Le dieci scene più iconiche al cinema nel 2020

Riviviamo insieme il 2020 cinematografico attraverso le dieci scene più iconiche di alcuni dei film usciti in Italia.

Le dieci scene più iconiche al cinema nel 2020
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Sarebbe inutile rimarcare ancora una volta quanto questo 2020 sia stato strano per il cinema: lo è stato per chiunque e per qualunque settore, eppure in qualche modo i grandi film non sono mancati, anzi in alcuni casi ne sono arrivati di grandissimi.
Le pellicole prese in considerazione nella stesura di questo articolo infatti hanno tutte ricevuto una distribuzione in Italia in un periodo compreso fra l'1 gennaio 2020 e il 31 dicembre 2020: non troverete alcuna distinzione tra sala cinematografica e servizi di streaming on demand.
Infine, nell'avvertirvi della consueta possibile presenza di piccoli spoiler, vogliamo anche citare a parte il "caso" Memorie di un Assassino di Bong Joon-ho: i diciassette anni di ritardo nella distribuzione italiana non sono pesati per niente alla qualità e all'eredità del film, un prodotto assolutamente da non perdere.

Capone di Josh Trank

Capone è il tipo di body horror più disgustoso possibile, quello drammatico, privo di elementi fantastici e tutto impostato sul decadimento del fisico reale.
Un progetto insano che si alimenta dell'appassire del suo protagonista succhiando da lui carne e ricordi, escrementi e sangue, e in questo senso la scena chiave non può che essere quella delle feci nel letto.
Steso da solo nel momento più impietoso della sua triste esistenza, con le immagini concepite da Trank che sprigionano un disgusto e un senso di rassegnazione in grado di racchiudere l'essenza dell'opera, un character study putrido e necrofago molto vicino al cinema senza limiti di Albert Serra: se con La Mort de Louis XIV si raccontava la morte del cinema francese incarnato dal suo simbolo Jean-Pierre Léaud, allora l'Al Capone di Hardy è allegoria di una Hollywood in attesa della fine e la scena delle feci nel letto ce ne fa sentire il tanfo.

Onward di Dan Scanlon

In un film nel quale tutto è alternativo (universi, paesaggi, città, sentieri da percorrere, famigliari da scoprire o riscoprire), lo studio d'animazione più importante degli ultimi trent'anni per chiudere Onward sceglie a sua volta un epilogo a suo modo alternativo.
La scena che abbiamo scelto di prendere in esame è quella dell'incantesimo finale, quando il film stesso sembra cospirare alle spalle del protagonista affinché questo non possa godere dei frutti della sua avventura.
Forse solo la Pixar è in grado di trovare tanta dignità, commozione e magia nel fallimento. Lo fa con una sequenza piena di movimento, costruzione della suspense e risoluzione (agrodolce) dell'azione letteralmente in grado di togliere il fiato.

L'Uomo Invisibile di Leigh Whannell

L'Uomo Invisibile concretizza tutto il talento di Whannell per il cinema di genere e rappresenta un poderoso lavoro di allestimento dell'immagine, un teorema sulla paura generata da ciò che si nasconde nel controcampo e un saggio sulla costruzione della tensione a partire dal fotogramma.
Ecco quindi che la scena da estrarre e da ricordare è senza dubbio quella del primo arrivo dell'Uomo Invisibile, quando la nostra protagonista è sola in camera e la cinepresa si rivolge al muro fornendo allo spettatore un'inquadratura solo apparentemente "vuota".
Tutta la tensione che si sprigionerà di lì a poco il film la costruisce inquadrando il niente, creando contemporaneamente insani dubbi dentro la protagonista e grandi aspettative nello spettatore.

Roubaix, une lumière di Arnaud Desplechin

Un polar così originale da sfuggire ad antesignani o termini di paragone, un film di moltitudini (la città, cuore nero di fatti sempre più neri) e di intimità (Léa Seydoux e Sara Forestier, l'epicentro di tutto) che racconta l'oscurità nella luce, imita i generi mentre lentamente ne diventa altri e indaga, più che per trovare un colpevole, per arrivare a comprendere il nucleo di una storia d'amore e la sua fine più tragica.
Di questo noir incredibile è impossibile dimenticarsi la scena finale della ricostruzione dell'omicidio, non solo perché tutti i nodi vengono al pettine ma perché - stremate - le due protagoniste gettano finalmente ogni maschera e in realtà scendono a patti con la verità che più di tutte hanno represso, quella della morte della loro relazione.
Léa Seydoux e Sara Forestier concretizzano tutto il lavoro di costruzione svolto fino a quel momento ed è come se Desplechin voglia inquadrarle mentre implodono schiacciate dai sentimenti dei loro personaggi.

Richard Jewell di Clint Eastwood

Richard Jewell è la dimostrazione che Clint Eastwood fa film come se potessero cambiare il mondo, e dopo il capolavoro psicologico di Sully a quasi 90 anni mette in scena un prodotto di pancia che è un'esaltazione della semplicità, della forza della dignità e dell'orgoglio di essere americani, soprattutto quando c'è da combattere contro gli Stati Uniti stessi e tutte le loro storture.
Ecco quindi che la scena chiave è senza dubbio quella del finto interrogatorio, quando a Richard, personaggio che noi sappiamo essere totalmente innocente, eroe casuale e ordinario che il film ci ha descritto fin dall'inizio come zelante e col sogno quasi semplicistico di stare sempre dalla parte del bene, si ritrova assediato nientemeno che dall'FBI, ovvero il simbolo dell'istituzione che lui stesso ha sempre ammirato e del quale ha sempre voluto far parte.
In questi secondi pieni di tensione e di grandi prove attoriali il film arriva a rappresentare in tutto e per tutto il pensiero eastwoodiano, schierato dalla parte degli americani prima che dell'America.

