Speciale Luis Bunuel

A 25 anni dalla morte, un'ardente omaggio al mito del surrealismo Luis Bunuel

Speciale Luis Bunuel
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Luis Bunuel

Pochi sono i registi che nell’ambiente della critica cinematografica riescono a mettere tutti d’accordo, a ricevere il più ampio consenso da ogni voce che si leva a giudicare: parole di disapprovazioni sono state, infatti, lanciate anche all’indirizzo dei nomi più eminenti ( basti ricordare il biasimo di essere troppo drammatico rivolto più volte a Bergman da personalità come Truffaut o, per citare dichiarazioni più recenti, Zeffirelli ). Il regista di Calanda ha invece sempre ricevuto, se si eccettua la critica bigotta e legata a certe istituzioni, il più alto tasso gradimento, tanto che le parole più dure che sono state pronunciate sui suoi film le proferì lui stesso nel periodo messicano, allorquando definì le pellicole che girava in quel tempo “alimentari”, intendendo di averle realizzate solo per procurarsi il pane.

Tanti che chiacchierano di arte impegnata dovrebbero ammirare la semplicità perfetta dell’impegno di Buñuel, la leggerezza delle sue allusioni pesanti, la qualità intellettuale della sua polemica” ( T. Kezich )

La vita

Senza troppo tediarvi con una lunga biografia, ci sembra comunque opportuno tracciare un breve resoconto della vita del regista, parlando almeno di quei momenti indubbiamente decisivi per lo sviluppo del suo pensiero. Luis Bunuel nacque a Calanda nel 1900, suo padre era un ricco proprietario terriero e la madre una giovane di grande bellezza. Venne educato dapprima in casa e, in seguito, dagli 8 ai 16 anni, in un collegio di Gesuiti, luogo che probabilmente farà sorgere in lui il profondo sentimento anti-clericale che contraddistinguerà le sue produzioni fino alla vecchiaia. Continua gli studi all’università di Madrid e in questo periodo si lega fortemente con Salvador Dalì e Federico Garcia Lorca . L’amicizia con i due giungerà in seguito a dei punti di rottura. Quello con Lorca è segnato secondo alcuni dalla realizzazione di Un Chien Andalou (1929), visto da molti critici come un attacco che Dalì e Bunuel mossero al vecchio compagno. Il rapporto con Dalì sarà invece più duraturo e darà alla luce anche L’Age D’Or (1930), opera principe di Bunuel. Anch’esso comunque si raffredderà quando il pittore si rivelerà attaccato al movimento surrealista più per le forme d’espressione che per il pensiero fortemente eversivo. Come rapido e definitivo confronto tra i due valga quest’affermazione di Adonis Kyrou: “Sono convinto che le intenzioni dei due differissero completamente. Per Bunuel, si trattava di fare proprio quel regno incandescente ove sogno e realtà si confondono in uno splendido gesto di liberazione; per il secondo, si trattava soltanto di « épater » i borghesi. Tra Buñuel ed il grande pubblicitario di se stesso s’apre l’abisso della sincerità”. Il periodo spagnolo si conclude quindi con Las Hurdes, breve documentario di 28 min. con il quale si completa la leggenda del primo Bunuel. In seguito le opere del regista, per quanto belle e ricercate stilisticamente, non potranno far altro che impallidire di fronte allo sfolgorare di questi tre capolavori. La produzione successiva può essere schematicamente divisa in due parti: quella messicana, castrata e sottomessa alla volontà dei produttori che chiedevano al regista dei film con cui fare buoni incassi, e quella francese, nella quale, ormai universalmente apprezzato e libero di dar vita a tutto il suo estro creativo, ritornerà di nuovo a vette elevatissime non raggiungendo comunque il livello delle sue opere giovanili. Morirà nel 1983, sei anni dopo aver girato il suo ultimo film Quell’Oscuro Oggetto Del Desiderio, il 29 luglio.

