche il più ambizioso: giocando con i concetti dei multiversi e delle dimensioni parallele, il regista trasforma una semplice infatuazione adolescenziale in una intensa metafora sull'importanza delle promesse e dei sogni della gioventù. In Oltre le nuvole, gli amanti sono separati sì, ma dall'intangibilità di un sogno: nell'immaginario intessuto da Shinkai, il mondo onirico nel quale è intrappolata la dolce Sayuri - in grado di comunicare con altri universi - è infatti ciò che l'ha costretta a separarsi forzatamente dall'amato Hiroki. Il suo unico contatto con la realtà è dunque rappresentato soltanto dalla speranza che, un giorno, il giovane possa mantenere una promessa pronunciata tanti anni prima, quando erano ancora poco più che bambini. Senza riuscire a trovare una propria, equilibrata "dimensione" tra il romanticismo, la fantascienza filosofica e la costruzione di un credibile spaccato socio-politico (nel film, le due fazioni in conflitto ricordano - a chiare lettere - i fervori della guerra fredda tra USA e Unione Sovietica), Shinkai antepone le esigenze dello sviluppo psicologico dei protagonisti a quello di una narrazione un po' troppo frammentaria e disunita. Tra panorami da sogno, cieli stellati, inquadrature minuziose e campi lunghissimi che si disperdono nell'infinità degli orizzonti, però, s'intravedono comunque i primi, inequivocabili segni della mano di un maestro capace di pennellare, con grazia inusitata, tutte le più minuscole sfumature dei sentimenti: un "luogo", quello interiore, in cui Shinkai si sente indubbiamente molto più a suo agio.

I Ciliegi in fiore

"5 cm al secondo" è la velocità con cui cadono al suolo i fiori di ciliegio. Scarnificando il più possibile il sostrato narrativo ed il minutaggio (poco più di un'ora), con 5 cm per second, Makoto Shinkai compie una vera e propria dichiarazione d'intenti: il fulcro della storia, a differenza di Oltre le nuvole, diventa esclusivamente il legame sentimentale tra Takaki ed Akari, amici sin da bambini, costretti (ancora una volta) a separarsi l'uno dall'altra per cause di forza maggiore.

Senza alcuna velleità irrealistica, in 5 cm per second i due amanti sono divisi - semplicemente - dalla distanza. Tutta l'opera è scandita da monologhi intimi e delicati, che accompagnano il flusso dei tre episodi del racconto, ognuno dei quali fornisce una prospettiva diversa della vicenda e della sua maturazione. Abbandonandosi ad un lirismo amaro e triste, Shinkai realizza un elaborato esercizio di stile, un completo manifesto della sua poetica, fatta ora di microscopici dettagli scenici ora di sublimi panoramiche verso paesaggi marini e metropolitani. In 5 cm per second, insomma - nonostante la limitata durata - sono racchiusi tutti gli stilemi tipici del regista: il senso di abbandono e mestizia, l'indugiare della cinepresa su particolari naturalistici, l'innata delicatezza della sceneggiatura, la fascinazione per la cosmologia, il sincopato ritmo del montaggio (che mescola con rapidità musica ed immagini a mo' di videoclip) e, infine, l'impossibilità per gli amanti di riconoscersi e/o ritrovarsi nel groviglio cittadino, nell'asettica e vuota frenesia della modernità. In cui un fiore di ciliegio - cullato dal vento - finisce per passare inosservato.

Inseguendo le stelle

È sicuramente bizzarro che - dopo un prodotto profondamente personale come 5 cm per second - Shinkai sembri quasi "rinnegare" la propria identità filmica: a prima vista, del resto, Viaggio verso Agartha appare un'opera di caratura molto differente rispetto a quelle che l'hanno preceduta. Allo scavo sentimentale si contrappone il classico percorso di formazione di una bambina, Asuna, verso una terra magica ed antica quanto il tempo. Sotto l'influenza sia di tanta letteratura orientale, in cui il tema del viaggio acquista un valore fondamentale, sia del folklore mitologico/religioso del Sol Levante, Shinkai compone un film di "miyazakiana" memoria: i contorni più tondeggianti dei disegni, l'atmosfera immaginifica, il design delle creature che popolano le lande di Agartha e, più in generale, l'andamento narrativo, fanno pensare ad un progressivo abbandono delle sue tipiche tematiche in favore di un'animazione maggiormente "tradizionale".

Se fosse solo una pallida imitazione, allora, Viaggio verso Agartha, privo com'è di quella scintilla di genio tipica dello Studio Ghibli, sarebbe un film fallimentare. Eppure, anche in questo terzo lungometraggio, il regista ci mette del suo: lentamente, ma inesorabilmente, tornano a riaffiorare i temi a lui tanto cari, dal sentimento di lontananza ed assenza, fino all'accettazione dell'inarrestabile fluire della vita. In Viaggio verso Agartha (barbaro adattamento italiano del ben più significativo Hoshi o ou kodomo - "Bambini che inseguono le stelle"), infatti, il perno centrale della storia ruota pur sempre intorno alla separazione dei protagonisti dai loro "amori", divisi, in questo caso, non dai sogni o dalla distanza, bensì dalla morte. Pur con qualche ingenuità di troppo, chiaro sintomo di come Shinkai sappia muoversi solo a gattoni nel reame del fantasy, il film riesce lo stesso ad inserirsi (un po' a fatica) nella naturale evoluzione del cammino cinematografico dell'autore nipponico: ecco perché, invece che un innocua parabola fantastica, Viaggio verso Agartha rappresenta piuttosto «un viaggio per insegnare cosa vuol dire "addio"».