Mank di David Fincher

Un film su tutto quello che si frappone fra il cinema - ovvero la macchina che crea - e l'opera che arriva sullo schermo, il mondo disincantato che si nasconde all'ombra dell'insegna bianca di Hollywood, un quarto potere oggi come allora sul viale del tramonto. Nel concludere quella che abbiamo definito la sua trilogia sulla post-verità, Fincher si serve di Mank per raccontarci la Hollywood di ieri ma anche quella di oggi.
La scena da estrarre, ricordare e custodire per noi è quella dell'ultimo incontro tra i personaggi di Gary Oldman e Amanda Seyfried, che nei suoi tagli di luce forniti dalla splendida location naturalistica riesce a inquadrare alla perfezione tutto quello che comporta dedicare la propria esistenza a fare delle vite degli altri un film.
Non a caso è anche una delle pochissime sequenze a offrire un cambio di location, allontanandosi dai set degli studios o dal "luogo del delitto" (il letto sul quale Mank scrive), Fincher stacca Herman e Marion dalla realtà che ha allestito fino a quel momento e li inserisce in una situazione avulsa da tutto il resto, tra il bucolico e il paradisiaco, per sottolineare quanto l'attacco di Mank a William Randolph Hearst sia premeditato a tutti gli effetti.

Un lungo viaggio nella notte di Bi Gan

Seconda opera ambiziosa e sfrontata, eternamente sospesa fra sogno e realtà, paesaggi onirici di una Cina urbana e rurale, Un lungo viaggio nella notte è un lavoro di passato e ricordi e una prova di enorme forza e decadente sfarzo, un dipinto espressionista di raffigurazioni acquose chiuso da un volo pindarico che è anche un'immensa scommessa di regia nel tentativo di creazione di una realtà dominata dalla cinepresa.
Sarebbe facile citare il piano sequenza da un'ora come miglior scena del film, ma il nostro innato romanticismo non può che spingerci a optare per la scena del pianto di commozione nella sala cinematografica: un momento già struggente di per sé che tuttavia, suo malgrado, nel corso dell'anno ha finito col raccogliere molteplici significati, tutti malinconici, per i quali il pianto di Wan Qiwen (interpretata dalla splendida Tang Wei) appare come la perfetta catarsi.

Diamanti Grezzi di Josh & Benny Safdie

L'innovazione più incredibile del nuovo film dei fratelli Safdie, ripresa, ampliata e limata dal precedente e ugualmente strabiliante Good Times, è come riesca tramite il montaggio e il ritmo di una regia sfrenata a inserirsi esattamente a metà strada tra il realismo della vita e la concitazione della finzione filmata.
La suspense viene costruita in tempo reale su eventi di cronaca, che irrompono nel film e assaltano il protagonista prima che l'uno o l'altro possano reagire, e quello che rimane allo spettatore è l'apparenza di un flusso di continua improvvisazione, che però vera improvvisazione non è mai.
Questo approccio filmico serve per accumulare quel pathos che i Safdie vogliono inscenare nel loro cinema da epopea moderna, e brilla come non mai nella sequenza finale della scommessa sulla partita di NBA, quando il film e il destino del protagonista si costruiscono e si inerpicano intorno a eventi reali.
È grazie al lavoro di questo tipo di cinema che l'epilogo del protagonista sembra determinato non tanto da un'istanza narrante quanto dai personaggi stessi, che come le persone vere si limitano a reagire agli eventi del mondo in cui vivono.
Si tratta di un momento incredibile che sublima un modo unico di concepire la narrazione cinematografica.

Tenet di Christopher Nolan

L'esempio perfetto di Tenet di Christopher Nolan è la scena della guerra finale, in grado di muoversi in due direzioni inverse contemporaneamente con la squadra rossa che procede in avanti e la squadra blu che invece va all'indietro, un doppio senso di marcia che in questa sequenza Nolan è in grado di mantenere in ogni fotogramma passando con facilità dai primi piani ai totali.
Difficile anche non citare la scena che mostra il Protagonista invertire il flusso del tempo per la prima volta: l'immagine di John David Washington che si infila una mascherina e che sgrana gli occhi di fronte a un mondo totalmente nuovo sembra riassumere del tutto inconsapevolmente quella dello spettatore, nascosto metacinematograficamente nel controcampo oltre lo schermo, seduto in sala anche lui con mascherina d'ordinanza per assistere a uno spettacolo mai visto prima.

High Life di Claire Denis

High Life di Claire Denis è una provocazione ai tabù dell'audiovisivo e una galleria d'arte di immagini di rara potenza, che insieme compongono un'opera da considerarsi fra gli sci-fi più allucinati, scioccanti e incantevoli mai concepiti per il cinema.
In questo senso è facilissimo tornare con la memoria alla scena della masturbazione di Juliette Binoche: in pochi secondi Claire Denis, attraverso un rapporto sessuale simulato, sembra voler sottolineare come niente, sulla nave che fa da ambientazione al suo film, sia slegato dall'artificialità, né il sesso né il concepimento, che non avverrà naturalmente ma attraverso la tecnologia.
Si tratta di un momento oscuro, segreto, sensuale e sconcertante, ipnotico e spaventoso ma anche libero e catartico, un'antitesi a quella fecondità che il film cerca di venerare ed esaltare sebbene costretta nel vuoto dello spazio.

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