Anti-borghese, anti-clericale, anti-militarista

Francois Truffaut scrisse che un cineasta fornisce tutte le indicazioni su quella che sarà la sua futura carriera nei primi 50 metri di pellicola che gira. I primi film che girò Bunuel furono il cortometraggio Un Chien Andalou, riguardo al quale sono state vergate pagine e pagine, ed il più “comprensibile” L’Age D’Or. Tutto il suo pensiero è in queste due opere che possono essere comprese appieno solamente se si ricorda il periodo storico nel quale furono realizzate, il quale vide, se non nella forma almeno nei contenuti, molte produzioni simili. Si trattava dell’età dei totalitarismi in cui c’era l’affermazione del fascismo e delle varie correnti di estrema destra, tutte dittature i cui modi venivano instillati fin nelle ossa a popoli che vedevano l’avvento della società di massa. Chi s’accorgeva della follia che travolgeva l’Europa ed esasperava i già rivoltanti costumi borghesi non poteva far altro che scagliarsi contro di loro. In questo contesto, sul fronte della letteratura, Sartre scriverà La Nausea, accanendosi contro i culti borghesi e la “porca società degli scappellati”, sul fronte dell’arte, i più rivoluzionari risulteranno invece proprio il movimento surrealista e con esso Bunuel.
La dialettica del regista s’inserisce quindi in una critica ai valori borghesi effettuata però non con un calmo ragionare ma in un’aria di furiosa rivolta, che si fa scherno di tali istituzioni e le attacca violentemente, mossa da i sentimenti più puri cosi come era l’amour fou.
Lo spirito e la bravura di Bunuel non vanno però circoscritti al ventennio tra le due guerre ( peraltro, sebbene diede allora i suoi frutti migliori, il regista girerà la maggiorparte dei suoi film proprio nel dopoguerra ). La critica alla diabolica trimurti Clero-Esercito-Stato, pur abbandonando la violenza eversiva e surrealista delle prime opere per sostituirla con una derisione più fredda, è infatti vigorosa nonostante manchi dei suoi bersagli preferiti ( è da dire però che, quando questi si ripresentano, come, ad esempio, in Diario Di Una Cameriera, lo spagnolo ha effettivamente una marcia in più ).
Tutto Bunuel va quindi inquadrato nei tre aggettivi che da sempre lo contraddistinguono e che fanno da titolo a questo paragrafo: è antiborghese in quanto rifiuta le affettazioni di questa classe marcia e i loro falsi miti; è anti-clericale poiché vede chiaramente che quanto detto nelle scritture mal si adatta alla realtà e che il clero è quanto c’è di più lontano da ciò che esso stesso predica; è anti-militarista perché rifugge ogni ideologia che esalti l‘autoritarismo, che si glori, anziché vergognarsene, delle violenze compiute in divisa, che faccia oggetto d’onore aver combattuto e ucciso per un patria che è poco più d’una bandiera.

L’Age D’Or: la genesi

Per concludere questo piccolo speciale, realizzato in occasione del 25° anniversario della morte del regista, abbiamo deciso di far una recensione abbastanza estesa di L’Age D’Or in cui ne analizzeremo la genesi, la “leggenda” che gli si creata intorno e, nella misura concessaci dall’occasione, i suoi momenti più importanti.

La produzione dell’opera prende le mosse dal grande, sorprendente e indecifrato successo, sia di critica sia di sala, che la coppia conseguì con Un Chien Andalou. Ciò fece risuonare i loro nomi nelle case dei più ricchi mecenati e, tra questi, in quella dei visconti di Noailles. Coppia neanche troppo sovversiva ( erano addirittura cattolici osservanti ) che però aveva una grande passione dell’arte che aveva spinto il visconte alla consuetudine di regalare un film alla moglie ( per inciso, discendente per parte di madre di De Sade, fatto nel quale alcuni vedono il motivo della scena finale del film che così verrebbe ad essere un omaggio alla viscontessa ) in occasione di ogni suo compleanno.
Furono proprio loro a commissionare la pellicola a Bunuel.
In questo periodo lo spagnolo, come ci testimonia quanto scritto nel Secondo Manifesto Del Surrealismo, redatto proprio in quei mesi, era particolarmente preso dal tema dell’eros e della repressione sessuale sempre in atto.
Nelle pagine del Manifesto dedicate all‘argomento, che per motivi di spazio e con grande dispiacere non possiamo riportare per intero, l’artista eleva l’Amore al più alto posto nella scala dei valori, “unica cosa ad aver tenuto testa ai più grandi pessimisti, unica capace di riconciliare, momentaneamente o no, qualsiasi uomo con la vita” allontanandolo dai più lugubri pensieri, che merita tanta dedizione da ogni uomo non corrotto quanta ne merita la rivoluzione.
Esso, così grande e rilucente nella sua magnificenza, fino ad ora oggetto ultimo dell’arte, verrà quindi trasformato in mezzo per sovvertire le basi della società occidentale, far esplodere le fondamenta del potere borghese che s’esercita pesantemente nella sostegno alla religione e nella repressione sessuale.
Tuttavia il regista non abbandona il suo pessimismo, che si manifesta nella vittoria finale delle istituzioni e nella loro continua presenza che, di volta in volta, ostacola ed impedisce il compimento dell’atto amoroso.