Il rombo del tuono, nel cielo nuvoloso

È con il bellissimo Il Giardino delle Parole che Shinkai raggiunge una vera pienezza autoriale, sia dal punto di vista artistico che contenutistico. I tratti dell'animazione posseggono, difatti, un tocco mai così sicuro, deciso, carico di personalità; ed allo stesso tempo, la vena "letteraria" dell'autore si intravede in una continua rincorsa alla tradizione poetica giapponese (indimenticabili - a tal proposito - i versi tratti da La raccolta delle diecimila foglie). Il Giardino delle Parole è anche uno dei rari casi, nella pur breve filmografia del regista, in cui il sentimento amoroso non è trasmesso dai raggi del tramonto o da una primavera appena sbocciata, ma dall'incessante scroscio della pioggia, da quel cielo plumbeo che, invece di incutere tristezza, diventa piuttosto veicolo di speranza.

È durante i temporali, infatti, che il giovane Takao, ancora liceale, incontra la professoressa Yukino all'interno di un grazioso gazebo del parco. Ma l'infatuazione del ragazzo potrà mai essere ricambiata? L'amore, colonna portante di Shinkai, è qui ostacolato dalla differenza d'età tra i protagonisti: 27 anni lei, 15 lui. È dunque con la "dolcezza della brevità" (il mediometraggio dura appena 45 minuti) che Shinkai disegna due ritratti umani dall'incredibile spessore psicologico ed emotivo. In un tempo limitato e condensato che non lascia spazio al superfluo, Il Giardino delle Parole va oltre la tipica concezione del romanticismo per farsi puro simbolismo: l'abilità di Takao nel creare calzature di elegante manifattura diviene, d'altronde, metafora (sottesa ed esplicita al contempo) del reciproco supporto che i due protagonisti si forniscono a vicenda per camminare verso percorsi di crescita paralleli, che difficilmente, nonostante le aspettative, si intersecheranno. Né in un mattino di sole, né al caldo abbraccio del crepuscolo, né sotto un cielo nuvoloso.

Tante, tante vite passate

Your Name non è "soltanto" il capolavoro di Makoto Shinkai ma anche uno dei migliori esponenti della storia recente dell'animazione. Il motivo è presto detto: raramente abbiamo assistito ad un tale connubio di grazia e potenza narrativa, spensieratezza e amarezza, profondità concettuale e visiva.

Your Name è un turbinio incessante d'emozioni che travolge ed incanta, destabilizza e sorprende. Perché, a differenza di tante altre opere similari (comprese quelle di Shinkai stesso), è un film inaspettato: l'abusato espediente del "body switch" non è altro che una scusa superficiale per raccontare una storia in verità molto più complessa, che si tramuta ben presto in un inarrivabile "poema animato" sul ruolo del destino. Taki, ragazzo di Tokyo, e Mitsuha, fanciulla della provincia montuosa di Itomori, si scambiano i corpi (e le vite) ad intervalli irregolari: in questo modo imparano a conoscere la parte più intima e sincera dell'altra persona, dando vita ad un sentimento che scava le proprie radici molto più a fondo rispetto ad una normale relazione. Potrebbe essere l'inizio di un amore puro e incondizionato, se non fosse che i due protagonisti sono separati (guarda caso!) dalla più grande forza che regola la vita umana: il tempo. Con un po' di adorabile misticismo, Shinkai recupera la dimensione "fantastica" delle sue storie e trasforma Your Name in una straordinaria elegia sull'indissolubilità del fato e sul valore delle memorie. Eppure il quarto lungometraggio del maestro non è la sua opera più riuscita solamente per l'importanza degli argomenti che inscena, ma anche in virtù di un perfetto equilibrio tra dramma e leggerezza. Per la prima volta nella sua filmografia, difatti, Shinkai non si affida unicamente all'empatia generata dalla commozione, bensì la colora, di tanto in tanto, con piccole note di umorismo agrodolce: alleggerendo il peso esistenziale della vicenda, allora, il regista trova finalmente l'essenza stessa della malinconia che permea tutte le sue opere, in bilico tra mestizia e felicità.

C'è, del resto, un filo rosso (come quello di Mitsuha) che collega tra di loro i lavori di Shinkai. Accanto a leitmotiv estetici e narrativi (la funzione simbolica del tramonto, l'aurora che dipinge i cieli, l'incontro tra gli amanti in luoghi onirici, al di là dello spazio e del tempo...) si rincorrono anche continui rimandi e citazioni tratte dalle opere dell'autore. In Your Name, ad esempio, ritorna il personaggio di Yukino come insegnante di Mitsuha, mentre Taki lavora in un ristorante italiano che si chiama proprio "Il Giardino delle Parole". E ancora: Sayuri di Oltre le nuvole e Akari di 5 cm per second incontrano un micio di nome Chobi (omonimo del felino protagonista di Lei e il suo gatto, primo cortometraggio di Shinkai). Inoltre, sia Hiroki sia Takaki si esercitano col tiro con l'arco, senza che nessuno dei due riesca a "centrare" precisamente il proprio obiettivo. Per non parlare, infine, dell'occhio della cinepresa costantemente rivolto in direzione della volta celeste, quasi come se fosse una sorta di "feticismo astronomico", in cui trionfano torri elevatissime, oceani di stelle e sciami di comete.
È con questo ricorrente inseguirsi di dettagli che Shinkai crea una trama stilistica unica, inimitabile, pienamente riconoscibile: una firma autoriale con la quale il regista stuzzica e coinvolge lo spettatore, affinché non possa mai dimenticare il "suo nome".

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