L’età dell’oro è l’età dell’innocenza perduta, l’età del mito; contrassegna un tempo di là dalla storia, di là dalle strutture sociali che l’uomo si è dato e che lo imprigionano inesorabilmente, che lo alienano.” ( Auro Bernardi )

Arte su pellicola

A differenza dell’opera precedente di Bunuel e Dalì, è possibile rintracciare ne L’Age D’Or un trama ben definita, benché questa non sia nient’altro che la tela sulla quale dipingere svariate metafore. Ne diamo qui sotto un breve sunto.

Un uomo, Gaston Modot, sta unendosi con una donna, Lya Lis, in una pozzanghera d’escrementi mentre è in atto una solenne cerimonia; gli astanti se ne accorgono, li separano, e due individui conducono via l‘uomo recalcitrante. Durante un tragitto, la cui metà rimane oscura, l’uomo, attirato da cartelloni e altre cose a sfondo sessuale, corre col pensiero alla sua amata e sempre meno sopporta l’autorità dei due che lo portano seco con modi sgarbati. Decide allora di ribellarsi, mostra le sue credenziali ( fa parte di un fantomatico comitato internazionale per gli aiuti umanitari ), in virtù delle quali viene lasciato andare, e, smanioso di rivedere la donna, si dirige verso un taxi, gettando per terra un non vedente che aspettava il medesimo. Giunto ad un ricevimento, al quale anche lei partecipa, riesce finalmente, dopo aver fatto con grande e manifesto fastidio i cosiddetti onori di casa, ad appartarsi con lei. Vengono però interrotti, lui si assenta un attimo richiamato dai suoi doveri sociali; al ritorno la donna lo ha obliato per un altro. Torna quindi alla sua abitazione e si abbandona a una furia devastatrice.

La Leggenda

Che i film di Bunuel siano stati i bersagli preferiti delle indignate proteste della “gente simpatica” è cosa nota a tutti; più interessante sarà forse conoscere i dettagli che hanno accompagnato la distribuzione de L’Age D’Or, sua opera più taglieggiata insieme a Virdiana ( quest’ultima costò al regista addirittura una condanna in contumacia, emessa da un pretore italiano e solo infine annullata, ad un anno di galera per aver offeso la “religione di stato” ).
I primi a fare le spese dell’odioso ed ipocrita perbenismo, segno che contraddistingue la società dei bennati, furono proprio i finanziatori del film, i visconti di Noailles. I loro amici invitati in casa per la prima proiezione gli tolsero il saluto, la Chiesa, dopo aver visionato l’opera, giunse a neanche un passo dallo scomunicarli.
Dopo l’offesa del clero, venne quella d’un gruppo di fascisti ( Camelots du Roi ) che, passati solo 5 giorni dalla prima proiezione pubblica, entrarono nel cinema che lo trasmetteva e lo distrussero al grido, oggi buffo e ieri tremendo, di “Vediamo se ci sono ancora dei cristiani in Francia”.
Infine l’oltraggio da parte dello stato. Dopo un’altra manciata di giorni, in cui il film fece registrare tutto esaurito, il prefetto di Parigi Jean Chiappe, che già nel mese di marzo aveva servito la patria facendo espellere il pericoloso Sergej Ejzenštejn, lo fece sequestrare emanando un divieto di proiezione pubblica, che in Francia non fu mai revocato e che ebbe fine solo con la sua decadenza naturale 50 anni dopo. Bunuel, almeno su quest’ultimo, si riprenderà però una chiara e manifesta vendetta con la scena finale di Diario Di Una Cameriera ( 1964 ), in cui un gruppo di dimostranti dell’Action Francaise, accozzaglia di patrioti, pedofili e persone dabbene, sfila al grido di Viva Chiappe.

Luis Bunuel Cosa dire su Luis Bunuel che non sia lode commista a profonda ammirazione. I suoi film sono la quintessenza del cinema surrealista: Jean Mitry, fondatore insieme a Henri Langlois della Cinémathèque Francaise, disse che tre sono i film autenticamente surrealisti nella storia del cinema: due di questi sono del nostro regista ( Un Chien Andalou e L’Age D’or ). A ulteriore riprova di ciò, oltre che i grandi film in cui è stato libero di esprimersi, anche le cosiddette produzioni alimentari girate in Messico, attraverso le quali traspare comunque tutta la sua arte. Concludiamo con i versi di Debaser, canzone tributo che il gruppo Pixies gli dedicò nell’89: Got me a movie I want you to know slicing up eyeballs I want you to know girlie so groovy I want you to know don't know about you but I am un chien andalusia wanna grow up to be be a debaser, debaser